editoriale di CosmicJocker

Le risibili beghe messe in scena dai nostri politucoli nazionali che tanta parte hanno in quei luridi calderoni ribollenti di occhi di tritone, urina di ratto e altri ingredienti di infimo rango volgarmente chiamati "talk show televisivi".

La cialtroneria congenita e la miopia manifesta di cui sono pregne le chiacchiere dei cosiddetti "uomini della strada" che millantano preziosi quanto originali carotaggi nel cuore pulsante della contemporaneità giustificati dalla loro inestimabile esperienza di vita dimenticando che "esperienza" può anche semplicemente significare "reiterare un errore per molti anni".

Beh, è facile: provo disgusto, un sommo disgusto.

Ma perché?

Non certo perché mi credo chiuso e ben protetto nella e dalla mia (inesistente) torre d'avorio da cui, con occhio sdegnoso, osservo dall'alto della mia superiorità morale l'indecoroso spettacolo delle miserie umane contrabbandate dall'ipocrisia o dal qualunquismo. Prima di ogni altra cosa io sono un figlio del popolo: sarei quantomeno un completo idiota se non mi interessassi per nulla di tutti i problemi (di quelli "prosaici" innanzitutto) che funestano i nostri giorni.

Non certo perché mi consideri "apolitico". Non credo sia possibile essere "apolitici": noi scegliamo con tutti i nostri pensieri, parole, opere ed omissioni e dalle scelte si desumono gli orientamenti.

Lo scopo principale dei talk show non è informare, ma intrattenere. Quello delle chiacchiere di strada non è condividere, ma accarezzare l'ego.

Cosa rimane? Il silenzio. Oppure, cosa ben più difficile, la radicalità.

Sono disgustato da tutte le sovrastrutture o da tutte le questioni di lana caprina a cui immancabilmente si ricorre per discutere di ogni massimo sistema e l'ordinamento sociale, politico ed economico della vita umana sulla Terra lo è, o lo dovrebbe essere.

Io saprei dire qualcosa di originale sull'argomento? No. Mi manca l'intelligenza e la preparazione.

Allora scelgo il silenzio.

Anzi no, scelgo la radicalità.

E allora vi cito Engels in cui mi sono imbattuto leggendo una "parabola" di Svevo riguardante la trasformazione di una comunità nomade in una stanziale.

"Il potere di questa comunità naturale doveva essere infranto; e infatti lo fu. Ma fu infranto da influenze che ci appaiono fin dal principio come una degradazione, come una colpevole caduta dalla semplice altezza morale dell'antica società gentilizia. I più bassi interessi - volgare avidità, brutale cupidigia di godimenti, sordida avarizia, rapina egoistica della proprietà comune - inaugurano la nuova società incivilita, la società di classi. Lo Stato, poiché è nato dal bisogno di tenere a freno gli antagonismi di classe, ma contemporaneamente è nato in mezzo al conflitto di queste classi, è, per regola, lo Stato della classe più potente, economicamente dominante che, per mezzo suo, diventa anche politicamente dominante e così acquista un nuovo strumento per tener sottomessa e per sfruttare la classe oppressa".

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editoriale di Almotasim

Vi sarete senz'altro già chiesti: “Sono davvero indispensabili le cover/tribute band?”.
La risposta è una sola. Sì. Come si dissero Jon Anderson, Chris Squire, Peter Banks, Tony Kaye e Bill Bruford. Ma non è un verdetto arbitrario. Eccovi di seguito solo alcuni esempi, nemmeno tra i più eclatanti, a testimoniare quanto anche chi copia renda, in definitiva, un vitale servizio al rock e alla musica in genere.

Velve Underground
Cover all'acqua Velva dei Velvet. I bassifondi e Il dopobarba non sono un ossimoro.

Bobo Marley and the Rottwailers
Per ora suonano da cani.

Creedence Clearwardrobe Revival
Hanno molti scheletri nell'armadio.

The Door
Una porta scorrevole della percezione.

Pinko Pallino Floyd
Di loro si sa solo a chi si ispirino. Gli ultimi Floyds.

The Bitonts
Sono quattro favolosi baresi.

Mimo D'Angelo
Cantano Mino e ne ritraggono perfettamente la mimica.

Air (Conditioning)
Anche loro duo elettronico, ma si esibiscono solo d'estate.

Bitch Boys
Armonie vocali e consonanti.

The Resilients
Si stanno riprendendo.

Igols
Mettono a segno molte cover, prendendosela comoda.

Rossi Music
Sono ormai ai ferri corti.

Divo
Tali e quali i Devo, ma per libertà di scelta.

Manicure
Mettono mano esclusivamente al repertorio di Robert Smith.

Yo L'in Tendo
Indie rock, per intenderci.

Stalking Heads
A suon di telefonare a Byrne sono stati denunciati.

Abba Cadabra
Magici!

Max Gazebo
Eterni indecisi tra i repertori di Gazzè e Gazebo.

Suzanne Brionvega
L'iconica azienda italiana sostiene la pronipote di Giuseppe, grande appassionata della songwriter americana.

David Bovi
Di professione allevatori.

Coque to Twins
Cover band n-uova.

Frank Zuppa e le madri delle Insalatone
Iniziano sempre con 'Call Any Vegetables'.

Lisa Germani
Operazione intellettuale. Tutte le canzoni sono rifatte in lingue germaniche.

Maicol Gesto
Riproposizione a modo dei canti e dei balli di Michael Jackson, ma senza toccarsi mai il pacco.

Sunday Marton
Canta 'People from Ibiza' e 'Camel by Camel' solo di domenica.

Angel Bolsen
Brava come la Olsen, ma un po' più fiacca.

Lama Del Rey
Identica! Ma non si sputa sul piatto dove si mangia, e che diamine!

Kate Bus
Inutile dire che arrivano su un bus chiamato 'Kate'.

The Gertrude and Marvin Chain.
Amanti dei fratelli Reid che però hanno scelto di usare i loro veri nomi.

Ralf Japanese
Idioti.

Pop (Corn) Group
Meno salati, più zuccherosi.

Born Jovi
Nato anche lui Giovanni, detto Jovi. Il destino ha segnato chi dovesse coverizzare; uno sparo al cuore.

Public Endemy
Una presenza costante tra la popolazione.

Liz Phail
Spesso sbaglia le cover di 'Exile in Guyville'.

New Older
Hook li ha presi in simpatia e sovente si esibisce con loro.

Big Start
Chitarrismo riconoscibe fin dall’inizio.

PJ Harley
Quando si mette in moto, nessuno la ferma.

The Class
Imitano Strummer e Jones. La classe è quella operaia ovviamente.

The Stoojazz
Rifanno Iggy e soci in chiave free jazz.

Manual Cult
Rifanno gli Anal Cunt, un po' più alla mano.

Banal Cunt
In realtà, non sono mai banali.

Verbania
I Nirvana della provincia del Verbano-Cusio-Ossola.

Polk McCartney
Tutto il repertorio del Macca trasformato in polka.

Petomani Shop Boys
Si danno troppe arie.

Violet Femmes
Almeno si è capito di che colore diventano i Femmes dopo il secondo giorno.

Ricci Lee Jones
Parrucchiere che arrotondano.

Dinosaur Giugno
A luglio si estinguono.

Pere a Bubu
L'amore per David Thomas, Alfred Jarry, l'orso Yoghi e la frutta, tutto in una band.

Sfot Boys
Adorano Hitchcock ma lo sfottono durante il concerto.

Eri Clepto
Slowhand si smente nei supermercati, tant'è lesto secondo loro. Cleptomane insospettabile denunciato attraverso la sua stessa musica.

Sexys Midnight Runners
Sono tutte ragazze. Al limite del dirty, Eileen.

The Donald Duke of Stratosphear
Quello che imita Partridge/Sir John Johns canta mascherato da Paperino.

Giù di Silk Epil
Queste sono in gamba. Judee Sill è impegnativa.

John Lenton
Cover slowcore.

Prinz
Cover del genietto di Minneapolis da una piccola auto tedesca.

Little Richard Ginori
Oltre a servire il tè, canta 'Tutti Frutti'.

Poni Mitchell
Più spensieratamente di Joni, cantano e saltano la cavallina.

Maleodetta
Incerta imitatrice di Odetta.

Plastic Cono Band
Si esibiscono con un grande cono di plastica sul palco.

Picchio dal Pozzi-Ginori
Puliti.

The LOVablE
Queste epigone di Arthur Lee si prodigano in sole cover in solo intimo.

AC/WC
Onestamente fanno un po' cagare.

Stevie Wonderbra
Personaggio ambiguo.

Digesteve Winwood
Sfornano cover e biscotti.

Camel Trofie
Concertone progressive con proiezione di gare di fuoristrada. E alla fine pasta per tutti!

The Pollice
Suonano i Police col solo pollice. Bravi e basta.

Ten Years Afte
Incredibili! Dovevano scomparire dopo due settimane. E invece...

Esanthema
Più malati degli Anathema.

Vegetarian Corpse
Il death metal per i vegani.

Sam Diet Coke
Troppa leggerezza per un grande repertorio.

Farts Domino
Gruppo di scoreggioni che si influenzano a vicenda. D'effetto.

Hela Madonna
Esclamala anche tu!

Busti Boys
MC mezzi busti decorativi.

Alt Green
Si fermano al repertorio del pastore Green con un semaforo verde sul palco.

Tom Petting
Non fanno ancora sul serio.

Six Pistons
Musica punk dal quintetto base dei Detroit Pistons del 1977. Il sesto? È Hooper, la mascotte.

Black Samba
Finalmente gli Sabbath in salsa brasilera.

Aphax Twin
Un caso isolato. Il gemello Hapax è l'unico che fa cover di Hapex.

Laurie Andersen
Solo un po' più fiabesca quando suona il Tape-bow violin.

Bola Fame e Sete
Rifanno 'Ocean' aggiungendo ulteriori contaminazioni.

Butthole Surface
Una sommaria presa per i fondelli dei Surfers.

Cat Powerless
Meno energica della Marshall.

Julian Coppe
Pluripremiato coverman. Nota la sua emotività per la lacrima che esplode.

Country Joe and the Fish & Chips
Preziosa aggiunta a un menù pacifista.

Daft Pink
Per la par condicio, sono due ragazze a fare le cover.

Brian Ano
Fortunato non musicista.

Girmi Hendrix Experience
Al termine del concerto vi vende forni elettrici, sbattitori e tritaghiaccio.

Bolly Huddy
Indovinate chi coverizza?

Queen Crimson
La Toyah fa le cover del marito.

Park Lanegan
I concerti si svolgono solo in aree protette, garantendo il mantenimento del livello di biodiversità presente e le caratteristiche del paesaggio.

Pussy in Calore
Giustamente vietati ai minori.

R.E.M.I.G.I.
Incredibile, Stipe e Buck hanno fatto una cover band di Memo Remigi!

Ramone
Cinque ragazze di nome Ramona fanno le cover dei fratelli Ramones. Neanche loro sono sorelle.

Sottilette Kraftwerk
Sintetizzano, filano e fondono.

Giacinto Scelse
Inizialmente coverizzava vari compositori.

The The End End
Rifanno tutto 'Mind Bomb' fino alla fine.

Massive Art Attack
Giovanni Muciaccia alle prese col Bristol Sound.

Sonic Lute
Prestare il liuto al noise è formidabile.

Third Ball Band
Aggiungono qualcosa ai quattro elementi. La loro quintessenza. O una protesi?

Johnny Cash and Carry
Concerto dove il dettagliante acquista merce, paga in contanti e porta via con mezzi propri.

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editoriale di Trofeo

La musica ha tanti pregi ma il più grande è saper vincere sempre la lotta contro il tempo. E il tempo si sa, è spietato e non si riesce a sopraffarlo se si è impreparati. Gli anni passano, le persone e i gusti cambiano ma la musica, quella è per sempre. Sembra una banale ed efficace frase ad effetto ma è la sintesi di tutto.

Chester Charles Bennington ha lottato tutta la vita con il tempo, provando a renderlo più tollerabile, mentre teneva a bada i demoni e l’onda anomala del successo.

Una madre infermiera, un padre poliziotto, che lottava quotidianamente contro gli abusi su minori e due fratelli. Una famiglia apparentemente felice, poi il divorzio, i figli affidati prima a un genitore poi all’altro e la totale perdita di riferimenti. Droghe di ogni tipo e colore, alcol a fiumi e sei anni di abusi sessuali perpetrati da un coetaneo, a sua volta seviziato dal padre. Chester non denunciò, nonostante suo padre avrebbe potuto aiutarlo fin da subito, proteggendolo e custodendo il suo segreto e le sue paure.

Già tutto questo peso sulle spalle a soli tredici anni di età. Un lungo passaggio all’inferno, dall’infanzia all’adolescenza, insieme al bullismo, alle percosse e alla poca voglia di dare un senso alla propria esistenza.

Ci furono le poesie, i disegni e le canzoni. Un rifugio sicuro e stimolante, quando lo sballo era diventato troppo. C’era la musica e con lei le immagini che evocava, una passione irrefrenabile sempre presente negli attimi più bui. Il tutto come ancora di salvezza. Chester, tra gli altri, adorava gli Stone Temple Pilots e consumando a suon di ascolti quelle musicassette, sognava un giorno di far parte della band di Scott Weiland. Ancora non sapeva che in un futuro non troppo lontano avrebbe addirittura preso il posto vacante di Scott, il piccolo Chester.

Nel 1993, partendo dalla stanzetta di una piccola casa in Arizona, con in mano una manciata di idee, Sean Dowdell convinse l’amico a fare le cose sul serio. “Sean Dowdell an His Friends?” sarà il nome dato al duo ma anche al grezzo EP a tre tracce, pubblicato quasi per gioco. L’anticamera del sogno, la zattera per l’isola che non c’è. Mentre la violenza e il turbamento asfissiavano la mente e le paure tessevano una fitta e resistente trama, la musica provava a fare da anestetico.

L’autostima cresceva di pari passo con la consapevolezza dei propri mezzi. Quelle corde vocali erano divenute il tramite più consono per sfogare la frustrazione e dare un suono alla rabbia. Un modo per urlare senza freni al mondo il profondo disagio interiore di un ormai annunciato astro nascente.

Le tre tracce divennero un demo e il duo divenne una band, i “Grey Daze”, con l’arrivo di Jason Barnes alla chitarra e Jonathan Krause al basso. Poi si iniziò a fare sul serio, un primo album “Wake Me” nel 1994 e poi un secondo e ultimo, “…No Sun Today”, nel 1997. Quella prima iniezione di fama non fu sufficiente, i demoni iniziarono a presentare il conto.

Tra vagabondaggio ed espedienti, il sogno rischiò di finire risucchiato in una spirale vuota. Fu Jeffrey Blue, vicepresidente A&R alla Zomba Music e prezioso supervisore, ad evitare che questo accadesse. Passò tutto attraverso un’audizione e una mancata festa di compleanno. Gli Xero cercavano una voce da affiancare a quella del Maestro Cerimoniere Mike Shinoda. Jeff Blue ci mise lo zampino, gli Xero divennero Linkin Park e ciò che accadde dopo è stato ormai da tempo consegnato alla storia.

Con “Hybrid Theory”, primo full length ufficiale e ad oggi disco più venduto del secolo in cui è stato partorito, è avvenuta la totale consacrazione. Le dodici tracce racchiudono l’intera esperienza di vita di Chester fino a quel momento.Ventiquattro anni vissuti in preda alla frustrazione generata dai ricordi ossessivi, tra abuso di droghe e una costante ed ininterrotta battaglia interiore. Il successo immediato e inaspettato fu anche e soprattutto merito di quei testi urlati, di quelle melodie che sembravano voler placare l’affanno di un’anima già molto stanca.

Negli anni in cui quello strano sottogenere musicale, fatto di metallo e rime, si avvicinava al fuorigiri ma dava il suo meglio senza farsi troppe domande, un ventenne trovava il suo posto sicuro nel mondo. Un angolo di paradiso condiviso obbligatoriamente con l’inferno, come in un bizzarro ed anomalo girone dantesco.

Sette album di successo, altri tre con i due progetti paralleli (Dead by Sunrise e Grey Daze) una breve militanza negli amati Stone Temple Pilots e un EP con loro, decine di collaborazioni e attestati di stima, che hanno portato il fragile e rachitico ragazzino di Phoenix nel cuore e sulla bocca di tutti.

È stato questo il successo per Chester Charles Bennington. Non una gabbia ma una prigione dorata, fatta di spesse sbarre lucide e morbide al tatto, dalle quali poter fuggire di tanto in tanto. Un’illusione di libertà, accompagnata dall’amore genuino dato e ricevuto dai membri della sua grande famiglia, che lo aspettavano a casa ma anche nello studio di registrazione. Ma anche un fantastico viaggio, seppur breve, in compagnia dei milioni di fans sparsi per il mondo e del loro affetto. Tutti sempre presenti e pronti ad acclamarlo, uniti in un unico coro durante i concerti dei suoi Linkin Park. Come in quella maledetta estate del 2017, quella che alla fine ce l’ha portato via, subito dopo l'amico fraterno Chris Cornell. Le immagini sono ancora nitide. Quell’istantanea, consegnata all’eternità, è stata scattata durante la data italiana del One More Light Tour. Le mani dei presenti a sorreggere il loro beniamino, creando un'intensa connessione e migliaia di voci avvolte in un firmamento di luci, per un’atmosfera da brividi. Le note della canzone che ha dato il titolo all’ultimo disco, a fare da tappeto a un testo poco considerato fino a quando il suo reale significato è venuto a galla.

Un ultimo bagno di folla, un ultimo saluto, non più una richiesta di aiuto.

Un’altra luce. E un’altra ancora. Come quella che si è spenta ai nostri occhi ma rimarrà accesa per l’eternità nei nostri cuori.

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editoriale di Confaloni

Quando qualche giorno fa un mio amico mi ha inviato, via WhatsApp, l' immagine qui allegata confesso che sono sobbalzato sulla sedia e ho detto "No!". Il personaggio ritratto, passato recentemente a miglior vita, è riconoscibile ed io, per motivi puramente scaramantici, non lo nominerò per esteso per tema di evocarlo e riportarlo in vita. Mi limiterò in questo breve scritto a definirlo con l'appellativo , coniato nei lontani anni '80, di " Sua Emittenza" con conseguente acronimo S.E. a ricordo del periodo d'oro in cui le reti Mediaset erano fin troppo popolari.

Non intendo qui richiamare i punti salienti della vicenda imprenditoriale e politica della impersonificazione brianzola del grande Gatsby. Mi limito a notare come, in questi ultimi decenni, S.E. sia stato così invasivo da colonizzare l' inconscio dell'italiano medio, anche di coloro come il sottoscritto che non lo votarono. Ora, dopo le esequie pubbliche di cotanto personaggio, si è giunti anche a ipotizzare, non si sa mai considerato il personaggio, che possa fare lo scherzo di ripetere le epiche gesta di un certo Gesù Cristo, con tanto di resurrezione, giudizio dei vivi e i morti e relativo avvento di un Regno che non avrà fine.

Tutto questo può essere pura fantascienza, ma se per una remota possibilità così non fosse, per quanto mi riguarda continuerò ad attenermi alla mirabile etica di San Tommaso e quindi crederò solo in ciò che vedrò e toccherò con mano. E d'altronde, si è ben visto che, quando S.E. era in vita, il suo impero mediatico veicolava un messaggio pop all' insegna del consumismo più beota. E, impossibile negarlo, a lui è sempre riuscito il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci solo per sé stesso (non certo per gli altri).

Quindi, il mio sommesso consiglio è di non nominare per esteso S.E. per evitare di ritrovarcelo fra i piedi per i prossimi decenni.

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editoriale di Annette

Immaginate di svegliarvi una mattina e di sentirvi stranamente leggeri: nessun pensiero profondo su voi stessi o sul mondo.
Accendete la radio su una stazione a caso mentre vi preparate e, sorpresa, vi piace quello che stanno trasmettendo. La scaletta musicale incontra i vostri gusti al 100% e gli interventi degli speaker li trovate divertenti e perfettamente centrati.
Scendete per andare a lavoro, fermandovi al bar. Oggi anche il barista è simpatico e trovate i suoi commenti sui temi più caldi di attualità sensati e condivisibili.
In ufficio, l’apoteosi. Il vostro capo non è più quell’ottuso imbecille che vi è parso fino a ieri. Vi assegna dei compiti ragionevoli e utili, persino le sue osservazioni e i suoi consigli su come portare a termine il vostro lavoro vi appaiono pieni di buon senso. I vostri colleghi sono tutti interessanti e trovate la loro conversazione stimolante.

A fine giornata, tornate a casa e, quasi a fare un test per sapere se davvero oggi il mondo ha deciso di girare dalla parte giusta, accendete la televisione su un canale generalista a caso. Miracolo! La trasmissione in onda in quel momento è bella! Non potete crederci, state guardando la TV e vi piace e, sì, non state guardando RAI5 alle due del mattino!

Ecco, non sarebbe bellissimo vivere in un mondo così? Se si potesse avere tutto questo semplicemente diventando più stupidi? Se la soluzione fosse una "alleggerente" lobotomia?

La prima volta che sono stata sedotta da questa suggestione è stato quando, ormai non so più quanti anni fa, lessi il divertente (così lo ricordo) romanzo di Martin Page Come sono diventato stupido, in cui il giovane Antoine individua nella sua intelligenza, la causa della sua sofferenza e cerca quindi di guarirne. Lo stesso concetto, per fare un esempio più basso (quindi anche più adeguato sia alla tesi sia alla scrivente), è presente in un episodio dei Simpson, quello in cui Homer scopre d’avere, sin dall’infanzia, un pastello conficcato nel cervello che ne compromette le capacità intellettive e decide di rimuoverlo. Improvvisamente, Homer diventa intelligente e scopre che quasi tutte le cose che prima gli davano piacere ora sono sciocche e noiose: gli amici al bar, la televisione, i film al cinema. Alla fine, trovando la nuova realtà insostenibile, decide di farsi rimettere il pastello nel cervello.

Se fossero i vostri cervelli, la vostra sensibilità, la vostra cultura, il vostro gusto raffinato, la vostra capacità di analisi, i vostri nemici, la causa della vostra (in)sofferenza?

Si potrebbe obiettare che solo grazie ad essi riuscite a godere dell'arte, dei libri e dalla buona musica. Ma, diciamolo, sono tutti hobby dispendiosi non solo in termini di denaro, ma anche di tempo, mentre potreste essere completamente soddisfatti dall’intrattenimento pret-a porter, se solo foste un po’ più "di bocca buona". Non solo, se rinunciaste alla vostra capacità di analisi critica non dovreste continuamente litigare con il mondo. Non vi angosciereste con quesiti esistenziali, non vi chiedereste perché siete costretti a fare cose senza senso a causa della burocrazia e/o a lavoro, non vi fareste domande sulla politica, sulla società, sareste completamente acritici accettando la realtà così com’è.
Certo per la società, se tutti gli individui si comportassero così, sarebbe una tragedia ma, a livello individuale, non sarebbe una soluzione altamente desiderabile?

Insomma, alla fine, la domanda è: l’intelligenza, o se vogliamo la profondità di pensiero, la sensibilità, la necessità di comprendere le cose, ci rendono infelici? Pardon, VI rendono infelici?

Perché, per quanto mi riguarda, io sono molto contenta con il mio pastello conficcato nel cervello…

Disclaimer
ATTENZIONE: Le informazioni contenute nel testo hanno esclusivamente scopo (dis)informativo e ludico e comunque in nessun caso possono costituire la formulazione di una diagnosi o la prescrizione di un trattamento.
Si raccomanda di chiedere sempre il parere del proprio medico curante e/o di specialisti (preferibilmente, di quelli bravi!) riguardo la possibilità di perdere "peso" a mezzo di lobotomia.
La lobotomia non va intesa quale sostituto di una dieta variata, equilibrata e di un sano stile di vita.

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editoriale di G

Una testa un consumatore, una visita la sua attenzione. La sua attenzione una probabilità che consumi.
I contenuti monetizzati sulla base del numero di visite per vendere pubblicità è cancrena.
Cancrena che lavora in un'area che sta tra l’avidità di chi pubblica il contenuto e il voyeurismo di chi lo fruisce.
Dovrebbe essere vietato pagare non professionisti per la produzione di contenuti.
Se ti pago per la produzione di contenuti tu in qualche modo diventi un giornalista.
Va bene, pubblica quello che vuoi, ma se sei pagato lo fai per professione e dovresti essere iscritto all'albo.

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editoriale di iside

Sedete e contrattate
A vostra voglia, vecchie volpi argentate.
Vi mureremo in un palazzo splendido
Con cibo, vino, buoni letti e buon fuoco
Purchè trattiate e contrattiate
Le vite dei vostri figli e le vostre.
Che tutta la sapienza del creato
Converga a benedire le vostre menti
E vi guidi nel labirinto.
Ma fuori al freddo vi aspetteremo noi,
L'esercito dei morti invano,
Noi della Marna e di Montecassino
Di Treblinka, di Dresda e di Hiroshima:
E saranno con noi
I lebbrosi e i tracomatosi,
Gli scomparsi di Buenos Aires,
I morti di Cambogia e i morituri d'Etiopia,
I patteggiati di Praga,
Gli esangui di Calcutta,
Gl'innocenti straziati a Bologna.
Guai a voi se uscirete discordi:
Sarete stretti dal nostro abbraccio.
Siamo invincibili perchè siamo i vinti.
Invulnerabili perchè già spenti:
Noi ridiamo dei vostri missili.
Sedete e contrattate
Finchè la lingua vi si secchi:
Se dureranno il danno e la vergogna
Vi annegheremo nella nostra putredine.‎

(in questa piazza per lo stato non è successo nulla)

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editoriale di BobAccioReview

D'altronde cosa c'entra Bruce con l'alluvione? Nulla. Se la gente se ne frega per prima dell'alluvione, perché toccherebbe a Bruce metterci una pezza? Forse perché è ricco, famoso e fa belle canzoni? È solo un caso quello che si sia trovato a suonare a Ferrara pochi giorni dopo il disastro. Perché qualcuno si cura dei casini di Bruce? O si pensa che lui sia una divinità? La gente tutti i giorni vive tragedie, e allora ad ogni live dovrebbe recitare un piccolo monologo per gli sfortunati? Ma chi è esente dai guai? Una pacca sincera data da un amico sulla spalla non ha mai ferito nessuno, anzi. Sarebbe stato ipocrita fare un annuncio ai ferraresi. E a Roma, poi si sarebbe chiesto, quanti sofferenti, quanti senza tetto e senza lavoro e morti non a causa della natura ci sono? Ci siamo, ecco cosa conta: perché fare gli ipocriti? Mica Bruce fa il Papa di mestiere. Lui è un artista e la sua esibizione basta e avanza. A volte alle persone va pure di dare il cuore, ma attraverso ciò che sanno fare meglio. E Bruce non si è mai risparmiato sul palco, la sua forza, energia, vitalità, non solo musicale, è quel che lui dà al prossimo, ai fans, e il mondo lo sa bene. Le parole possono annichilire un momento di gioia, ore di spettacolo per una umanità sofferente, tutti soffriamo, è la vita. Non ci nascondiamo dietro un dito, dietro falsi moralismi. Per il resto ci sono i libri. Il libero pensiero sta lì custodito. Qui si fanno i fatti.

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editoriale di Fratellone

Si, c'ero anch'io a Ferrara. Ho comprato il biglietto poco più di un anno fa, e il 18 sono partito con la mia adorabile per assistere al concerto. L'ultima volta che l'ho visto ero a Firenze nel 2012 sotto un diluvio d'acqua.

Da Bologna, dove vivo, a Ferrara la strada è breve, circa 50 km... d'acqua. Molti campi sono allagati e guardando in lontananza dall'autostrada si vedono case circondate dall'acqua, con sacchi di sabbia intorno. Bruce ha dormito a Bologna, per arrivare a Ferrara sta facendo la mia stessa strada, è impossibile che non si sia accorto di nulla. All'arrivo al parco Bassani non potevano più esserci dubbi, il fango arrivava oltre le caviglie, pozze d'acqua qua e là, un po' di paglia sistemata alla rinfusa per cercare di assorbire qualcosa dal terreno. Ci vuole molto tempo per entrare, il fango rallenta tutti. Troviamo un posto un po' laterale, ma decente, ovviamente il palco non si vede, ma ci sono i mega schermi a farmi vedere lo spettacolo. La gente sta ancora entrando quamdo i componenti della E street band salgono sul palco uno alla volta, lui per ultimo alle19,40 e Ciao Ferrara... one two three

We busted out of class
had to get away from those fools
we learned more from a three-minute record
than we ever learned in school
tonight I heart the neighborhood drummer sound
I can feel my heart begin to pound
you say you’re tired and you just want
to close your eyes and follow your dreams down...

Non una parola sul disastro a pochi chilometri da qui, non parlo dei token (2 euro l'uno, non rimborsabili) da comprare se volevi bere e mangiare agli stand, salvo poi trovare chi non li accettava ai bordi del concerto, non parlo delle t- shirt a 50 euro l'una, del disastro perpetrato dal pubblico al fu manto erboso del parco, del freddo ai piedi immersi nella melma, degli oltre 1000 addetti della protezione civile che si sono adoperati per diversi giorni per rendere possibile quest'evento.

No, non parlerò di questo, ma del concerto pochi accenni. Bruce ha 73 anni, non salta più sul pianoforte, la voce gli regge per tre ore, con solo un piccolo calo durante born to run, però gli manca qualcosa rispetto alle altre volte. Lo spettacolo è questo ed il pubblico assiste, ma non partecipa, non interagisce con lui. Però cantando Thunder road insieme ad altre 50.000 persone, una lacrimuccia mi è scesa

... It's a town full of losers
And I'm pulling out of here to win...

Concerto si o no?

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editoriale di Confaloni

In questi primi mesi dell'anno un tema che ha suscitato vasto interesse è quello legato all' intelligenza artificiale, intesa come nuova frontiera del progresso tecnologico e informatico. Grande risalto è stato dato alla preoccupazione espressa dai soloni della Silicon Valley nei confronti dell'impiego di applicativi di AI (acronimo per Artificial Intelligence) in vari settori, con relativo proposito di fermare per sei mesi lo sviluppo di tali tecnologie proprio perché si teme che il laissez faire potrebbe scatenare conseguenze socio economiche ora inimmaginabili , ma poi inarginabili. Il timore sarebbe costituito dall' avvento graduale ma inesorabile di una società sempre più robotizzata, a scapito di tanti ruoli professionali connessi al cosiddetto terziario avanzato, in cui rientrano tanti colletti bianchi e pure figure lavorative definibili come creative. E non per nulla questa preoccupazione si è manifestata nientemeno che a Hollywood, ove il sindacato degli sceneggiatori esterna forti preoccupazioni a fronte di un impiego delle tecnologie di intelligenza artificiale (della serie: a cosa servirebbero poi gli sceneggiatori se bastasse affidarsi ad applicativi del suddetto tipo?).

Certo, quando il progresso tecnologico si è manifestato in passato, alcuni timori sono sempre emersi (per l' avvento della rivoluzione industriale ci furono tanto di artigiani luddisti attivi nello sfasciare i nuovi macchinari, ma sappiamo bene come andò poi a finire...). Nulla di nuovo quindi sotto il sole e io stesso sono sempre stato curioso delle novità in quanto tali. Ma non nego di aver provato una forte perplessità sul tema applicativi di AI quando, alcune sere fa, ho ascoltato su Radio Capital una trasmissione dal titolo "B side" in cui il conduttore raccontava una sua esperienza diretta nel nuovo ambito tecnologico. Riferiva di aver scaricato, per la curiosità di fare una prova, dalla rete un applicativo di intelligenza artificiale ( di cui non ricordo il nome) molto versatile in campo musicale. Aveva poi effettuato alcune interrogazioni di sistema all'app, chiedendo di prendere dal database alcuni brani dei Beatles e di effettuarne delle cover secondo stili diversi, del tipo alla David Bowie e alla Bob Marley. Il risultato, trasmesso nel corso della puntata di "B side", aveva un che di incredibile poiché poteva generare, nell'ascoltatore ignaro degli antefatti sopra citati, la convinzione di autentici brani inediti realizzati proprio dai due musicisti suddetti.

Se questa è in estrema sintesi l'avventura/disavventura di un DJ verso un app di cosiddetta AI (e immagino che altre siano attualmente reperibili e sempre più lo saranno), a me è venuto spontaneo fare alcune considerazioni personali che riporto qui di seguito.

Innanzitutto è chiaro che, mai come in questo caso, il futuro è già qui presente e non so proprio come si possa pensare di imbrigliarlo. I tempi evolutivi possono essere più o meno veloci, ma ho l'impressione che si dovrà convivere con queste novità.

Resta il fatto che in questo caso il campo della musica, con tutto ciò che di operativo e professionale vi ruota dentro, non potrà fingere di non tenerne conto. Il mondo della musica potra` certo tirare avanti, ma future logiche di mercato potrebbero dare sempre più spazio a elaborati artificiali tanto da avere la concorrenza cosiddetta automatizzata di un'incisione scaturita da un'app sofisticata di AI (chiamata ad esempio Piripicchio) verso composizioni di musicisti in carne ed ossa. E magari un pubblico futuribile potrebbe mostrare preferenza verso una musica squisitamente artificiale e figlia di evoluti algoritmi. Giunti a quel punto si sarebbe in presenza di un reale progresso nell'evoluzione della nostra società e del genere umano?

Io non ho risposte certe da dare e mi limito solo a proporre spunti di riflessione. Dico solo che se questo potrebbe essere un eventuale futuro più o meno prossimo, già fin da ora avverto un vago odore di plastica e sottoscrivo la famosa invettiva dissacrante del grande Frank Zappa verso la cosiddetta "plastic people". Era allora indirizzata verso la borghesia conformista yankee degli anni '60, ma ormai viviamo nel mondo "plasticoso" del ventunesimo secolo e appunto la plastica ci avvolge tutti quanti, sempre di più. Dovremmo forse rassegnarci a tutto ciò?

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editoriale di Bubi

... E noi, Isa ed io, abbagliati dal sole e dalla colorata apparenza di quel mondo, continuavamo a godere, inzuppati d'acqua e coi nasi all'insù.

Il vecchio piangente stava seduto e fissava le onde. Per un po' lo guardai cercando di capire cosa lo affliggesse. Stava lì da chissà quanto tempo, da sempre. Forse. Si era attaccato al collo il pendente degli addolorati così che, gli afflitti, i sofferenti, i depressi che passavano potevano scriverci la loro memoria triste. Ed erano tanti. Isa guardava nella mia stessa direzione, ma sembrava vedere solo l'azzurro del mare. Pensai: «Quel vecchio è un ologramma, lo vedo solo io. È il simbolo di ingiustizie e miserie, la rappresentazione dell'umanità divisa tra crudeltà bestiale e l'ingenuità di un bambino. Al mondo ci sono troppe guerre, odio, dolore. Stiamo distruggendo tutto, siamo belve e bambini allo stesso tempo. Quel vecchio ha in sé l'angoscia e l'infelicità di tutti noi. Non è giusto che pianga per sempre. Lo può svegliare solo il bacio della donna più bella del mondo» Ma i villeggianti gli passavano davanti senza notarlo, avevano lo sguardo di chi guarda qualcosa che non esiste. Vedendomi assorto a fissare il nulla, Isa mi scosse: «Cosa ti piaceva di lei? Le gambe? Come muoveva i fianchi? Avrà avuto... uhm, una quarantina tutti, ma, poteva averne anche di più, anche cinquanta.» Tacque un attimo vedendomi pensieroso a guardare le onde. Continuò: «Complimenti signora! Perché non sei andato a dirglielo? Meglio di no, vero? Sei un ragazzo timido, è più facile guardarla e farsi le fantasie». S’azzittì quando notò che non badavo a quanto diceva. Indicai un punto vicino al bagnasciuga e domandai: «Isa, tu lo vedi quel vecchio?» Isa guardò dove indicavo e replicò: «Non c'è niente li, Vale, niente.» Pensai: «Forse sono io il vecchio. Piango perché non so prendere iniziative per cambiare il mio destino».

Ombre e luci si davano il cambio assumendo il colore delle nostre sofferenze e delle nostre gioie. Intanto, la pioggerella multicolore continuava a scendere, ci dipingeva con magiche pennellate di rosso, lillà, verde, blu. Isa sembrava un dipinto surreale. Le gocce ci avevano disegnato addosso il mosaico dei nostri stati d'animo, avvolti in un caleidoscopio di sentimenti, passavamo da entusiasmo a noia, da euforia a tenerezza. Intanto, la ragazza immersa nel suo mondo, rimaneva immune alla trasformazione che avvolgeva la costa. Non faceva caso alla cascata di colore che scendeva dal cielo e cambiava la natura. Mi venne da pensare: «Quella ragazza non vede e non vuole.» In quel contesto così particolare, colui che l'aveva creato pensò ad una piccola magia anche per lei. Come d'incanto le apparve tra le mani un ombrellino, un Walk'n'Carden del 1800. Subito l'aprì per ripararsi dalla pioggia. Prese un rossetto dalla borsetta e, stando attenta a fare un contorno senza sbavature, iniziò a passarlo sulle labbra. Era una bella ragazzina e aveva il dono di contagiarmi d'amore, quale non so, ne avevo molti, romantici, passionali, contemplativi. Lo sguardo tornò su Isa. Era tutta bagnata. Sembrava un'arlecchina attraversata da flussi elettrici. Le gocce le si erano combinate sul viso e sul corpo in una complessa rete di linee, scarabocchi e macchie, era come se l'avesse pitturata un artista. Provate ad immaginarla con gli occhi gialli, il viso dipinto e i capelli arruffati bagnati di pioggia colorata.

Non sapevo se quello che stavamo vivendo fosse vero o la creazione di una mente, la mia, impazzita per i troppi eccessi. Non sapevo se pioveva o se era bel tempo. Capii soltanto che mi piovevano addosso tutte le emozioni che si possono provare. Mi avvolgevano. Che bello. Mi piaceva essere attraversato da stati d'animo multicolore. Mi persi nell'illusione di provare momenti di felicità. Io, che mai li avevo provati. Mai. Se affoghi tutto nell'alcool, inevitabilmente, quello che più desideri e quello di cui l'alcool ti ha privato. Bevevo perché credevo che aiutasse a essere simpatico. Facevo le battute del cazzo e raccontavo barzellette del cazzo. Quante cose del cazzo che facevo. Una dietro l'altra. Trascinavo le giornate facendo il buffone e nessuno pensava fossi simpatico. Un imbecille, probabilmente. Ma mi assolvo, non ci sono colpe negli errori dei disperati. Cosa ci voleva per capire che il mondo sta in piedi solo se riusciamo ad esprimere amore? Non ci riusciamo. Divento triste e mi cade una lacrima. Quanto mi piacerebbe farla arrivare al prossimo. Ma non potrò mai, qui non c'è nessuno. Sono destinato a stare in eterno senza gioia. Condannato ad invecchiare inventando personaggi fantasiosi da ricamare nelle mie infelici storie vere. Storie che da anni racconto ad un pubblico che non può ascoltarmi perché non c'è. Però, ora conosco i sentimenti. So perché originano, riesco a provarli e capisco chi li ha. Ci sono anche quelli che vivono senza averli e chi li nasconde perché non sa gestirli. Io, a quel tempo. Amarezze e gioie erano uguali. Affogavano nel liquore bevuto poco prima e andavano via senza lasciare traccia. Poco dopo, sparivano anche dalla memoria. Da un po' di tempo ho imparato a piangere. Mi capita spesso. Poi rifletto. Su tutto, più che altro sui casi della mia vita, cerco di capire quello che al tempo mi ero precluso e come mai. Cosa sarebbe potuto essere se. E sto piangendo.

Isa si sdraiò a pancia in giù, disse: «Guarda, sono tutta macchiata, quella strana pioggia...» «Non sei macchiata sei colorata e quella pioggia ti ha dipinto addosso l'abito più bello, un abito che cambia ogni istante e ti fa più bella ancora.» Biascicai. Isa spalancò i suoi bei occhi rossi e sorrise. Continuai: «Se la bellezza è data dall'armonia e dal colore, sei la più bella di tutte.» Si girò da una parte, certi momenti l'imbarazzo non le permetteva di tenere lo sguardo. Mi stesi vicino e indicai la ragazza che sedeva a gambe incrociate. «La vedi?» dissi. «Carina» «È la ragazza che non vede e non vuole» «Perché dici così?» «Da quando siamo qui, non ha fatto altro che darsi il rossetto e laccarsi le unghie. Non ha mai gettato uno sguardo intorno per guardare quello che succede». Vidi Isabella alzarsi e andare dalla ragazza, il sole scendeva lentissimo verso il mare, quando Isa tornò quasi lo toccava. Isa disse: «Ohimè, madre e figlia trascorrono i giorni a dipingersi il volto. Vivono solitarie in una villa con prati verdi e tanti alberi non hanno amici, né conoscenti, né parenti. Lei e sua madre, la primadonna». «La prima-donna». Ripeté una seconda volta, scandendo ironicamente le due parti della parola. «Ignorante si, tanto. Anche tanto presa da sé stessa da considerare soltanto i suoi bisogni. Perché interessarsi dei problemi degli altri quando sono così importanti i propri?

È prigioniera di orgoglio e di ignoranza, che limitano il suo sguardo sulla vita. Convinta che la bellezza sia sostanza e che per avere una vita perfetta, si debba vivere nella bellezza e senza sofferenza. Cerca la perfezione nell'apparenza, crede di sfuggire ad ogni affanno perché non sa che la sofferenza è parte dell'umana essenza. Non sa che la bellezza del mondo è polifonica, composta di piaceri e di dolori, che ogni esperienza è unica e che la lacrima è di molti colori. Ma resterà sempre prigioniera dell'illusione di perfezione che la guida, ignorando che nella vita, la bellezza e la sofferenza si uniscono e si confondono di continuo in perfetta armonia.

Ha trascinato nello squilibrio anche la bambina, dirottando i suoi passi verso l'unico cammino possibile, quello segnato dalle sue impronte. Povera stella, è ignara del mondo che c'è fuori, il suo cuore è chiuso al mondo, bloccato, è un cuore che non batte. Brucia la sua giovinezza senza conoscere chi le faccia comprendere che l'amore, l'egoismo, la felicità, non possono vivere per sé stessi, da soli non si bastano. La sua vita scorre via, senza che possa comprenderne il valore, sentire il calore del sole sulla pelle, la freschezza dell'aria al mattino. Ha la mente chiusa dentro una scatola. Per lei le difficoltà della vita sono come la pioggia dalla quale si ripara, per tenerle lontane si dipinge il volto. Non le sarà facile aprirsi al mondo e scoprirne la bellezza. Dovrebbe cercare chi le possa insegnare che esistono anche le emozioni, qualcuno che non abbia dimenticato la sublime arte di vedere gli altri e saperli amare. Seppur tanto importante, è un arte che va perdendosi nel caos di questo mondo sempre più indecifrabile».

Prima notai la sua ombra, mi voltai e la vidi per intero. La ragazzina stava in piedi a un metro da me. La guardai bene, aveva gambe lunghe, affusolate, sinuose, i seni non rispecchiavano i suoi tredici anni e già catturavano sguardi, il viso era dipinto come da abitudine. Sembrava una seducente maschera del carnevale di Venezia. Bella, bellissima da guardare. C'era in lei anche qualcosa che non si poteva notare. Uno stato d'animo misto di ansia, paura e sofferenza la consumava e non l'abbandonava mai. Precisamente come in una maschera, nello sguardo non c'era espressione, non mostrava né felicità né sconforto. Non usciva nulla, tutto era controllato. Disse: «A tanta gente piace parlare, a me no, non sono una gran chiacchierona, le parole che penso non voglio che arrivino alle labbra. Potrei dire della sua simpatia signora, prima che alle parole presto attenzione al volto, i suoi muscoli facciali si modellano alla perfezione per formare il sorriso, il suo è bellissimo signora. Io non sorrido. Oppure potrei parlare del mare, della pioggia e di quei nuvoloni scuri che danzano sull'alto della volta celeste, dire dei sentimenti che muovono. Ma non lo faccio, non posso. Guardo il mondo, ma non lo vivo come gli altri, vorrei riuscire ad appassionarmi alla bellezza di un paesaggio, alla lettura di un libro o all'ascolto della musica, ma non mi arriva nulla. L'arte, la natura, per me non significano niente». Stese una mano ed agguantò qualche goccia di pioggia. Continuò: «C'è una moltitudine di persone non lontano da qui. Ridono, piangono, si innamorano, io non provo mai niente, non mi arrabbio, non mi stupisco... cosa sono? Niente. Sono prigioniera di una mamma priva di comprensione e cervello.

L'unica cosa che mi definisce è la bellezza e questo trucco perfetto, ma queste son cose che non possono definire un'identità, non saranno questi particolari insignificanti ad aprirmi le porte del paradiso. Può accadere se sarò riconosciuta per quello che trasmetto al prossimo, non per il mio bel viso». Rivolse lo sguardo verso l'infinito, in cerca di una risposta, ma sapeva che la sua ricerca era senza fine. Stava per riprendere il discorso, invece decise di tacere. Ebbi l'impressione che fosse presa da una rabbia incontenibile alla quale, ahimè, non sapeva dare sfogo. Sembrava pronta per la sua prima lacrima, ma non le uscì nulla: gli occhi, i suoi occhi, non conoscevano lacrime, mai erano riusciti a bagnarsi. Si chinò verso me e scrutò il palmo della mano, sperava di vedere qualche bel gocciolo colorato, ma non c'era niente, né gocciolo né colore, diversamente dai mortali, non mostrò disappunto e mantenne la sua compostezza e, nonostante il suo volto non rivelasse emozioni, lo sguardo esprimeva dolcezza. Disse: «Conosco soltanto l'esperienza del nulla» Fece una pausa fissandomi tristemente, poi, la ragazza si levò in piedi e si diresse con passo leggero verso il mare. Si volse a guardarmi ancora una volta, mi commossi alla vista del suo volto tanto bello e colorato, quanto spento, senza espressione, pure il corpo sembrava privo di calore. La fanciulla senza nome mi appariva come una tragica statua scolpita nella pietra. L'osservai mestamente mentre tornava a sedersi al suo solito posto. Disse ancora: «Aprirò l'ombrello e guarderò il mare sotto il temporale, come se fossi una ragazza del 1800. Voglio immaginare d'essere come le signorine dipinte da Monet, col mio Walk'n'Carden che mi ripara dal sole e dalla pioggia. Al riparo dall'acqua che scende, aspetterò che la vita mi tocchi, in fin dei conti, sono pur sempre viva, ancora in cerca d'una via d'uscita».

Passarono le ore, svanì la sbornia e arrivò la sera. Isa ed io eravamo ancora vicini, sdraiati sulla sabbia. La pioggia s'era presa una tregua e l'acqua cromatica si amalgamò sopra la sabbia, formando un tappeto di tinte variopinte. Avvolti dal vento e immersi nel silenzio, guardavamo intorno e sapevamo che esperienze altrettanto belle non ne avremmo più vissute. Le stelle erano basse sull'orizzonte e una luna molto luminosa stava sospesa sopra i nostri sguardi. Vedemmo arrivare una moltitudine di donne e bambini, decine di bambini. Avevano assorbito i colori della pioggia ed erano tinti in tutti i modi possibili. Dove era scesa la pioggia verde erano verdi, dove era piovuto giallo erano gialli, ce n'erano celesti e altri erano colorati a chiazze. Superavano alla malapena il metro e portavano Reyban da sole per proteggere la vista da tutta quella sovrabbondanza di colori. Fecero la gioia dell'ambulante quando si raggrupparono intorno a lui. Erano trent'anni che l'uomo viveva faticosamente arrancando su e giù per quella spiaggia senza aver mai avuto il piacere di una sorpresa. Aprì il frigo portatile e iniziò a distribuire succosi gelati, caramelle viola, popcorn verdi, limonata azzurra, nutella gialla e, quando i bambini ricevevano il dono, le mamme pagavano con monetine fucsia. Ci unimmo a loro, conquistati dalla loro stravaganza. Isabella teneva il cane stretto a sé, ma siccome i bambini erano troppo piccini per sapere cos'è un cane, appena videro la sua grande testa nera e la bocca che sbavava, si impaurirono e corsero a nascondersi dietro le mamme. Il vecchio piangente e la ragazza col parasole erano oramai parte del paesaggio, silenziosi e intoccabili, guardavano il mare. Chissà cosa aspettavano; il bacio di chi li avrebbe potuti salvare? Beh, non era facile, poteva farlo soltanto la donna più bella del mondo. In quello strabiliante contesto onirico, eravamo tutti tra il sogno e la realtà, tra la sabbia e il mare, tra la notte e il giorno, i nostri cuori battevano forte ed eravamo soddisfatti, ottimisti, speranzosi.

Allo stesso tempo, sentivamo anche la stanchezza per tutte quelle esperienze vissute in così poco tempo, era giunto il momento di abbandonare quello stato di cose. Chiudemmo gli occhi per alcuni istanti, quando li riaprimmo, le mamme e i bambini non c'erano più. Ero di nuovo immerso nella consueta apatia, tutto era tornato come prima. Mi avvicinai a Isa e la presi per mano, guardai la luna e il cielo stellato. Immaginavo che la vita fosse facile, che quella sera tutto era possibile. C'era un gran silenzio, non si udiva nemmeno lo sciacquio delle onde sulla battigia, vedevo il cielo cliché e sentivo la presenza di Isabella, vicino. Potevo dormire. Come il vecchio Santiago, desideravo sognare di stare in spiaggia e giocare coi leoni. Sognai. C'era il mare, la spiaggia, Isabella e un cane nero, ma i leoni no. Io stavo in mezzo all'acqua, reggendo una bottiglia di sambuca. Bevvi il ripugnante contenuto in un fiato, pisciai nell'acqua e lasciai la bottiglia a galleggiare sulle onde. Poco a poco cominciai a non capire più un cazzo. A quello aspiravo. Guardavo Isa giocherellare col cagnolone e mi sentivo innamorato più che mai. Nemmeno l'ombra dei leoni, ma sulla riva c'era un vecchio che piangeva e una signora che camminava coi piedi nell'acqua. Una bella signora dalla pelle liscia e bianca. Passò vicino al vecchio, gli lanciò uno sguardo amorevole e lo baciò. Ruppe l'incantesimo. Fianco a fianco si incamminarono verso un punto indefinito. Sul soffice tappeto di goccioline colorate, il vecchio procedeva lento trascinando sofferenze. Le sue, e quelle scritte sui pendenti degli addolorati che custodiva nel valigione che tirava dietro faticosamente. La signora fece schioccare le dita e l'omino apparve un po' più curvo, più piccino, divenne un puntino, infine sparì.

L'aveva reinventato in un mondo dove non esisteva la noia e il dolore, a nessuno mancava il coraggio di vivere e tutti riuscivano ad ascoltare i propri battiti del cuore. La procace gentildonna proseguì a camminare e quando passò vicino alla ragazzina le tese la mano, la giovane l'afferrò e insieme si avviarono verso il punto indefinito. Li vedevo allontanarsi, lenti lenti e immaginavo che la fanciulla, già versasse incontenibili lacrime di gioia, era il mio desiderio, ma era presto. Ci voleva un adeguata educazione alle emozioni per sfuggire all'indifferenza che l'affliggeva e commuoversi. Ma l'apprensione e la tristezza non c'erano più. Si, amavo Isabella, ma cercando di cogliere il suo sensualissimo ancheggiare, lo sguardo si posò ancora sulla dama dall'incarnato pallido. Dopo ore così intense volevo arraparmi, avevo bisogno di rilassarmi con una bella scopata virtuale. Ma la signora era una macchiolina sotto la linea dell'orizzonte, a breve sarebbe scomparsa alla vista. Allora la pensai intensamente e, sono sicuro, riuscii a farla vivere da qualche parte sul pianeta. Dove non so. Era lei la donna più bella del mondo, non un astrazione, un altro ologramma generato dal mio delirio alcolico. La desideravo. Era in intimo nero, le tolsi le calze, il reggiseno, infine, finalmente, le mutandine nere. Ero tornato a pensare a cosce da baciare a buchi di culo da leccare, a donne da smutandare. Poi, quando sentii l'eco delle risate del vecchio in lontananza e capii che viveva felice in qualche posto lontano, la mano scivolò al solito posto e detti il lieto fine al sogno tenendomi compagnia da solo. Tutt'altro che da disprezzare, ma se poteva essere considerato un lieto fine farsi una sega con Isabella a mezzo metro da me, mah! Non lo so. Ma si, il vecchio che cantava metteva allegria anche se era un sogno. Era un lieto fine.

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editoriale di Bubi

Cari miei, era il ventisei luglio dell'ottantadue e la spiaggia di tirrenia stava per diventare un luogo inspiegabile, oscillando tutto il giorno tra realtà, magia ed immaginazione. La mia attuale dimora è priva di contorni, qui sono anni che la morte mi osserva con calma, eppure, paradossalmente, ho imparato a trovare in questo spazio indefinito una sorta di piacere, una bellezza che certi momenti mi affascina, a volte mi sembra incantevole. Accade quando aggiungo invenzioni romantiche ai miei ricordi tristi. Poi, quando le racconto, mi perdo in quelle storie, mi commuovo, gioisco, provo meraviglia, sento brividi, percepisco mille sensazioni. Vivo di questo, di passioni immaginate che mi regalano momenti di felicità. Reinventare il mondo, trasformare fantasie in emozioni, mi serve per non morire del tutto, per continuare, in qualche modo, ad esserci. Se racconto di una passeggiata sulla spiaggia, la faccio diventare un viaggio carico di esperienze emotive, se penso ad un temporale, l'immagino come l'opera d'un pittore. Vengo al racconto. La spiaggia era battuta da un temporale e...

...dopo la pioggia la spiaggia era come una cartolina in bianco e nero. Spessi strati di nubi tingevano il paesaggio di tonalità cupe. Alcuni raggi di luce si erano fatti strada attraverso i nembi, rivelando la bellezza dell'eterno spumeggiare delle onde, definendo i bordi della Gorgona. Tutto era ben delineato, ogni dettaglio emergeva con chiarezza. Vicino alla battigia un vecchio fissava il mare, ma non godeva della vista, piangeva. La testa altrove, sentiva dentro una disperazione che doveva trasformare in lacrime. Una ragazza seduta a gambe incrociate, si laccava le unghie. Quando finì la mano destra, rimise il tappo al flacone di lacca e per alcuni secondi la agitò avanti e indietro. E poi c'era il mare, limpido, cristallino, mi piace immaginarlo così, pulito, con centinaia di bagnanti che galleggiavano abbandonati al lento ritmo delle onde. In un attimo la spiaggia si animò e prese colore. Se guardate bene, vedete Isabella che gioca con un grosso cane nero, poco distante ci sono io, sto in mezzo all'acqua con una bottiglia di sambuca tra le mani, non bado alle nuvole, non bado alle onde, ho le labbra incollate alla bottiglia nascosta in un sacchetto di plastica. Finii lo schifoso contenuto dolciastro in un fiato. Era disgustosa. Pisciai nel mare e lasciai bottiglia e busta a galleggiare sull'acqua. A poco a poco le percezioni cambiarono, il mondo e le persone mutarono di aspetto e significato, era il segno che stavo aspettando, voleva dire che iniziavo a non capire più un cazzo...

Per diversi minuti riprese a piovere forte e su quella miracolosa cartolina rimasi con Isabella, il cane e una signora che passeggiava lungo la riva. Una bella signora con la pelle bianca e liscia. Uscii dall'acqua e mi unii a Isabella che stava giocando col cane. Dissi «Ci vieni con me a Tangeri?» Isabella scosse la testa: «A Tangeri? Perché Tangeri? Tangeri non va bene, non volo con l'aereoplano, soffro di cuore.» Confrontai mentalmente i fianchi e le gambe della signora con quelle di Isabella, continuai: «Chi soffre di cuore non può volare con l'aereo?» Sorrise: «Che guardi?» «Niente, cercavo di vedere se da qualche parte c'è un bar... beh, diremo al pilota di volare basso...» Conclusi sorridendo e lasciando la frase sospesa. «Ma sei spiritoso!» Ribatté. Isabella mia. Isabellona mia, Isabella che volevi essere la mia, dolce Isabella che tenevi sempre il cuore nel luogo sbagliato. Gli occhi corsero alle belle gambe e al culo della signora, muoveva i fianchi come non avevo mai visto fare a nessuna.

Era una giornata magica. La pioggia aveva smesso di cadere. C'era il sole. La spiaggia si animava e si svuotava. Era in bianco e nero, subito dopo prendeva colore. Era come i miei pensieri, i miei stati d'animo e tutto ciò che attraversava la mia vita, ora bianco, ora grigio, ora luminoso, ora senza speranza. Quadri mutevoli che mi disegnavano alla perfezione. Nel vano scorrere dei giorni, mi perdevo negli imprevisti del destino e ogni evento mi attraversava lasciando emozioni incerte. Con occhi opachi scrutavo il mondo come se non ci fosse niente che avesse interesse. Sentivo il richiamo dell'amore, ma restavo inerte, incapace di procedere, fermo sulla soglia, sospeso tra l'attesa e l'oblio. Spettatore passivo di me stesso, vagavo smarrito tra le mie fantasie, la voglia di vivere, l'indifferenza e il timore d'essere escluso. Per non farla scegliere agli altri, scelsi l'esclusione.

La spiaggia era di nuovo popolata da migliaia di persone e, immersa tra la gente, Isabella carezzava il cane. La signora dalla pelle bianca era tornata sui suoi passi e s'era seduta sul gavone d'un pattino. Trasse dalla borsa un arancia avvolta nella stagnola, accavallò le gambe ed iniziò a sbucciare il frutto. Cercavo di costringermi a non guardarla, ma non ci riuscivo. La fissavo. L'immaginavo in intimo nero. Lentamente le tolsi le calze, il reggiseno, infine, finalmente, la smutandai. Che bello, mi suonavano i campanellini in testa. La signora mi notò, ripose l'arancia nella stagnola e scese dal pattino allontanandosi, incrociò Isabella che stava venendo da me: «Che razza di stronzo!» Dissi a me stesso. Prima che Isa mi raggiungesse, corsi di nuovo in acqua. Quando riaffiorai, salutai con la mano ed esclamai: «Vieni è calda!» allo stesso tempo pensavo: «Che parlo a fare, devo trovare due o tre birre». Uscii dall'acqua prima che lei potesse considerare una scelta, stava in piedi vicino alla ragazza che si laccava le unghie. All'orizzonte si erano raggruppati nuvoloni scuri e lungo la battigia, una densa nebbia. Si allargava e si rimescolava riempendo ogni spazio sulla costa. Indifferente a quello che accadeva, la ragazza si guardava il mignolo della mano sinistra. Sfilò un pennellino da una boccetta ed iniziò a passarlo sull'unghia.

Tornai ad osservare Isa. Cercavo di capire cosa stava pensando, ma era impenetrabile. Quando mi incamminai sul bagnasciuga, mi seguì. Mi vedeva barcollare mentre cercavo di tenere una linea dritta. Continuò a guardarmi anche quando crollai esausto vicino all'acqua. Perché!? Ma perché dovevo fare queste cose degradanti senza un minimo di vergogna, perché!? Era che, quando sentivo il bisogno di avere una vicinanza con Isabella, qualcosa mi guidava in circostanze dove suscitavo compassione. Isabella povera stella mia, poverina, non era abituata a queste situazioni e non sapeva cosa fare vedendomi strascicato sul bagnasciuga, quasi privo di conoscenza. S'inchinò e mi guardò con affetto. Teneramente mi passò più volte la mano nei capelli. In spiaggia ogni cosa stava al posto giusto. Le signore che leggevano il settimanale sotto l'ombrellone, l'ambulante col frigo portatile a tracolla, la ragazza che si smaltava le unghie, il vecchio piangente seduto a fissare il mare. In quel quadro non ci combinavo un cazzo. Che tristezza, tutto era triste, molto triste.

«Bella vero?» «Chi?» «Chi? Lo sai benissimo, quella signora, quella che passeggiava vicino a noi, quella che si è seduta sul pattino.» «Eh?» «Eh? Fai finta di non capire? Non sono scema... non c'è bisogno che rispondi... non stai bene, si vede, riprenditi và.» Isa socchiuse gli occhi. Immaginò che eravamo amanti insieme ad altre coppie innamorate. Che stavamo a flirtare in un bar di Marina di Pisa, che si sorseggiava una tazza di tè freddo, che si chiacchierava d'amore e di cose futili. Pensò che il discorso cadesse su quando, all'inizio dell'estate, seduti su una panchina di marmo, ci baciavamo. Che tra un bacio e l'altro, le avevo detto: «Sei il mio amore e lo sarai per sempre.» Per qualche istante fu presa da un infinita tristezza. Un grosso lacrimone le corse giù per una gota. Stava piovendo di nuovo ed erano gocce portate dalla provvidenza. Col viso coperto di pioggia e lucciconi che le tremolavano tra le palpebre, Isa si rasserenò e continuò a guardarmi amabilmente. Il suo sguardo mi avvolgeva come un caldo abbraccio. La sfiorai, lei si strinse a me. Rimanemmo così a lungo. Senza parlare. Mi sentii sollevato ma la tristezza non se ne andava.

Avevo un gran bisogno di riposare, volevo dormire stretto a lei. Non dovevo cercare lontano. Era lì. Fragile e incompiuta. E non cercavo di figurarmi che eravamo fatti l'uno per l'altro. Con lei non volevo qualcosa di speciale, ci stavo bene e questo era abbastanza. Era il mio riparo e, per come l'intendo io, amore è essere rifugio per una persona che desideri, e in lei trovarlo. Mi sembra abbastanza. Ero incompiuto anch'io. Le mie cose dell'amore non funzionavano e non funzionava neanche il resto. Non funzionava niente. Mi consumavo in una ossessiva ricerca di appagamento sessuale, era inevitabile, direi. Non conoscevo altro. Con Isabella sarebbe stato diverso. Forse. Però non mi suscitava pensieri erotici, niente da quel punto di vista. Non pensavo nemmeno di scoparla, m'ero fatto un paio di sciagattate tra i venti e i ventitré, sempre ubriaco e pompando col solo scopo di venire. Soltanto per dimostrare a me e agli altri che lo sapevo fare. Ma col tempo, diventava più difficile. Quando lo facevo, lo facevo così, senza coinvolgimento. Cercavo anche di appassionarmi a sto cazzo di sù e giù, niente da fare, mi passavano per la testa pensieri d'ogni tipo, allora facevo finta che mi piacesse. E quando si finiva, ci si abbracciava. Due sciagattati stavano abbracciati sul letto senza un perché.

Meglio una sega. Se mi concentravo su una fantasia erotica funzionava alla grande. Ma le fantasie non sono amore. Quello mancava sempre. Lo volevo da Isabella. Assolutamente. L'avrei voluta vicino a me ogni istante, ma per passarci un pomeriggio insieme e non andare in crisi, dovevo sbronzarmi. Era assurdo, lo so, ma che vuoi farci, ero così. Passavo le giornate con una donna che non potevo scopare perché l'amavo. L'amavo. Mah, non lo so, a parte l'amore immaginato, oggi mi è precluso tutto. A dir la verità anche allora, anche allora il pensiero di stare con una donna senza aver bevuto, mi faceva venire un ansia terribile. Ma ogni tanto ci provavo. Quando non andava, mi consolavo con la bottiglia, non era un gran rimedio, ma placava il dolore, poteva bastare. Gli stati d'animo belli me li dava Isabella, con lei vicino mi sentivo appagato. Con tutto ciò, le mie fantasie erano per donne che non conoscevo, donne che mi interessavano solo per avere orgasmi. Donne immaginate che erano esattamente come piaceva a me. Con Isabella non poteva essere esattamente come piaceva a me. Non potevo metterle parole in bocca e farle provare quello che desideravo io. Questa era la mia vita, tenere fantasie romantiche, alcool e seghe. Non sapevo cosa fosse vivere da "normali," e, per loro, i "normali," ero un demente. Sicuro. Però, se hai il superalcolico a portata di mano, te ne freghi di critiche e problemi, non ti arriva nulla. Tra bevute e ogni altro tipo di sballo, vivi a testa di cazzo, cerchi altre teste di cazzo, passi il tempo a far niente, sperare niente e dire cazzate. Poi ti addormenti. E quando sei di nuovo sveglio, la prossima bottiglia di robaccia schifosa sta già aspettando. Lo so che non era una buona soluzione. Ma anche quella mia vita di merda era una vita, anche buttarsi di fuori fino a non capire più un cazzo era pur sempre un rimedio.

La pioggia cadde molte volte prima che calasse l'oscurità. Io giacevo a terra, Isa si adagiò accanto a me. Silenzio dentro noi, silenzio fuori, per ascoltare la voce della natura. Le gocce cadevano leggere, picchiettando ovunque posandosi sulla sabbia dorata, su pacchetti di sigarette gettati via, su flaconi di crema solare dimenticati, sulle carcasse di creature decomposte, su bottiglie di plastica. Cadevano su tutto ciò che era diventato inutile, su me su Isa, sulla nostra esistenza. S'era formato un rivolo d'acqua, scivolava tra i viottoli silenziosi, sprizzando, ribollendo, borbottando, bagnando ogni cosa. Portava con sé gocce avvelenate che infradiciavano e contaminavano i fiori, obbligati a piegare il capo e appassire. Che tristezza, ma non c'è dolore che possa offuscare la poesia che abbiamo in noi, la troveremo sempre, oltre che nel canto della pioggia, pure in una pineta dove non ci sono più gli odori, i colori, le luci di sempre, solo sporcizia. Dove sono quei bei temporali che inzuppavano i boschi e dopo aver bagnato rami e foglie, tutto sgocciolava e ogni cosa era in festa?

Parlo di un tempo lontano. Guardavamo la pioggia, leggera e multicolore, danzare su tutto ciò che non serviva più. Sul immondizia. Il suo puzzo si mischiava con quello del temporale estivo e vi si perdeva. In quella natura trasformata, quello che era scarto aveva invaso il pianeta riducendo in agonia ciò che vive. Dove giacevano i sacchetti di plastica corrosi, in quanto l’umanità aveva rigettato, si rivelava il nostro lato oscuro. Sotto il peso del consumo sfrenato il mondo era mutato e il pattume era divenuto il nostro triste accompagnamento. I fanciulli nascondevano gli occhi dietro una barriera di dita, cercando di evitare lo sguardo su quel cielo malato, ma i loro occhi erano tristi e lacrime li inumidivano. Già i veleni avvolgevano il globo come un amante appassionato e in questo mortale abbraccio, i cieli avrebbero presto esalato l'ultimo respiro. Ma volteremo le spalle anche a questa evidenza, infine, vagheremo senza meta, senza scopo, prigionieri dentro un vortice di autoinganno.

Immerso in queste malinconiche riflessioni, volto proteso al cielo, godevo a lasciarmi penetrare dalla pioggia e dal profumo del mare. Ascoltavo in silenzio il ticchettio costante delle gocce. La pioggia scendeva leggera dando vita ad una sinfonia visiva, pareva d'ascoltare: One of These Days dei Pink Floyd. Le piccole perle d'acqua cadevano senza sosta, pennellando colore su tutto. S'era formato un nuovo paesaggio, mi sembrava d'essere intrappolato in un dipinto di Banksy. La spiaggia bruciava sotto il sole rovente e il fetore avvolgeva la terra in un manto umido di tristezza. Pensavo che la natura, offesa da tanta sporcizia, prendesse le distanze da ciò che dissonava dalla bellezza che aveva sempre creato. Ma, ora lo so, la natura non segue né le leggi degli uomini né dettami poetici, non sa cos'è il bello e non partecipa in alcun modo alle cose cui noi diamo importanza. E noi, Isa ed io, abbagliati dal sole e dalla colorata apparenza di quel mondo, continuavamo a godere, inzuppati d'acqua e coi nasi all'insù.

Il vecchio piangente stava seduto e fissava le onde. Per un po' lo guardai cercando di capire cosa lo affliggesse. Stava lì da chissà quanto tempo...

[CONTINUA, DOVE? NELLA SECONDA PARTE]

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editoriale di RamirezAlHassar

L'India, con la sua ricca storia, vasta popolazione e rapida crescita economica, è spesso vista come un paese che ha dalla sua parte tutte le carte in regola per diventare una (super)potenza mondiale. Tuttavia, una valutazione attenta delle sfide interne ed esterne che l'India affronta suggerisce che raggiungere tale status è un'impresa molto difficile, se non impossibile. In questo editoriale, cercherò di discettare circa alcune delle principali ragioni per cui l'India potrebbe non riuscire a diventare una vera potenza mondiale reale ma solo una pedina schiava delle adulazioni retoriche dell'occidente. Mettere un occhio sulle sfide politiche, economiche, sociali e strategiche che il paese deve affrontare, mettendo in luce gli ostacoli che potrebbero limitarne l'ascesa e discuteremo delle misure necessarie per superare tali sfide e realizzare il suo pieno potenziale.

Povertà e disuguaglianza: Una delle principali sfide che l'India deve affrontare è la persistente povertà e la disuguaglianza sociale ed economica (le poche grandi eccellenze produttive del paese sono in zone circoscritte, molte delle quali sottomesse comunque a manodopera sottopagata da multinazionali occidentali). Nonostante i progressi compiuti nel ridurre la povertà, milioni di indiani vivono ancora in condizioni di estrema povertà, con accesso limitato all'istruzione, all'assistenza sanitaria e ad altre risorse essenziali. Inoltre, la disuguaglianza tra le classi sociali rimane un problema significativo, con una distanza sempre più ampia tra i ricchi e i poveri. Questa disuguaglianza crea divisioni sociali profonde, mina la coesione sociale e limita il potenziale di sviluppo dell'India, senza dimenticarci il fatto che l'india è una società ancora oggi divisa in caste.

Infrastrutture: Un altro ostacolo cruciale per l'India nel suo cammino verso la potenza mondiale è la sfida dell'infrastruttura inadeguata. Sebbene siano stati fatti progressi nel settore delle infrastrutture, il paese continua a lottare con problemi di connettività stradale, ferroviaria e aerea, nonché con una fornitura di energia instabile. Questi ostacoli limitano la crescita economica, rallentano lo sviluppo delle aree rurali e scoraggiano gli investimenti stranieri diretti. L'India deve affrontare in modo deciso questi problemi, investendo in infrastrutture moderne e sostenibili per stimolare la crescita economica e migliorare la qualità della vita dei suoi cittadini.

Governi e corruzione: La governance inefficace e la corruzione dilagante sono altre sfide che l'India deve affrontare nel suo percorso verso la potenza mondiale. La burocrazia complessa e le pratiche corrotte rallentano la presa di decisioni, ostacolano l'efficienza dei servizi pubblici e scoraggiano gli investimenti stranieri. Per diventare una potenza mondiale, l'India deve adottare misure concrete per migliorare la trasparenza e rafforzare lo stato di diritto.

Istruzione e manodopera: L'istruzione di qualità e la disponibilità di una forza lavoro qualificata sono fattori cruciali per il progresso di un paese verso la potenza mondiale. Nonostante i progressi compiuti nell'accesso all'istruzione, l'India affronta ancora sfide significative in termini di qualità dell'istruzione e disparità nell'accesso. Inoltre, il divario tra le competenze richieste dal mercato del lavoro e quelle possedute dalla forza lavoro rimane un ostacolo. Affrontare queste sfide richiede investimenti significativi nell'istruzione, nella formazione professionale e nel miglioramento della qualità dell'insegnamento, al fine di sviluppare una forza lavoro altamente qualificata e adattabile alle esigenze dell'economia globale.

Divisioni etniche e religiose: L' India come la conosciamo noi non ha un identità, non è altro che un insieme di nazioni, molte di queste in lotta fra loro stesse. Il paese infatti è altamente diversificato con una vasta gamma di gruppi etnici (ci sono oltre 2000 etnie e non hanno una lingua comune visto che meno del 50% della popolazione parla hindi come madrelingua), culturali e religiosi (circa 300 milioni di sono mussulmani, che ne fa il principale nemico dell'india ovvero il Pakistan) di conseguenza, le tensioni etniche e religiose possono minare la coesione sociale e la stabilità del paese. Un aspetto da non sottovalutare è il fatto cheL' India non ha mai esteso la sua influenza, ha sempre subito le dominazioni degli altri paesi, per di più potenze con un comporto demografico assai esiguo, il caso più famoso quello dell'Inghilterra che con 25 milioni di persone ne prevarica 250 milioni, inculcando ideologie occidentali di prevaricazione facendo inimicare tra di loro le varie etnie, sarà analogo in africa lo scontro tra Hutu e Tutsi. L'India deve quindi affrontare questi problemi con una leadership inclusiva, promuovendo la tolleranza, il rispetto e la diversità. La coesistenza pacifica tra i diversi gruppi è essenziale per lo sviluppo sostenibile e l'ascesa dell'India come potenza mondiale.

L'India, con la sua popolazione numerosa, la ricchezza culturale e la crescita economica, ha il potenziale per diventare una potenza mondiale. Tuttavia, affronta sfide significative che potrebbero ostacolare il raggiungimento di tale status. La povertà diffusa, la disuguaglianza, l'infrastruttura inadeguata, la governance inefficace, l'istruzione limitata e le tensioni etniche e religiose rappresentano ostacoli importanti da superare. Affrontare queste sfide richiederà un impegno deciso e sforzi congiunti da parte del governo, delle istituzioni e dei cittadini indiani. L'India deve concentrarsi sulla riduzione della povertà, sull'investimento in infrastrutture moderne, sulla promozione di una governance trasparente e sulla valorizzazione dell'istruzione di qualità. Inoltre, è essenziale promuovere l'armonia interreligiosa e l'inclusione sociale. Solo affrontando queste sfide in modo efficace, l'India potrà realizzare il suo pieno potenziale e aspirare a diventare una vera potenza mondiale.

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editoriale di Elfo Cattivone

Notizia di questi giorni è che il governo indiano ha tolto dai programmi scolastici la teoria dell'evoluzionismo di Charles Darwin.

Panico ed allarmismo come reazione dei media occidentali: la pseudoscienza avanza! Il paese più popoloso del mondo, pare abbia superato la Cina, non insegnerà più ai suoi giovani ciò che dice la scienza! ASSURDO!!!! Pericolo!!!

Il fatto è abbastanza epocale e segno dei tempi che stiamo vivendo, in cui un impero consolidato e che si pensa indistruttibile ha iniziato a morire.

Forse nessuno di noi occidentali ci ha mai badato, ci hanno insegnato fin da piccoli che siamo discendenti delle scimmie, l'ha scoperto infatti Darwin, e ci va bene così, anche perché l'alternativa è credere a quei pretacci oscurantisti che hanno dominato incontrastai per duemila anni sfruttando i dogmi ed il senso del peccato. Però quanti si sono presi la briga di approfondire un pochino di più?

Si sa che la scienza deve dimostrare ciò che dice, nessuno deve credere senza dimostrazione.

Già peccato che la teoria dell'evoluzione della specie presenti i famosi anelli mancanti: si passa dall'ominide A, che deriva dalle scimmie, all'ominide B, poi all'ominide C e così via fino a noi. Ogni volta c'è un salto, dall'ominide A a quello B si passa con un agile balzo evolutivo, senza nessuna progressione, senza che ci sia la via di mezzo che testimoni come A sia diventato B adattandosi all'ambiente. Misteri della scienza.

E quindi niente, il darwinismo da teoria scientifica si cristallizza in dogma, dogma scientista che fa il paio col dogma creazionista tanto caro ai prelati.

Sui dogmi scientisti ci sarebbe molto da dire, ormai che le religioni tradizionali hanno perso la presa sulle masse assistiamo al pullalare di vari Savonarola della Scienza che lanciano anatemi e maledizioni contro gli “eretici”. “Lo dice la Scienza!”, “Non credi alla Scienza!” sono ormai tuonanti rimproveri a cui siamo purtroppo abituati. Mettere nella stessa frasi le parole credere e scienza è qualcosa che grida vendetta, ma alle masse sembra poco importare la deontologia del metodo scientifico. La parola d'ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti: credere! (nella scienza, quella che diciamo Noi)

E così l'occidente si trastulla nella sua superiorità culturale, pensando che il caso abbia generato il tutto a partire da reazioni chimiche con probabilità bassissime di avvenimento, tutte queste reazioni con dei concatenamenti quasi improbabili, grazie a colpi di fortuna continui creano cellule viventi, che poi si evolvono in esseri più complessi e sempre grazie a botte di culo al limite dell'immaginabile (tutte in sequenza!) diventano scimmie, che poi diventano ominidi autocoscienti ed infine dopo qualche balzo discontinuo, sempre fortunoso, Homo Sapiens Sapiens.

Un po' come se alcuni pupazzi di neve diventassero autocoscienti e per spiegarselo tra di loro dicessero di essere nati per caso, a partire da una combinazione favorevole di vento modellante durante una nevicata. Per spiegarsi come una carota sia diventata il loro naso l'impegno sarebbe notevole comunque, magari qualche seme ogm resistente al gelo si è depositato sopra ai sassolini che fungono da bocca.

Ritornando agli Indiani forse dimentichiamo che nei loro testi antichi si parla di 400000 specie umanoidi che abiterebbero questo universo, che certe tradizioni millenarie raccontano storie molto differenti dalle nostre tradizioni positiviste che hanno solo qualche secolo sul groppone. La nostra arroganza di uomini moderni ci porta a credere che tutti gli antichi fossero dei bifolchi creduloni, Esiodo ci parla di cinque differenti umanità, ma si sa, una volta erano tutti stupidi, non credevano nella Scienza!

Sorvoliamo su tutti quei fastidiosi teschi dolicocefali che spuntano in giro, si vede che l'ominide da cui discendeva Akhenaton non è ancora stato scoperto.

Comunque con un po' di autocritica e rimettendosi in gioco magari riusciremo a liberarci di dogmi e credenze che ritenenvamo intoccabili e ci incammineremo sul sentiero in cerca della verità sulle Origini, un tema bello grosso e importante, che a chi fa comodo che noi si pensi di essere solo degli “scimmioni” non piace che si tocchi. Sia mai che poi smettiamo di credere a certe favole che ci raccontano.

Gli Indiani hanno iniziato a smarcarsi e non è un caso che il darwinismo, così come il positivismo siano una creazione anglosassone. L'impero anglosassone sta infatti iniziando a prendere schiaffi a destra e a manca e i paesi che fino ad ora hanno subito culturalmente, economicamente e militarmente stanno alzando la testa. Le conseguenze delle politiche decrescetiste, pseudo-ambientaliste e autolesioniste occidentali cominciano a farsi vedere e nel mondo è pieno di gente che non vede l'ora di sbranare il vecchio predatore ormai decrepito.

Quando i Turchi entrarono a Costantinopoli non trovarono più alcuna resistenza, solo alcuni alti papaveri religiosi che disquisivano sul sesso degli angeli. Mi immagino le risate degli invasori quando si troveranno di fronte ad un dibattio su quanti differenti sessi sono contemplati nella comunità lgbtq+++++. Si sa che i sessi sono più di due, lo dice la Scienza!

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editoriale di iside

"Alcune persone pensano di poter trovare soddisfazione nel buon cibo, nei bei vestiti, nella musica vivace e nel piacere sessuale. Tuttavia, quando hanno tutte queste cose, non sono soddisfatte. Si rendono conto che la felicità non è semplicemente saziare i propri bisogni materiali. Pertanto, la società ha istituito un sistema di “ricompense” che vanno oltre i beni materiali.

Queste includono titoli, riconoscimento sociale, status e potere politico, il tutto avvolto in un bel pacchetto chiamato “autorealizzazione”.

Attratti da questi premi e spinti dalla pressione sociale, le persone trascorrono la loro breve esistenza affaticando corpo e mente per inseguire tali obiettivi. Forse questo dà loro la sensazione di aver ottenuto qualcosa nella loro vita, ma in realtà hanno sacrificato molto nella vita.

Non possono più vedere, ascoltare, agire, sentire o pensare col loro cuore. Tutto ciò che fanno è regolato dal fatto che con le loro azioni possano ottenere guadagni sociali oppure no.

Alla fine, hanno passato la loro intera esistenza seguendo le richieste degli altri, senza aver mai vissuto una vita propria.

Quanto è diversa questa vita da quella di uno schiavo o di un prigioniero?”

vissuto fra il V e IV secolo a.C

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editoriale di Confaloni

Non mancano, oggigiorno, problemi di grande entità, ma leggendo in questi giorni dell'intervista rilasciata da Elly Schlein, segretaria del PD, alla rivista "Vogue" con l'ormai celebre riferimento alla armocromia e conseguente armocromista, non nego di essere rimasto di sasso. E non solo per il fatto di non essere edotto sulla suddetta arte , ma per altri motivi ovvi. Intanto mi è venuto da pensare ad illustri politici italiani attivi in passato ( e non solo al carismatico Enrico Berlinguer, fu segretario del PCI antenato dell'attuale PD) che si distinguevano per abbigliamento e modi sobri e mai sciatti, oltre ad esercitare sapientemente la prassi politica con una certa incisività ed un ricorso esemplare all'arte dialettica ed oratoria (su YouTube c'è ancora traccia di qualche puntata di Tribuna Politica del tempo che fu e confrontate con l'odierno twittare di troppi attuali politici).

Ma oltre a ciò, mettiamoci nei panni di tanti, troppi lavoratori ( più o meno giovani) i cui impieghi precari mal retribuiti non consentono il lusso di pagare un armocromista per farsi indicare il miglior accostamento cromatico fra abiti da indossare e propria carnagione.

È inevitabile, quindi, chiedersi se Elly Schlein non sarebbe stata più accorta se, sul tema look personale, fosse rimasta su un generico riferimento ad una cura all' abbigliamento senza scomodare armocromia e armocromista. Un po' di riservatezza non guasterebbe, a mio avviso.

A meno che il messaggio subliminale sia di curare il look, costi quel che costi e in barba alle ristrettezze economiche che affliggono tanti italiani. In tal caso si deve apprezzare la lungimirante Elly Schlein, poiché nel caso in cui dovesse avvenire un'ipotetica rivoluzione sarebbe cosa saggia accertarsi di avere a disposizione un abbigliamento conforme alla carnagione ed essere quindi opportunamente vestiti. Proprio per evitare di essere nudi come le anime dannate nell'Inferno dantesco...

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editoriale di JonatanCoe

Ebbene si, il genere umano ama i cambiamenti, vive e si rigenera con essi. Ci cambiamo l'abito
per stimolare noi stessi e gli altri, l'intimo per non nauseare noi stessi e gli altri. Cambiamo auto,
bici, frigorifero, olio motore ogni diecimila chilometri.

Cambiamo tutto ma, come regola vuole, c'è sempre un'eccezione: quella vecchia, logora maglietta
della nostra rock band preferita. Un tempo nera, oggi ci restituisce un improbabile grigio steel,
martoriata da migliaia di cicli in lavatrice, dal sole e da copiosi bagni di sudore. Nonostante tutto è
sempre lì, stirata e piegata nel nostro armadio come un Santo Graal.

Ecco, in questa premessa possiamo leggere la bontà della nuova veste grafica voluta da
S.B. [Sommo Bolzanino N.d.R.]. Cambia solo il contorno mentre il fulcro delle nostre passioni
(musica, cinema e arti varie) continua ad avere una posizione di primo piano.

Per quel che mi riguarda questa mutazione mi piace e impreziosisce il sito.

Ritengo che la nuova grafica sia più schematica, ordinata e intuitiva, arricchita da nuovi indici che
la rendono perfetta. Fantastica, nella pagina personale, la sezione dedicata alle proprie tag e
imperativo la reintroduzione degli editoriali, inspiegabilmente spariti. Evidenzio inoltre un formato
decisamente più grande per le immagini nei commenti. Pian piano scoprirò tutte le altre novità,
salvo voglia elencarcele direttamente l'estroso autore G!

S'è persa la vecchia mappetta dei colori e sia lodato il cielo!
Qui si parla di Pink Floyd, Deep Purple e Metallica e le tonalità da camera dei bambini ci stavano
come le acciughe con le fragole! Benedetto venerato Bianco e benvenute Tenebre (se vi piace la
modalità scura), a mai più Rosa Barbie!

Molti di voi non hanno accolto bene questa ventata d'aria fresca, mi pare evidente. Credo che
gran parte del malcontento sia fondato sul fatto che abbiamo bisogno di tempo per accettare i
cambiamenti, specie quando non ne siamo direttamente gli artefici. Ci sarebbe inoltre un altro
motivo legato all'ego: quanto ci piaceva la nostra pagina personale con tutti quei gruppi, premi
e menzioni, messi in risalto come una patacca da Generale di Stato Maggiore?! A tal riguardo
sono politicamente e eticamente propenso al bene comune, quindi viva il cambiamento, viva la
madre patria, viva Debaser!

Hasta la mucca siempre!

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editoriale di Abraham

Perché avete cambiato la grafica ? Era meglio prima. Così è fredda, anonima, confusionaria.

Prima era meglio, molto meglio.

Non mi piace. Rimettete come prima.

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editoriale di BobAccioReview

Ieri stavo vedendo Moonage Daydream, un gran filmone, sia per le immagini che per la sorpresa di vedere un giovane David Bowie parlare (lo capivo grazie ai sottotitoli in italiano) e articolare arguti pensieri. Tra questi quello che mi è piaciuto più di tutti (sono riuscito a vedere per ora solo 20 minuti del film, perché ancora mi dispiace tanto pensare, proprio attraverso il film, che un personaggio così intelligente, di enorme spessore e verve vitale non ci sia più, e personalmente non lo considero non vivente, come pochissimi altri andati via da qui già da tempo) è quando racconta che da ragazzo amava moltissimo la musica di Fats Domino, che per lui rappresentava qualcosa di grande, ma non ne capiva il cantato, e ancora non lo capiva al tempo in cui rese questa dichiarazione, perché la sua pronuncia americana diventava alquanto ostica da recepire. Tuttavia in termini di energia e feeling gli piaceva da matti e voleva far parte di quella eccezionale scia musicale che Fats elargiva coi suoi dischi. Questo per sottolineare l'importanza che la musica aveva per lui, andava oltre le parole.

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editoriale di BobAccioReview

Kurt Cobain vive ancora nella memoria degli scadenzari delle riviste e dei siti musicali. Questi sembrano molto interessati a dettagli da gossip. Niente che tocchi il ruolo della musica e della scena di allora, i venti di cambiamento di cui erano fautori e nessun accenno al fatto che erano il minimo comune denominatore di una generazione che si rinnovava attraverso il grunge. Davvero poco, o niente. Eppure la vigorosa scena di Seattle e della Sub Pop era fiorente e variegata. Forse è già stato detto tutto in questi 30 anni e quindi le cose perdono valore, scemano e non sono più attuali, rimarcabili. Restano dei piatti dati di fatto, afferenti agli ultimi giorni di vita di Kurt, che non portano altro che a stigmatizzare il suo gesto, vige il rammarico. Un mito indistruttibile che stenta a vibrare e a dare uno smash vincente nell'altra metà campo, cioè in quella che riduce la portata culturale del periodo e che in Cobain ha avuto il suo esponente massimo, di un movimento che si incarnava nella non uniformità della vita e della lotta politica ai politici dittatori e schiavisti. Aderire a sentimenti di libertà è sempre possibile, anche da vecchi, ma per carità, non rimbambiti.

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