... E noi, Isa ed io, abbagliati dal sole e dalla colorata apparenza di quel mondo, continuavamo a godere, inzuppati d'acqua e coi nasi all'insù.
Il vecchio piangente stava seduto e fissava le onde. Per un po' lo guardai cercando di capire cosa lo affliggesse. Stava lì da chissà quanto tempo, da sempre. Forse. Si era attaccato al collo il pendente degli addolorati così che, gli afflitti, i sofferenti, i depressi che passavano potevano scriverci la loro memoria triste. Ed erano tanti. Isa guardava nella mia stessa direzione, ma sembrava vedere solo l'azzurro del mare. Pensai: «Quel vecchio è un ologramma, lo vedo solo io. È il simbolo di ingiustizie e miserie, la rappresentazione dell'umanità divisa tra crudeltà bestiale e l'ingenuità di un bambino. Al mondo ci sono troppe guerre, odio, dolore. Stiamo distruggendo tutto, siamo belve e bambini allo stesso tempo. Quel vecchio ha in sé l'angoscia e l'infelicità di tutti noi. Non è giusto che pianga per sempre. Lo può svegliare solo il bacio della donna più bella del mondo» Ma i villeggianti gli passavano davanti senza notarlo, avevano lo sguardo di chi guarda qualcosa che non esiste. Vedendomi assorto a fissare il nulla, Isa mi scosse: «Cosa ti piaceva di lei? Le gambe? Come muoveva i fianchi? Avrà avuto... uhm, una quarantina tutti, ma, poteva averne anche di più, anche cinquanta.» Tacque un attimo vedendomi pensieroso a guardare le onde. Continuò: «Complimenti signora! Perché non sei andato a dirglielo? Meglio di no, vero? Sei un ragazzo timido, è più facile guardarla e farsi le fantasie». S’azzittì quando notò che non badavo a quanto diceva. Indicai un punto vicino al bagnasciuga e domandai: «Isa, tu lo vedi quel vecchio?» Isa guardò dove indicavo e replicò: «Non c'è niente li, Vale, niente.» Pensai: «Forse sono io il vecchio. Piango perché non so prendere iniziative per cambiare il mio destino».
Ombre e luci si davano il cambio assumendo il colore delle nostre sofferenze e delle nostre gioie. Intanto, la pioggerella multicolore continuava a scendere, ci dipingeva con magiche pennellate di rosso, lillà, verde, blu. Isa sembrava un dipinto surreale. Le gocce ci avevano disegnato addosso il mosaico dei nostri stati d'animo, avvolti in un caleidoscopio di sentimenti, passavamo da entusiasmo a noia, da euforia a tenerezza. Intanto, la ragazza immersa nel suo mondo, rimaneva immune alla trasformazione che avvolgeva la costa. Non faceva caso alla cascata di colore che scendeva dal cielo e cambiava la natura. Mi venne da pensare: «Quella ragazza non vede e non vuole.» In quel contesto così particolare, colui che l'aveva creato pensò ad una piccola magia anche per lei. Come d'incanto le apparve tra le mani un ombrellino, un Walk'n'Carden del 1800. Subito l'aprì per ripararsi dalla pioggia. Prese un rossetto dalla borsetta e, stando attenta a fare un contorno senza sbavature, iniziò a passarlo sulle labbra. Era una bella ragazzina e aveva il dono di contagiarmi d'amore, quale non so, ne avevo molti, romantici, passionali, contemplativi. Lo sguardo tornò su Isa. Era tutta bagnata. Sembrava un'arlecchina attraversata da flussi elettrici. Le gocce le si erano combinate sul viso e sul corpo in una complessa rete di linee, scarabocchi e macchie, era come se l'avesse pitturata un artista. Provate ad immaginarla con gli occhi gialli, il viso dipinto e i capelli arruffati bagnati di pioggia colorata.
Non sapevo se quello che stavamo vivendo fosse vero o la creazione di una mente, la mia, impazzita per i troppi eccessi. Non sapevo se pioveva o se era bel tempo. Capii soltanto che mi piovevano addosso tutte le emozioni che si possono provare. Mi avvolgevano. Che bello. Mi piaceva essere attraversato da stati d'animo multicolore. Mi persi nell'illusione di provare momenti di felicità. Io, che mai li avevo provati. Mai. Se affoghi tutto nell'alcool, inevitabilmente, quello che più desideri e quello di cui l'alcool ti ha privato. Bevevo perché credevo che aiutasse a essere simpatico. Facevo le battute del cazzo e raccontavo barzellette del cazzo. Quante cose del cazzo che facevo. Una dietro l'altra. Trascinavo le giornate facendo il buffone e nessuno pensava fossi simpatico. Un imbecille, probabilmente. Ma mi assolvo, non ci sono colpe negli errori dei disperati. Cosa ci voleva per capire che il mondo sta in piedi solo se riusciamo ad esprimere amore? Non ci riusciamo. Divento triste e mi cade una lacrima. Quanto mi piacerebbe farla arrivare al prossimo. Ma non potrò mai, qui non c'è nessuno. Sono destinato a stare in eterno senza gioia. Condannato ad invecchiare inventando personaggi fantasiosi da ricamare nelle mie infelici storie vere. Storie che da anni racconto ad un pubblico che non può ascoltarmi perché non c'è. Però, ora conosco i sentimenti. So perché originano, riesco a provarli e capisco chi li ha. Ci sono anche quelli che vivono senza averli e chi li nasconde perché non sa gestirli. Io, a quel tempo. Amarezze e gioie erano uguali. Affogavano nel liquore bevuto poco prima e andavano via senza lasciare traccia. Poco dopo, sparivano anche dalla memoria. Da un po' di tempo ho imparato a piangere. Mi capita spesso. Poi rifletto. Su tutto, più che altro sui casi della mia vita, cerco di capire quello che al tempo mi ero precluso e come mai. Cosa sarebbe potuto essere se. E sto piangendo.
Isa si sdraiò a pancia in giù, disse: «Guarda, sono tutta macchiata, quella strana pioggia...» «Non sei macchiata sei colorata e quella pioggia ti ha dipinto addosso l'abito più bello, un abito che cambia ogni istante e ti fa più bella ancora.» Biascicai. Isa spalancò i suoi bei occhi rossi e sorrise. Continuai: «Se la bellezza è data dall'armonia e dal colore, sei la più bella di tutte.» Si girò da una parte, certi momenti l'imbarazzo non le permetteva di tenere lo sguardo. Mi stesi vicino e indicai la ragazza che sedeva a gambe incrociate. «La vedi?» dissi. «Carina» «È la ragazza che non vede e non vuole» «Perché dici così?» «Da quando siamo qui, non ha fatto altro che darsi il rossetto e laccarsi le unghie. Non ha mai gettato uno sguardo intorno per guardare quello che succede». Vidi Isabella alzarsi e andare dalla ragazza, il sole scendeva lentissimo verso il mare, quando Isa tornò quasi lo toccava. Isa disse: «Ohimè, madre e figlia trascorrono i giorni a dipingersi il volto. Vivono solitarie in una villa con prati verdi e tanti alberi non hanno amici, né conoscenti, né parenti. Lei e sua madre, la primadonna». «La prima-donna». Ripeté una seconda volta, scandendo ironicamente le due parti della parola. «Ignorante si, tanto. Anche tanto presa da sé stessa da considerare soltanto i suoi bisogni. Perché interessarsi dei problemi degli altri quando sono così importanti i propri?
È prigioniera di orgoglio e di ignoranza, che limitano il suo sguardo sulla vita. Convinta che la bellezza sia sostanza e che per avere una vita perfetta, si debba vivere nella bellezza e senza sofferenza. Cerca la perfezione nell'apparenza, crede di sfuggire ad ogni affanno perché non sa che la sofferenza è parte dell'umana essenza. Non sa che la bellezza del mondo è polifonica, composta di piaceri e di dolori, che ogni esperienza è unica e che la lacrima è di molti colori. Ma resterà sempre prigioniera dell'illusione di perfezione che la guida, ignorando che nella vita, la bellezza e la sofferenza si uniscono e si confondono di continuo in perfetta armonia.
Ha trascinato nello squilibrio anche la bambina, dirottando i suoi passi verso l'unico cammino possibile, quello segnato dalle sue impronte. Povera stella, è ignara del mondo che c'è fuori, il suo cuore è chiuso al mondo, bloccato, è un cuore che non batte. Brucia la sua giovinezza senza conoscere chi le faccia comprendere che l'amore, l'egoismo, la felicità, non possono vivere per sé stessi, da soli non si bastano. La sua vita scorre via, senza che possa comprenderne il valore, sentire il calore del sole sulla pelle, la freschezza dell'aria al mattino. Ha la mente chiusa dentro una scatola. Per lei le difficoltà della vita sono come la pioggia dalla quale si ripara, per tenerle lontane si dipinge il volto. Non le sarà facile aprirsi al mondo e scoprirne la bellezza. Dovrebbe cercare chi le possa insegnare che esistono anche le emozioni, qualcuno che non abbia dimenticato la sublime arte di vedere gli altri e saperli amare. Seppur tanto importante, è un arte che va perdendosi nel caos di questo mondo sempre più indecifrabile».
Prima notai la sua ombra, mi voltai e la vidi per intero. La ragazzina stava in piedi a un metro da me. La guardai bene, aveva gambe lunghe, affusolate, sinuose, i seni non rispecchiavano i suoi tredici anni e già catturavano sguardi, il viso era dipinto come da abitudine. Sembrava una seducente maschera del carnevale di Venezia. Bella, bellissima da guardare. C'era in lei anche qualcosa che non si poteva notare. Uno stato d'animo misto di ansia, paura e sofferenza la consumava e non l'abbandonava mai. Precisamente come in una maschera, nello sguardo non c'era espressione, non mostrava né felicità né sconforto. Non usciva nulla, tutto era controllato. Disse: «A tanta gente piace parlare, a me no, non sono una gran chiacchierona, le parole che penso non voglio che arrivino alle labbra. Potrei dire della sua simpatia signora, prima che alle parole presto attenzione al volto, i suoi muscoli facciali si modellano alla perfezione per formare il sorriso, il suo è bellissimo signora. Io non sorrido. Oppure potrei parlare del mare, della pioggia e di quei nuvoloni scuri che danzano sull'alto della volta celeste, dire dei sentimenti che muovono. Ma non lo faccio, non posso. Guardo il mondo, ma non lo vivo come gli altri, vorrei riuscire ad appassionarmi alla bellezza di un paesaggio, alla lettura di un libro o all'ascolto della musica, ma non mi arriva nulla. L'arte, la natura, per me non significano niente». Stese una mano ed agguantò qualche goccia di pioggia. Continuò: «C'è una moltitudine di persone non lontano da qui. Ridono, piangono, si innamorano, io non provo mai niente, non mi arrabbio, non mi stupisco... cosa sono? Niente. Sono prigioniera di una mamma priva di comprensione e cervello.
L'unica cosa che mi definisce è la bellezza e questo trucco perfetto, ma queste son cose che non possono definire un'identità, non saranno questi particolari insignificanti ad aprirmi le porte del paradiso. Può accadere se sarò riconosciuta per quello che trasmetto al prossimo, non per il mio bel viso». Rivolse lo sguardo verso l'infinito, in cerca di una risposta, ma sapeva che la sua ricerca era senza fine. Stava per riprendere il discorso, invece decise di tacere. Ebbi l'impressione che fosse presa da una rabbia incontenibile alla quale, ahimè, non sapeva dare sfogo. Sembrava pronta per la sua prima lacrima, ma non le uscì nulla: gli occhi, i suoi occhi, non conoscevano lacrime, mai erano riusciti a bagnarsi. Si chinò verso me e scrutò il palmo della mano, sperava di vedere qualche bel gocciolo colorato, ma non c'era niente, né gocciolo né colore, diversamente dai mortali, non mostrò disappunto e mantenne la sua compostezza e, nonostante il suo volto non rivelasse emozioni, lo sguardo esprimeva dolcezza. Disse: «Conosco soltanto l'esperienza del nulla» Fece una pausa fissandomi tristemente, poi, la ragazza si levò in piedi e si diresse con passo leggero verso il mare. Si volse a guardarmi ancora una volta, mi commossi alla vista del suo volto tanto bello e colorato, quanto spento, senza espressione, pure il corpo sembrava privo di calore. La fanciulla senza nome mi appariva come una tragica statua scolpita nella pietra. L'osservai mestamente mentre tornava a sedersi al suo solito posto. Disse ancora: «Aprirò l'ombrello e guarderò il mare sotto il temporale, come se fossi una ragazza del 1800. Voglio immaginare d'essere come le signorine dipinte da Monet, col mio Walk'n'Carden che mi ripara dal sole e dalla pioggia. Al riparo dall'acqua che scende, aspetterò che la vita mi tocchi, in fin dei conti, sono pur sempre viva, ancora in cerca d'una via d'uscita».
Passarono le ore, svanì la sbornia e arrivò la sera. Isa ed io eravamo ancora vicini, sdraiati sulla sabbia. La pioggia s'era presa una tregua e l'acqua cromatica si amalgamò sopra la sabbia, formando un tappeto di tinte variopinte. Avvolti dal vento e immersi nel silenzio, guardavamo intorno e sapevamo che esperienze altrettanto belle non ne avremmo più vissute. Le stelle erano basse sull'orizzonte e una luna molto luminosa stava sospesa sopra i nostri sguardi. Vedemmo arrivare una moltitudine di donne e bambini, decine di bambini. Avevano assorbito i colori della pioggia ed erano tinti in tutti i modi possibili. Dove era scesa la pioggia verde erano verdi, dove era piovuto giallo erano gialli, ce n'erano celesti e altri erano colorati a chiazze. Superavano alla malapena il metro e portavano Reyban da sole per proteggere la vista da tutta quella sovrabbondanza di colori. Fecero la gioia dell'ambulante quando si raggrupparono intorno a lui. Erano trent'anni che l'uomo viveva faticosamente arrancando su e giù per quella spiaggia senza aver mai avuto il piacere di una sorpresa. Aprì il frigo portatile e iniziò a distribuire succosi gelati, caramelle viola, popcorn verdi, limonata azzurra, nutella gialla e, quando i bambini ricevevano il dono, le mamme pagavano con monetine fucsia. Ci unimmo a loro, conquistati dalla loro stravaganza. Isabella teneva il cane stretto a sé, ma siccome i bambini erano troppo piccini per sapere cos'è un cane, appena videro la sua grande testa nera e la bocca che sbavava, si impaurirono e corsero a nascondersi dietro le mamme. Il vecchio piangente e la ragazza col parasole erano oramai parte del paesaggio, silenziosi e intoccabili, guardavano il mare. Chissà cosa aspettavano; il bacio di chi li avrebbe potuti salvare? Beh, non era facile, poteva farlo soltanto la donna più bella del mondo. In quello strabiliante contesto onirico, eravamo tutti tra il sogno e la realtà, tra la sabbia e il mare, tra la notte e il giorno, i nostri cuori battevano forte ed eravamo soddisfatti, ottimisti, speranzosi.
Allo stesso tempo, sentivamo anche la stanchezza per tutte quelle esperienze vissute in così poco tempo, era giunto il momento di abbandonare quello stato di cose. Chiudemmo gli occhi per alcuni istanti, quando li riaprimmo, le mamme e i bambini non c'erano più. Ero di nuovo immerso nella consueta apatia, tutto era tornato come prima. Mi avvicinai a Isa e la presi per mano, guardai la luna e il cielo stellato. Immaginavo che la vita fosse facile, che quella sera tutto era possibile. C'era un gran silenzio, non si udiva nemmeno lo sciacquio delle onde sulla battigia, vedevo il cielo cliché e sentivo la presenza di Isabella, vicino. Potevo dormire. Come il vecchio Santiago, desideravo sognare di stare in spiaggia e giocare coi leoni. Sognai. C'era il mare, la spiaggia, Isabella e un cane nero, ma i leoni no. Io stavo in mezzo all'acqua, reggendo una bottiglia di sambuca. Bevvi il ripugnante contenuto in un fiato, pisciai nell'acqua e lasciai la bottiglia a galleggiare sulle onde. Poco a poco cominciai a non capire più un cazzo. A quello aspiravo. Guardavo Isa giocherellare col cagnolone e mi sentivo innamorato più che mai. Nemmeno l'ombra dei leoni, ma sulla riva c'era un vecchio che piangeva e una signora che camminava coi piedi nell'acqua. Una bella signora dalla pelle liscia e bianca. Passò vicino al vecchio, gli lanciò uno sguardo amorevole e lo baciò. Ruppe l'incantesimo. Fianco a fianco si incamminarono verso un punto indefinito. Sul soffice tappeto di goccioline colorate, il vecchio procedeva lento trascinando sofferenze. Le sue, e quelle scritte sui pendenti degli addolorati che custodiva nel valigione che tirava dietro faticosamente. La signora fece schioccare le dita e l'omino apparve un po' più curvo, più piccino, divenne un puntino, infine sparì.
L'aveva reinventato in un mondo dove non esisteva la noia e il dolore, a nessuno mancava il coraggio di vivere e tutti riuscivano ad ascoltare i propri battiti del cuore. La procace gentildonna proseguì a camminare e quando passò vicino alla ragazzina le tese la mano, la giovane l'afferrò e insieme si avviarono verso il punto indefinito. Li vedevo allontanarsi, lenti lenti e immaginavo che la fanciulla, già versasse incontenibili lacrime di gioia, era il mio desiderio, ma era presto. Ci voleva un adeguata educazione alle emozioni per sfuggire all'indifferenza che l'affliggeva e commuoversi. Ma l'apprensione e la tristezza non c'erano più. Si, amavo Isabella, ma cercando di cogliere il suo sensualissimo ancheggiare, lo sguardo si posò ancora sulla dama dall'incarnato pallido. Dopo ore così intense volevo arraparmi, avevo bisogno di rilassarmi con una bella scopata virtuale. Ma la signora era una macchiolina sotto la linea dell'orizzonte, a breve sarebbe scomparsa alla vista. Allora la pensai intensamente e, sono sicuro, riuscii a farla vivere da qualche parte sul pianeta. Dove non so. Era lei la donna più bella del mondo, non un astrazione, un altro ologramma generato dal mio delirio alcolico. La desideravo. Era in intimo nero, le tolsi le calze, il reggiseno, infine, finalmente, le mutandine nere. Ero tornato a pensare a cosce da baciare a buchi di culo da leccare, a donne da smutandare. Poi, quando sentii l'eco delle risate del vecchio in lontananza e capii che viveva felice in qualche posto lontano, la mano scivolò al solito posto e detti il lieto fine al sogno tenendomi compagnia da solo. Tutt'altro che da disprezzare, ma se poteva essere considerato un lieto fine farsi una sega con Isabella a mezzo metro da me, mah! Non lo so. Ma si, il vecchio che cantava metteva allegria anche se era un sogno. Era un lieto fine.
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