editoriale di ZiorPlus

Doverosa premessa:

che la DeScemenzia ci accompagni.

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Due amici dopo aver trascorso la serata al bar ed averci dato dentro con il beveraggio

uscendo si ritrovano a passeggiare su di un sentiero in aperta campagna al chiaro di luna discutendo del più e del meno.

Ad un certo punto uno dei due distrattamente adocchia una merda (Una cacca?) ed a quel punto gli viene uno strano pensiero quindi rivolgendosi all'amico:

"Scommetto 100 €uro che non hai coraggio di mangiala"

L'altro ci pensa sopra un bel pò interdetto da quello che ha tutta l'aria di essere uno scherzo se non una provocazione bella e buona ma alla fine un pò per non darla vinta all'amico un pò per il tasso alcolico pur controvoglia e con un certo ribrezzo decide di accettare la sfida e se la mangia.

Continuano discorrendo come niente fosse nella loro passeggiata sotto le stelle finchè non è la volta del secondo amico adocchiare a sua volta un'altra merda ed allora è il suo turno di proporre all'altro la stessa sfida:

"Quando l'hai proposto a me io non ho esitato, vediamo se ora anche tu sempre per 100 €uro hai lo stesso mio coraggio"

Pur riluttante ma per di non essere da meno toccato nel proprio orgoglio alla fine anche l'altro si decide ad ingoiarla.

Proseguono ancora per un certo tratto finchè uno dei due rimurginando sopra su quanto accaduto improvvisamente si ferma come folgorato ed esclama:

"Ma ti rendi conto di cosa abbiamo appena fatto? Praticamente abbiamo mangiato due merde gratis, per niente!"

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OK, la piccola storiellina ZEN/DeScemenzia sarà quel che vi pare (Storia di M.da) ma una sua morale ZEN ce l'ha.

#LoZenPerTutti.

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editoriale di Bartleboom

Sono andato a dormire che le voci su un impossibile addio di Ronaldo alla Juve si rincorrevano isteriche sui social e sui siti.
Mentre scrivo sono le cinque del mattino e pare proprio che Narciso se ne andrà al City. Non si conoscono ancora i dettagli, ma l’accordo sembrerebbe essere stato raggiunto.

Nel frattempo, il Milan ha perso a zero Donnarumma, che ha pensato bene di andare a giocare nel campionato più di merda d’Europa per “diventare il numero 1” e ha impiegato 3 settimane per trovare qualcuno che gli scrivesse su Instagram un messaggio di saluto.
L’Inter si è liberata di un allenatore vincente, ma affetto da dismenorrea cerebrale conclamata, e ha venduto Lukaku e Hakimi, incassando una carriola di soldi. Lukaku non ha aspettato nemmeno di avere superato il controllo passaporti che già stava baciando la maglia del Chelsea.

Laporta ha detto che attualmente il monte ingaggi del Barcellona copre il 105% degli incassi (non dell’utile). Senza lo stipendio di Messi, si arriva al 95%.
E così anche Messi è andato a giocare per gli sceicchi nello stesso campionato più di merda d’Europa di cui sopra. Mbappè dice che io ho ragione, che quel campionato è una vera merda, quindi lui vuole andare al Real, che ha messo sul piatto 180 milioni di euro. Però Leonardo dice di no perché che sono dei criminali.

E poi c’è stata la Superlega, anzi no, ma mi sa di sì. Chalanoglou che sembra in trattativa col Milan da 3 mesi e il giorno dopo è già sui cartelloni con la maglia dell’Inter. La Juve compra Locatelli dal Sassuolo con un accordo che sembra una “offerta volantino” di Mediaworld. I diritti TV sono finiti a Dazn, ma c'ha più buffering di youporn ai tempi del 256K e Salvini dice che ci vorrebbe una class action.

Io e mio padre non siamo mai andati d’accordo. Troppo diversi. Negli ultimi anni a casa dei miei avevamo litigato male e non ci parlavamo più.
L’unico momento di tregua era quando giocava il Milan.

Era il Milan di Ancelotti, quello degli Invicibili. Pirlo quello vero, Seedorf, Nesta, Maldini…
Guardavamo le partite con la tessera prepagata di Mediaset Premium, sul divano in salotto. Smettevamo di contare le sigarette più o meno al quarto d’ora del primo tempo. Non ci dicevamo una parola. Non un commento sulla partita. Lui ogni tanto bestemmiava e dava del culo nero a Seedorf. In effetti pure io lo mandavo abbastanza affanculo.

Ci sono partite di cui ho un ricordo vividissimo. Una su tutte, il ritorno di Champions con lo United. “La partita perfetta”.
Ricordo il diluvio. Ricordo i gol, direi tutti bellissimi. Rooney che chiede un rigore per una mezza rovesciata finita male. Gattuso rasato che fomenta il pubblico con uno smorfia di fatica. Ancelotti che a tratti sembrava volesse alzarsi, mollare il calcio per sempre e aprire una trattoria sulla Paullese.

Ricordo Kaka a centrocampo, subito prima dell'inizio della partita, con i capelli fradici.
Si gira a guardare l’arbitro, in attesa del fischio di inizio, con una cattiveria, una intensità negli occhi che fanno spavento.

Avevamo già vinto e ancora non lo sapevamo.

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editoriale di ZiorPlus

Con Flavio C. ci siamo avuti in sorte l' ultimo anno di elementari.

Flavio aveva 2 anni più di me in quanto io ero di quelli che un tempo o forse anche adesso chiamavano primini mentre lui la 5a elementare la stava ripetendo.

Non sò come fu che ci trovammo in banco assieme e neanche credo importi quello che ha avuto importanza piuttosto è il peso che questo incontro ha avuto.

Flavio C. era un friulano atipico per i tempi e forse anche per adesso, scuro di carnagione capelli crespi ribelli e due occhi scuri come fondi di bottiglia di birra.

Per questo suo colorito color caffelatte ricordo che la mia prima impressione per tutta una serie di pensieri strani fù che a casa sua probabilmente dovevano tenere il riscaldamento acceso anche d'estate altrimenti diventava inspiegabile come stranezza.

Dopo qualche schermaglia iniziale diciamo di assestamento, due anni di differenza a quell'età bene o male hanno il loro peso, una mattina mi sorprese presentandosi con in tasca un paio di mutandine da donna sporche di chissa quali umori femminili rubate nella camera di suo fratello maggiore, camera nella quale il fratellone era solito chiudersi a chiave con la sua ragazza.

Fù solo l'inizio di un anno tribolato ed allo stesso tempo unico che mi riserverà altre diverse cosucce del genere come quando per es. durante l' ora di religione si fece una sega accanto a me invitandomi ad associarmi a quello che per lui probabilmente doveva essere interpretato come un innoquo passatempo, cioe' tutto pur di non studiare e buttarla in vacca.

Avrei voluto morire non tanto per la sega ma per il terrore che venisse beccato e di essere in qualche modo tirato dentro come se in qualche maniera fosse anche colpa mia.

Bisogna anche dire che a quei tempi non era come adesso che se fai qualche cazzata alla più porca "Metteremo i tuoi genitori al corrente della cosa", genitori che, non tutti ma diversi, quasi sempre hanno talmente tanti cazzi a cui pensare che se ne fregano beatamente delegando tutto alla scuola ed agli insegnanti.

Quel tipo di scuola era come il Far West, l' insegnante di turno era lo sceriffo indiscusso ed in casi estremi anche giudice giuria e carnefice con tanto di esecuzione seduta stante.

Il nostro maestro dell' epoca era un ex partigiano con un paio di baffoni ma soprattutto di metodi alla Stalin.

I sassolini sotto le ginocchia erano per le ragazzine, a noi maschetti era riservato il trattamento ti prendo a schiaffoni fin che non ti entra un po' di sentimento in zucca.

Entravamo in classe senza sapere se ed in che condizioni ne saremmo usciti, molto probabile che in alcuni di noi questo modo di intendere l' insegnamento qualche segno lo abbia lasciato almeno per un certo periodo a seguire.

Per la sua visione di stato delle cose e di ordine sociale le punizioni corporali erano un dovere morale facente parte di una piu' ampia visione della società alla quale lo stesso probabilmente avrebbe voluto aspirare ed in questo non si risparmiava assolutamente anzi tutt'altro era ben prodigo di mettere in atto questa sua particolare visione del mondo e di come le persone avrebbero dovuto impare a starci in questo mondo, soprattutto noi ragazzini.

Morì, Stalin il maestro, verso il finire dell' anno scolastico, un infarto credo e sarà anche brutto dirlo così ma per me e soprattutto per Flavio che a quel punto sembrava più un punching ball che un normale ragazzino fù l' inizio di tutta una serie di scoperte, sulle quali ritengo inutile dilungarmi, del mondo e delle sue stranezze senza ormai alcun freno.

Ma guarda te cosa vado a rimembrare.

Flavio C. cazzone che non sei altro, che fine hai fatto, finito in banca pure tu? (Cit.)

P.S. Ovviamente Flavio C. non e' Flavio C. e nemmeno B.

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editoriale di G

Ti ricordi quel film?

Quello claustrofobico, giapponese, c’era una tipa che finiva in una stanza, tutta spoglia e verde. Mi ricordo solo questo di tutto il film. Forse doveva prostituirsi. Non ricordo altro.

Di Johnny Mnemonic ricordo poco di più: quello strano personaggio. Una lei virtuale che stava invecchiando, perdendo segmenti della propria memoria.
L’ho visto al cinema quando è uscito. Parecchi anni fa. Andava di moda il “cyber punk”.

C’erano degli ideali nell’aria, si respiravano.
Si immaginava quanto la rete avrebbe potuto fare e si ragionava in termini idealistici. Informazione libera, per tutti, conoscenza libera, sapere immediato.
C’erano entusiasmi. Tutto quello che prima era difficile da raggiungere ora sembrava a portata di mano. E noi giù a comprare modem, monitor, portatili, server, tutti di corsa a preparare le avveniristiche autostrade dell’informazione, a lavorare nel settore, a progettare spazi di interazione.

Ho fatto parte di tutto questo in un modo o nell’altro e oggi, se mi guardo attorno, ho la sgradevole sensazione che quell’occasione sia andata persa.
Mi sembra che, alla fine di una parabola, tutta “‘st’infrastruttura”, serva solo per “informarci” su cosa twitta il politico di turno e su cosa gli ritwitta l’oppositore farlocco di turno.
Per farci conoscere le svendite sul sito d’occasioni e attaccarci il virus di qualche video della tal casa automobilistica che “guardalo, fa morire darridere”.
Per farci apprezzare la dolorante clavicola rotta dall’impavido skater, l’ilarissimo spavento del collega ischerzato, le comiche del gatto, la rabbia del cane, il dramma del coccodrillo, le tette ballerine della bulgara di turno, lo schianto in autostrada filmato per errore e quello che si lancia su un cactus.

La sensazione è sgradevole perché se quello che sento è vero, allora è anche vero che io mi sbagliavo, che mi sono sbagliato per anni.

Ho sempre lottato contro l’idea che voleva DeBaser diventasse un salottino chiuso e riservato, dove pochi snob parlassero tra di loro a un livello inaccessibile agli altri.
Ho sempre sperato in un DeBaser se vogliamo proletario, confidando in un qualche proletariato illuminato, per anni soffocato dall’impossibilità di esprimersi, di trovare canali di comunicazione.
Pensavo che, una volta che avesse avuto lo spazio, l’idea luminosa che immaginavo in tutti, sarebbe potuta emergere.

Ero candidamente convinto che la gente non esistesse, che esistessero persone, pensavo che queste persone, una volta che si fossero potute incontrare avrebbero preso il meglio le une dalle altre.

Però mi sembra di capire che da alte parti, dove sì, si è riusciti a conquistarlo quel proletariato, dove la gente va a farsi bombardare di informazioni inutili, contrastanti, parziali, dannose, a sovraesporsi fino a perdere del tutto la memoria, mi sembra di capire, dalla schiuma che lì emerge, come sotto non fermenti nulla di particolarmente illuminato.

Forse allora, in tutta questa storia che mi sembra di ricordare meno di quel film giapponese, qualche scusa è dovuta, da parte mia a chi non la pensava come me.
E qualche ripensamento andrebbe valutato su come potrebbero andare le cose qui.


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editoriale di Relator

1994 Guinea Bissau Una ragazza è in un villaggio africano.Il suo uomo spiega al gran consiglio degli anziani come evitare la dissenteria che li sta uccidendo.

1995 Rotterdam tre ragazze vengono ospitate dalla mamma di un amico olandese. La signora a 70 anni, ha trovato il "ragazzo", tecnico delle luci nella loro discoteca.

1999 New York Una giovane donna di 28 anni e già sposata è al suo primo viaggio di lavoro. Una donna bellissima di 40 anni le dice "a New York, non si può invecchiare"

2010 Italia Dopo intenso mobbing, una donna di 40 anni (ormai vecchia per il settore in cui lavora) si vede costretta a licenziarsi e lasciare il posto ad una ragazza più giovane. L'impatto è tremendo, ha dedicato la vita al lavoro, ha trascurato la famiglia nel nome del lavoro.

2024 San Marino Una signora di 52 anni da mesi lavora con i malati terminali. Una missione? No, ci è capitata, ha provato e ha visto che le piaceva. Molti, nonostante le sponde hanno anche altre misure di contenzione perchè non si facciano male o cadano dal letto. La mattina vanno lavati, cambiati, vestiti. Costano allo stato migliaia di euro al mese non "servono" più e pertanto sono rottamati.

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editoriale di Stanlio

A Parigi tre giorni fa se ne andava ad ottantun'anni Sebastião Ribeiro Salgado Júnior.

Lui era un Fotografo Documentarista, nonchè Fotoreporter e prediligeva il bianco e nero.

Le sue foto parlano al posto mio, come questa "Blind woman" scattata nel '85 in Mali.

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editoriale di ilfreddo

Sarà stato dieci anni fa quindi, vigliacco il tempo, come minimo ne saranno trascorsi almeno quindici. Era una nottata estiva stupenda, fresca e senza nubi. Alle 2 di notte partiamo da Trento e dopo un’oretta siamo con gli zaini pesanti in spalla e la corda da 35 metri arrotolata. E via si va su per le zeta del sentiero con i frontalini che bucano il buio. Quello vero perché lassù non c’è mica inquinamento luminoso. Passo dopo passo da San Lorenzo in Banale eccoci salire per la angusta e selvaggia Val d’Ambiez. Rifugio Cacciatora, Rifugio Agostini all’alba e poi su con i ramponi fino alla Bocca d’Ambiez posta a quasi 2.900 metri con luce meravigliosa del primo mattino che si riflette sui nevai e roccette. Salita per la facile d'arrampicata (II) Via Migotti e così arriviamo infine in Cima Tosa alle 10 con un mare di nuvole sotto di noi. Giù con due tiri di corda doppia e poi rientro alla macchina per giri di birre a non finire. Una giornata che ricorderò come una delle più belle, serene e piene di sempre.

Una giornata così non si ripeterà più. Almeno a breve.

Ora non mi sentirei di rifare questa escursione. Fisicamente e tecnicamente sarei ancora sufficientemente allenato e preparato ma avrei una paura fottuta. Adesso come adesso non me la sentirei di affrontare di notte la Val d'Ambiez. Perché è una valle stretta e i plantigradi si muovono prettamente di notte o all’alba e lì ci girano da diversi anni ormai. Mi sento un po’ egoista a dirlo, specie in questo momento di crisi dove molte famiglie affrontano problemi economici enormi, ma trovo che questo stato di cosa non sia giusto. Lo so che è una frase forte ma sì, credo che leda la mia libertà. Non mi sento libero di godere del mio territorio montano che amo. Accetto che questa posizione non sia condivisa ma non accetto i toni che si stanno usando tra animalisti e non. E parlo con cognizione di causa.

Praticavo corsa in montagna fino a qualche anno fa e anche se ho smesso ogni tanto vado a farmi una corsetta dopo lavoro. Beh, la verità è che lo faccio ancora perché ho la fortuna di abitare nella sinistra Adige dove gli orsi sono molto pochi. Andrea Papi (26 anni) è stato ucciso da un orso mentre praticava il suo allenamento dopo lavoro nell’aprile del 2023. Non è morto di infarto ma è stato trascinato per 50 metri. Vi evito il resoconto sulle condizioni che suo corpo martoriato… la fidanzata ha organizzato una corsa in suo nome e una persona ha avuto il buon gusto di iscriversi con il nome dell'orso (JJ4). Complimenti!

Nel solo mese di luglio 2024 un turista francese mentre percorreva un sentiero è stato attaccato alle gambe e braccia da un’orsa con i piccoli a Dro. Un’orsa con 3 piccoli ha sfiorato una turista svizzera con due figli piccoli sul largo sentiero del Lago di Molveno senza conseguenze. Un ciclista in mountain bike è stato inseguito da un orso a Ciago.

È dal 2014 che sono tornati ad esserci incontri fino al fatale evento del 2023. Quello che sinceramente mi preoccupa è l'escalation. Un evento isolato può capitare ma ora stanno aumentando nonostante le persone in certe zone non vanno più e sono più attente.

Il progetto LIFE URSUS nasce nel 1996 per cercare di salvare il piccolo nucleo di orsi sopravvissuti. Il Parco Nazionale Adamello Brenta con la PAT (Provincia Autonoma di Trento). Con un finanziamento dell’Unione Europea ha dato via a questo progetto il cui fine era la ricostituzione di un nucleo vitale di orsi nelle Alpi Centrali tramite il rilascio di alcuni plantigradi dalla Slovenia. La superficie per la fattibilità della reintroduzione era un’area di 6.500 km quadrati, ben superiore all’Area del Trentino. L’obiettivo era arrivare ad un nucleo di 40-60 orsi coinvolgendo anche le altre province e regioni. Un sondaggio d’opinione al tempo ha data un’approvazione al progetto nell’ordine del 70%. Una percentuale esorbitante. Non viene però detto spesso che a quel sondaggio hanno partecipato solo 1500 persone.

Gli esperti avevano parlato di una facile convivenza e una autoregolamentazione del numero di orsi in base ai km quadrati disponibili. Beh possiamo dire che gli orsi in Alto Adige, Lombardia, Veneto non ci vanno e il nr. di esemplari stimato è compreso tra 86 e 120. Vivono principalmente in un territorio con un’estensione un po’ superiore a 2.300 chilometri quadrati, compreso quasi interamente nel Trentino occidentale e mappato sempre grazie ai campioni biologici. Io quella zona la conosco molto bene e quello che forse sfugge è che quel territorio non sono i Balcani, il nord del Canada o Yellowstone dove per decine e decine di km non c'è un cazzo di niente, solo natura. Quello del Trentino è un territorio estremamente antropizzato con baiti, malghe, pascoli, un reticolo impressionante di sentieri, strade forestali, taglia fuoco, tracce di sentieri per cacciatori, rifugi e bivacchi. Ora ex post siamo tutti fenomeni ma quello che mi domando è semplice. Non possiamo ammettere che il progetto non è andato come previsto sulla carta?

L’autoregolamentazione non è avvenuta. Gli orsi continuano a proliferare e non si sono spostati in altre regioni. Forse hanno il GPS integrato e quando varcano il confine sento la mancanza del Trentino e delle nostre belle dolomiti e della nostra aria. Forse è questo o forse gli sparano senza tanta pubblicità se vanno in altre province e regioni. Per andare nel Trentino orientale gli orsi dovrebbero valicare l’A22 e questo salva zone turistiche importanti. Io mi domando se non sia il caso di cercare di trovare una soluzione. È giusto ammazzare queste povere bestie troppo confidenti e aggressive come propone il governatore? Che colpa ne hanno?

I boschi dei balcani hanno un’antropizzazione dei boschi che è inesistente e comunque infinitamente inferiore alla nostra. Li accetterebbero, ovviamente li caccerebbero, ma trovo sia la soluzione migliore e giusta. Mantenerne un numero di poche decine procrastinerebbe il problema di qualche anno.

Gli animalisti convinti augurano la morte a chi viene attaccato e sostengono che si debbano chiudere i sentieri dove c’è un acclarata presenza di plantigradi e che la convivenza sia possibile come lo era in passato. So che mi prenderò diverse critiche ma non condivido. Lo sport montano è esploso negli ultimi 20 anni con sviluppo skyrunning, downhill, mountain bike, trekking, vie ferrate ecc. Una volta in montagna si veniva a faticare per vivere ma ora c’è un numero di attività e sentieristica che prima non c’era e gli incontri sono giocoforza più probabili. Un mio amico ha perso un asino per un attacco di un orso e ha paura di starsene fuori a guardare le stelle nelle notti d'estate. Il numero di pecore che vengono sbranati dai lupi ormai non fanno più notizia. Pochi dicono quanto la pastorizia sia fondamentale per manutenzione del bosco e della montagna e in questo momento pare che sia abbandonata questa attività fondamentale dalle istituzioni. Ed infine parliamo dell’impatto negativo che questa situazione può creare all’economia turistica locale.

Sinceramente non credo che sia sostenibile il procrastinarsi di questa situazione e credo che palesi ancora una volta come i progetti, quelli meravigliosi sulla carta, dimostrino tutta la loro fragilità quando si scontrano con la realtà dei fatti. Non è colpa degli orsi che giustamente vivono e si difendono ma mi chiedo se dobbiamo tornare all’800 perché 1.000 persone hanno detto sì ad un progetto sulla carta 25 anni fa? E per quel sì non si possa andare indietro ed ammettere che così non funziona.

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editoriale di Confaloni

Premesso che in tema di bellezza estetica e bravura recitativa alcuni, leggendo questo breve editoriale, ribadiranno le proprie preferenze per Sophia Loren , anche lei da poco giunta al traguardo delle 90 primavere , resta il fatto che esprimere la propria preferenza per un'attrice o un attore sia un po' come scegliere la propria squadra di calcio del cuore. È insomma un pronunciamento più dettato dal cuore che dalla ragione.

Per parte mia e di tanti altri uomini nati e cresciuti nella seconda metà del Novecento, l'acronimo B.B. era assimilato all'incarnazione del fascino femminile, di quel quid inspiegabile definito Eros che rendeva unica Brigitte Bardot (pur non essendo a mio giudizio un'attrice tanto brava e versatile quanto, ad esempio, Jeanne Moreau e Catherine Deneuve ). Una bellezza che non passava inosservata e, a mio avviso, più spontanea di Marylin Monroe con quell'aria troppo glamour e hollywoodiana. Tenete presente che, entrato nell'età adolescenziale, per me vedere foto osee` di Brigitte pubblicate su qualche rivista ha significato scoprire che non esistevano donne angelicate, ma donne in carne ed ossa , determinate e per niente subalterne all'uomo. Brigitte e le altre attrici dell' epoca erano fonte di desiderio e turbamenti adolescenziali, primo vettore per approcciare l'universo del sesso in un frangente storico in cui non c'era quella valanga di immagini e filmati reperibili oggi in Rete.

Quanto sopra è il ricordo di un passato glorioso e luminoso, che non può essere offuscato dalla celebrazione dei 90 anni di B.B. nella data di domani. Personalmente evito accuratamente di guardare foto recenti dell'attrice francese e, a corredo di questo mio scritto, allego la foto di Bardot giovane su una spiaggia della Costa Azzurra. Il tempo può ingiuriare la bellezza e mi mette tristezza leggere certe dichiarazioni espresse recentemente da B.B. Ammiro il suo impegno per la causa animalista, comprendo che rimpianga il cinema del tempo che fu, quando recitava con attori come Gabin, Mastroianni, Trintignant, Delon. Quello che mi trova in disaccordo è la sua nostalgia per una certa Francia tradizionalista, politicamente schierata oggi con Marine Le Pen. Forse l' attrice si è dimenticata che quella Francia, a suo tempo, considerava riprovevole il modo di essere e agire di Brigitte Bardot , simbolo di una modernizzazione audace e sbarazzina.

E pertanto, dato quanto sopra, preferisco rivedere una vecchia pellicola della giovane Bardot. Se quella donna, oggi, appassisce come una rosa non più fresca, la sua immagine filmica sfiderà il passare del tempo inesorabile.

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editoriale di lector

Mio padre amava il mare e sognava la Rivoluzione. Dalla sua stanza d’ospedale non si poteva vedere il mare, ma si vedeva – anche da lì – che la Rivoluzione era, ancora, solo un sogno.

Le stanze d’ospedale sono tutte uguali. Vuote, amorfe, inospitali. Minacciose.

Anche quando non sei lì per una “brutta” malattia, ma per una più banale, una di quelle per cui non si dovrebbe morire.

Così, mentre aspetti (questo si fa negli ospedali: si aspetta), magari ti immagini il mare e continui a sognare.

E quei sogni me li ha lasciati in eredità.

Sono il suo lascito.

Ma diventa sempre più difficile e, a parlare di queste cose, ci si sente sempre un po’ stupidi.

Si dovrebbe imparare dalle sconfitte, si dovrebbe capire che il mondo ha una scorza dura, che i sogni la semplificano la realtà, sono cose da ragazzini, che anche se ti sembra – anzi ne sei proprio convinto – di avere ragione, di essere nel giusto, ecco che poi non è proprio così.

Si dovrebbe imparare dai propri compromessi, dalle proprie meschinità, che le cose importanti sono altre, che bisogna tirare avanti, che si deve combattere la propria battaglia, che non si può vincere sempre, che bisogna perdonarsi, accettare le proprie mediocrità.

Insomma crescere.

Ed è questo quello che dovrebbe fare un padre: insegnarti a crescere.

Il padre si insinua nel rapporto madre-figlio, ne spezza la dinamica incestuosa ed impone il senso del limite, cioè stabilisce la Legge.

Almeno questo dicono i sacri testi.

Solo che non è più così. Il principio di autorità è crollato sotto i colpi delle spinte libertarie ed innovatrici, prima, ed edoniste poi. La famiglia patriarcale era già morta da tempo ed i modelli morali di riferimento hanno, ormai, perso ogni credibilità ed attrattiva. La Legge è diventata imposizione e i padri insegne da abbattere.

E così i padri sono scomparsi.

Nessuno vuole fare più il padre. Ed in effetti è dura accettare un ruolo che, se ben svolto, ha come senso finale la messa in scena simbolica della propria morte. Un ruolo che è testimonianza, farsi carico, assumersi la responsabilità di indicare un senso. Sognare un futuro.

Siamo immersi in una cultura dominata dal feticcio della madre. Dominata da parole d’ordine materne: accoglienza, comprensione, accudimento, protezione, sicurezza, soddisfazione.

Siamo tutti figli unici.

Ma lo sguardo della madre non arriva dappertutto e, negli anfratti bui, si annidano i lupi.

Ho ripensato a mio padre vedendo questi lupi mostrare le loro zanne in televisione, pronti a sbranare e sbranarsi per difendere il loro diritto di figli unici. Deridere ogni principio di Legge Morale per difendere il proprio boccone. Senza passato e senza futuro, perché il desiderio (che è il fondamento del rapporto figlio-madre) vive in un eterno presente.

Li ho visti lasciar buttare i cadaveri in mare, mettere bambini - soli – in una cella, lasciare naufraghi alla deriva e chiedere di schedare i diversi.

Senza pietà, senza memoria.

E cosa gli hanno detto altre anime belle?

Accoglienza, comprensione, accudimento, solidarietà……

Soluzioni provvisorie, pannicelli caldi, abbracci ipocriti, attesa.

Nel frattempo facciamo il possibile, gestiamo l’emergenza (ci sarà sempre un’emergenza da gestire), si deve essere realisti, non si possono cambiare le cose. Una soluzione arriverà.

Non arriverà.

La soluzione bisogna inventarla, costruirla, farsene carico, assumersi la responsabilità di deciderne il senso.

Sognarla.

E vorrei sapere cosa ne pensa mio padre di ciò che ne ho fatto della sua eredità, dell’uomo che sono. Vorrei sapere come ha fatto lui, se anche lui – come me – aveva paura.

Ma, in fondo, non è questo che mi manca, alla fine le risposte a quelle domande le conosco.

Quello che mi manca, veramente, è di non avere mai potuto offrirgli il mio braccio. Dirgli “appoggiati, riposati, ora ci penso io”. Solo a me è toccato il destino d’invecchiare.

Perché è questo che c’è di innaturale nel nostro rapporto: io diventerò il più vecchio, ma lui sarà sempre il più grande.

Qualche giorno fa, il mio pulcino ne ha fatta una delle sue. Una delle solite. Una delle tante.

L’ho punito. Ho dovuto.

Sono stato inflessibile. Sordo ai suoi pianti, alle sue recriminazioni, alle sue proteste, alla sua rabbia.

Poi ho aspettato che venisse sera, che andasse a letto, che scivolasse nel sonno.

Mi sono seduto vicino a lui.

E l’ho soffocato di baci.

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editoriale di Trofeo

Questo è il mio primo post come editoriale.

Sicuramente verrò insultato per il contenuto ma non è fatto a caso.

Volevo dirvi che vi voglio bene. E vi spiego perché.

Non c'è un sito come questo, dove tra serio e faceto si parla di musica, ci si diverte e ci si misura con la propria passione e capacità di recensire, ci si prende in giro e ci si ama. In totale anonimato, quindi anche i più timidi (più di Ruggero ndr) possono andare in scioltezza.

La questione però è un'altra. Mi accorgo solo io che c'è un silenzioso assordante sulla musica? C'è poca voglia di scoprire, di non vedersi propinate le pulsioni tristi dei direttori artistici delle radio, che su emittenti finte rock ci propongono pezzi di sfigatissimi gruppi paraculi anni '90 (mi vengono in mente The Rasmus, tra gli altri) o proposte pop travestite da finto rock? (Mi sembra di vederti, hai davanti agli occhi i Maneskin. Non farlo).

Con chi parlo di musica? Con chi mi confronto su vecchi successi, mode del momento, contaminazione di stile o anche solo di concerti? Nella mia friendlist di Facebook (ormai morto) ho lo stesso riscontro che avrebbe un senzatetto davanti alla vetrina di Gucci in pieno centro? E quindi che si fa?

Per fortuna c'è il Debasio. Per fortuna abbiamo una loggia segreta nel mondo.

E allora vi amo.

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editoriale di Pinhead

Di arte – pittura, scultura et similia – so poco o nulla ed è la mia abissale ignoranza che, ogni volta che entro in un museo, mi impone di bloccarmi per interminabili momenti, la bocca a penzoloni, davanti a tante opere.

Come quando mi trascinarono a forza al Louvre a Parigi, durante la più tradizionale delle gite scolastiche, sotto minaccia di bando da ogni scuola della Repubblica. Ecco, allora mi persi per ore al cospetto de «La zattera della Medusa» di tale Théodore Géricault, perché quella è la copertina, seppur riadattata alla bisogna, di «Rum, Sodomy and the Lash» dei Pogues; e vuoi mettere lo stupore di ritrovarmela davanti al Louvre a Parigi, in tutta la sua imponenza?

L’arte moderna, l’avanguardia, invece, non la capisco proprio e neppure l’apprezzo; meno che mai i critici di arte moderna, simbolo della più indefinibile vacuità che abbia contemplato. Se qualcuno, si è mai imbattuto nel MoNA – acronimo del Museo dell’Arte che Non Esiste, a New York – probabile che intuisca i miei sentimenti al riguardo.

Premessa per arrivare al punto che, in questi giorni, ho avuto la fortuna di trascorrere un fine settimana a Bologna e, da bravo turista fai-da-te oltre che last-minute, ho trovato su Google un sommario elenco delle dieci cose da vedere ad ogni costo.

Tra queste, la Pinacoteca Nazionale, girata in lungo e in largo per ore senza grande costrutto ma bellissima, ed il Museo di Arte Moderna, sorpassato con indifferenza, causa pregiudizio.

Però, del M.A.M.BO., ho avvertito la curiosità – termine inadeguato, in tale contesto, ma non me ne viene un altro – di visitare la sezione distaccata dedicata alla memoria della strage di Ustica: è il capannone nel quale giacciono i resti, per quanto è stato possibile ricomporre, dell’areo abbattuto nel cielo di Ustica durante il volo da Bologna a Palermo del 27 giugno 1980, 81 morti, nessun superstite.

Attorno ai resti, un’installazione permanente, opera dell’artista francese Christian Boltanski: 81 luci intermittenti al di sopra dell’areo e dei parallelepipedi neri all’intorno, 81 specchi neri lungo la circostante passerella per i visitatori, altoparlanti da cui si diffondono i presumibili pensieri che affollavano la testa dei passeggeri negli attimi precedenti la fine.

Iniziativa lodevole e meritoria, assolutamente.

Però non la capisco, sicuramente per il pregiudizio che nutro verso ogni forma di arte moderna: arte moderna o meno che sia, la sensazione che mi ha sfiorato è stata quella del dramma trasformato in melodramma.

Perché sono rimasto lì dentro per ore, intontito a fissare quei resti a pochi metri, e l’unica cosa che mi si è fissata in testa quando sono uscito è che ci sono dei pezzi del relitto talmente piccoli che stanno nel palmo di una mano e che non riesco nemmeno ad immaginare come vada che un aereo finisca in talmente tanti pezzi che li potresti chiudere nel pugno.

Come se il tentativo di ricostruire quell’areo fosse la composizione di un puzzle.

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editoriale di kloo

Era il 1997 ed avevo 8 anni la prima volta che lo vidi: ero con mio Nonno e lui era in Francia, noi seduti sul divano e lui sotto quel sole che stava rompendo le rocce. Ne avevo già sentito parlare e mio nonno, al nominarlo, si emozionava come un bambino di fronte alle caramelle. Era appena iniziata e già si stava salendo, ma lo spazio ed il tempo in quel momento erano relativi. Si sentiva spingere solo a voce, si vedeva il diavolo ed il colore giallo, l'aridità metro dopo metro.

L'anno dopo in Italia ho visto mille scatti ed un russo inflessibile cedere, mio nonno mi parlava di Kubler e di Koblet e li vedevo giganti e lontani, come il mondo del mio caro in Svizzera a lavorare per tornare con un pugno di mosche, o forse, nemmeno quelle. Poi nuovamente in Francia tra le montagne vidi il fossile, vedemmo tutti quel fossile: stavolta la pioggia, la bandana in testa e non erano più i secondi a scorrere ma i minuti, come quei fossili giganti e lontani. Il tedesco di ferro a capo chino e con la schiena spezzata avrebbe rischiato di saltare per aria l'indomani.

Torna l'estate e torna l'Italia, stavolta il fossile cannibalizza, mangia strada e mangia giovani prede. Ad Oropa vidi qualcosa che, se ci penso, non ci posso credere. Vidi un fulmine a ciel sereno, vidi un fossile volare, vidi una maglia rosa recuperare quasi un minuto.

Ma, qualcosa di grandioso non può che finire in maniera atroce, grottesca. Io ho amato tanto questo fossile, fossile come lo erano negli anni '50-'60-'70 anni dorati e mai dimenticati. Nel '99 passò per il mio paese e passò per ultimo, avevo 10 anni, alzai il mio cartello con scritto "Forza Pantani"; se ci penso, ancora piango.

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editoriale di sfascia carrozze

Quando mi addentro in un editoriale mi incuriosisce capire se sarà un editoriale curioso.

Se ci si trova innanzi a qualcosa di interessante o di particolare da leggere: diciamo che preferisco quelli che per convenzione potrei definire editoriali frì-gezz.
Editoriali PeterBrötzmannPaalNilssenLoveKenVandermarkJoeMcPhee, per brevità.

Questo chiaramente non è uno di quelli; non è neanche un editoriale: è la traslazione di un incartapecorito papiro-egizio scoperto in un fetido baule in soffitta.
Quando da giovane vagabondavo per il Cairo.

Ammetto che per i simboli più complessi mi sono avvalso dell'immarcescibile traslatore di Gugol: perdonerete perciò qualche lieve imprecisione dal geroglifico all'itagliano.

Nel papiro dovrebbe esserci scritto che sarebbero da preferire quelli squagliati che permettono di astrarci anche solo per qualche minuto dalle quotidiane vicissitudini più o meno tribolate che ci attanagliano.

Sarei poco incline a quelli troppo avvinghiati alla realtà e/o all'accadimento quotidiano tavolta più tragico chè comico.
Basta guardarsi un po' intorno: di quelli se ne trovano a bizzeffe ovunque: quotidiani, tivvù e network più o meno sociali ne sono strapieni.
E poco spesso, seppur non volentieri, risultano memorabili e degni dello spazio concesso.

L'analisi a caldo sull'onda dell'umano disagio dell'ennesimo sconquasso, perlopiù con argomentazioni scarse o per nulla conosciute, è poco produttiva se non totalmente fallace.

Tanti sembrano detenere la soluzione in tasca ma in pochi sembrano in grado si estrapolarla efficacemente dalla saccoccia.

E' il predominio del decisionismo pret-a-porter, del parerismo indiscutibile: della facile soluzione al problema complesso.
Anche se anch'io sono sostanzialmente in linea con i post-platonici Brutal Truth, i quali sostenevano che a domande estreme si risponde con estreme risposte, direi comunque di cercare di restare coi piedi per Terra.

Per restare nell'ambito, conscio che forse non mi si crederà, mi è parso di scorgere Gengis Khan rampicarsi su un rododendro gigante nell'atto di avvistare cefalopodi imbizzarriti prima dell'impanatura irridere cariatidi catarifrangenti prive di occhiali da sole.

Testuggini fluorescenti sfrecciare alla velocità del suono per tuffarsi tra benefici effluvi e deiezioni nauseabonde. Imbottigliate all'unisono. Menadi astemie che si dilatano e dilaniano il petto senza aver bevuto neppure un singolo calice.

E infine, laggiù, australopitechi ingobbiti su geisers di naftalina compressa che schiantano al suolo meteore di panna montata.

Uhm.. ammetto di non essere proprio sicurissimo della fedeltà della traduzione.

Ma questo è (o ambirebbe ad essere) un editoriale PeterBrötzmannPaalNilssenLoveKenVandermarkJoeMcPhee.

Sempre per brevità.

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editoriale di sotomayor

Ci sta questo locale a Kreuzberg, Berlino Est, che si chiama ‘Madame Claude’. Il posto è carino. Voglio dire, niente di particolare, semplicemente un classico sotto-scala con quattro-cinque locali a disposizione. Ma è accogliente. Ce lo avevo proprio dietro casa. Cinque minuti a piedi. Dieci se avevo i piedi troppo gonfi per il freddo.

Chiara amava quel posto e ci andavamo ogni settimana. Specialmente il lunedì. Perché il lunedì al Madame Claude era la serata dedicata agli artisti di musica elettronica sperimentale e lei ci teneva tantissimo a assistere a ogni performance. Ammetto che sono sempre stato una persona di poche pretese. Non me ne importava niente di queste performance, ma mi bastava semplicemente uscire e stare assieme. Dunque perché no. Ci tengo a dire che non ho mai lasciato trapelare poco entusiasmo, anzi a volte le proponevo proprio io direttamente di andarci. Meglio che restare sempre chiusi in casa.

Questi happening avvenivano all’interno di una delle sale del locale che veniva attrezzata con delle sedie. In fondo alla sala venivano generalmente proiettate delle immagini. Si trattava del resto per lo più di opere concettuali e cui anche queste avevano o avrebbero dovuto avere evidentemente un ruolo centrale.

Naturalmente, mi sembra inutile specificarlo, la maggior parte dei progetti proposti era assolutamente inascoltabile. Ma Chiara amava quelle performance che ogni volta seguiva ad occhi chiusi per tutto il tempo e io per dire la verità sopportavo in maniera molto religiosa anche questo suo atteggiamento. Sono sempre stato abituato a stare da solo, di conseguenza quando sono in compagnia di qualcuno da qualche parte, da qualsiasi parte, voglio parlare. Non sto dicendo di chiacchierare ad alta voce ogni volta, ma, cazzo, io se non voglio parlare con nessuno, me ne sto a casa mia da solo, non posso concepire di stare tutto il tempo accanto a una persona immobile in silenzio in una specie di stato di trance. Questo mentre dei ragazzetti molto alternative giocano con i loro ‘canta tu’ da milioni di euro e urlano delle grida al microfono che ricordavano quelle di Fantozzi nei momenti più tragici. Però la rispettavo molto e allora immaginavo che questa cosa per lei avesse un qualche significato particolare.: come se questa esperienza in ogni caso la facesse entrare tipo in una specie di trance meditativa. Come praticare lo yoga. Non lo so.

Le immagini proiettate erano comunque tratte da film sperimentali giapponesi oppure coreani o in ogni caso da qualche pellicola che a un povero ‘peones’ come me non diceva assolutamente nulla. Molto spesso non credo queste avessero un contenuto direttamente collegato con il concept (eventuale) che si voleva sviluppare e che fossero chiaramente invece una specie di esibizione alternative anch'esse. Ma una sera in via del tutto imprevista ecco che sullo schermo cominciarono a scorrere delle immagini familiari e che riconosco immediatamente. Il film è ‘Arrivano i titani’ del 1962, un ‘peplum’ diretto da Duccio Tessari e con il suo feticcio Giuliano Gemma nel ruolo di protagonista.

Nella sala eravamo gli unici italiani quindi immagino che nessun altro oltre me abbia capito esattamente di cosa si trattasse. Mi sentii fiero e orgoglioso di avere riconosciuto quel film. Che finalmente avevo trovato qualche cosa in un luogo 'ostile' che mi apparteneva e di cui potevo rivendicare il pieno possesso. Allora cominciai a dare dei colpetti a Chiara: ‘Chiara... Oh, Chiara, guarda lì, c’è Giuliano Gemma...’ Ma lei, dopo aver fatto un po' di resistenza, si limitò a emettere un grugnito, quindi fece una mossa come se fosse stata colpita da una tarantola e io allora rinunciai e continuai a ‘guardare il film’.

La performance si concluse dopo poco e lei volle subito andare via. Fuori faceva un freddo cane e per qualche ragione lei aveva voluto uscire vestita solo con i leggings e un giubbotto di pelle. Le stavano bene ma faceva oggettivamente un freddo cane e io glielo avevo detto, ‘Guarda Chiara che fa un freddo cane.’ Ma ogni volta che glielo dicevo, lei diceva che io avevo sempre freddo. Non ci stava una cosa che le dicessi che per lei andasse bene. Tremava, io come sempre mi avvicinai a lei con una certa premura, ma venni nettamente respinto. Poi passa la metropolitana finalmente. La U2. Facciamo due fermate e poi dieci-quindici minuti a piedi e siamo a casa sua. Percorriamo tutto il tragitto in totale silenzio interrotto di tanto in tanto da alcuni miei velleitari approcci e tentativi di capire.

Ci spogliamo in silenzio (cioè io mi tengo comunque addosso almeno i calzettoni di lana se non la calzamaglia) e ci infiliamo direttamente a letto. Lei assume da subito la sua tipica posizione difensiva dandomi le spalle. Io mi sento male e penso semplicemente che non ho capito un cazzo e mi metto a fissare il soffitto. Dopo un po’ mi fa, ‘Che fai?’ E io le dico, ‘No, niente, cioè guardavo il lampadario. È sferico, mi fa pensare a una volta che dovevo andare al planetario, ma non mi hanno fatto entrare.’ Lei mi dice, ‘Buonanotte.’ E io sono sicuro ancora a distanza di tanti anni di non avere capito un cazzo. Sono sicuro peraltro che non mi risponderebbe neppure oggi. Così mi domando ancora adesso fino a che punto puoi dare per scontato che uno debba sempre riuscire a interpretarti e se uno non ci riesce, è veramente per forza uno stronzo?

Penso che Chiara fosse come una gatta. Forse considerava quello spazio come un suo territorio e dove nessuno, me compreso, avrebbe dovuto entrare. Ma nel momento in cui avevo identificato la pellicola, il regista e Giuliano Gemma, avevo evidentemente commesso una violazione a questo suo spazio sacrale. Con il tempo scoprii che i suoi spazi inviolabili erano così tanti che scontrandosi tra di loro riuscivano a creare il vuoto. Lo stesso che mi porto ancora dentro a distanza di tutti questi anni.

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editoriale di CosmicJocker

Le risibili beghe messe in scena dai nostri politucoli nazionali che tanta parte hanno in quei luridi calderoni ribollenti di occhi di tritone, urina di ratto e altri ingredienti di infimo rango volgarmente chiamati "talk show televisivi".

La cialtroneria congenita e la miopia manifesta di cui sono pregne le chiacchiere dei cosiddetti "uomini della strada" che millantano preziosi quanto originali carotaggi nel cuore pulsante della contemporaneità giustificati dalla loro inestimabile esperienza di vita dimenticando che "esperienza" può anche semplicemente significare "reiterare un errore per molti anni".

Beh, è facile: provo disgusto, un sommo disgusto.

Ma perché?

Non certo perché mi credo chiuso e ben protetto nella e dalla mia (inesistente) torre d'avorio da cui, con occhio sdegnoso, osservo dall'alto della mia superiorità morale l'indecoroso spettacolo delle miserie umane contrabbandate dall'ipocrisia o dal qualunquismo. Prima di ogni altra cosa io sono un figlio del popolo: sarei quantomeno un completo idiota se non mi interessassi per nulla di tutti i problemi (di quelli "prosaici" innanzitutto) che funestano i nostri giorni.

Non certo perché mi consideri "apolitico". Non credo sia possibile essere "apolitici": noi scegliamo con tutti i nostri pensieri, parole, opere ed omissioni e dalle scelte si desumono gli orientamenti.

Lo scopo principale dei talk show non è informare, ma intrattenere. Quello delle chiacchiere di strada non è condividere, ma accarezzare l'ego.

Cosa rimane? Il silenzio. Oppure, cosa ben più difficile, la radicalità.

Sono disgustato da tutte le sovrastrutture o da tutte le questioni di lana caprina a cui immancabilmente si ricorre per discutere di ogni massimo sistema e l'ordinamento sociale, politico ed economico della vita umana sulla Terra lo è, o lo dovrebbe essere.

Io saprei dire qualcosa di originale sull'argomento? No. Mi manca l'intelligenza e la preparazione.

Allora scelgo il silenzio.

Anzi no, scelgo la radicalità.

E allora vi cito Engels in cui mi sono imbattuto leggendo una "parabola" di Svevo riguardante la trasformazione di una comunità nomade in una stanziale.

"Il potere di questa comunità naturale doveva essere infranto; e infatti lo fu. Ma fu infranto da influenze che ci appaiono fin dal principio come una degradazione, come una colpevole caduta dalla semplice altezza morale dell'antica società gentilizia. I più bassi interessi - volgare avidità, brutale cupidigia di godimenti, sordida avarizia, rapina egoistica della proprietà comune - inaugurano la nuova società incivilita, la società di classi. Lo Stato, poiché è nato dal bisogno di tenere a freno gli antagonismi di classe, ma contemporaneamente è nato in mezzo al conflitto di queste classi, è, per regola, lo Stato della classe più potente, economicamente dominante che, per mezzo suo, diventa anche politicamente dominante e così acquista un nuovo strumento per tener sottomessa e per sfruttare la classe oppressa".

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editoriale di G

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editoriale di Jaco2604

Premessa: sul deb si parla principalmente di musica, stanotte sono un tantino fuori tema ma ritengo che questo sia un argomento importantissimo e che sia fondamentale trattarlo in ogni contesto possibile.

Non riesco a non lasciarmi sopraffare da questo vortice di negatività e tragedia che mi ha investito negli ultimi giorni. Sono anni che la parola "morte" è entrata a far parte della nostra quotidianità, senza mai uscirne: basti pensare al covid, ogni giorno un bollettino ci diceva quante persone la malattia si era portata via. Poi è arrivata la guerra (o meglio dire "tornata") e ci siamo trovati di fronte ad innumerevoli vittime, civili e militari. Ogni giorno guardiamo il telegiornale, leggiamo le notizie e qualcuno è stato ingiustamente ucciso. Questa cronaca nera che attanaglia le mie giornate inizia a pesare, anche perché ultimamente non l'ho vissuta solo nei telegiornali, ma anche in prima persona, riguardo un tema che ho particolarmente caro: i suicidi.

Il suicidio è diverso dalla malattia o dalla guerra, perché è una scelta. Una scelta che nasce dalla solitudine, dal non sentirsi compresi ed è una soluzione tragica.

Nessuno dovrebbe mai morire per via di una difficoltà che non riesce, da solo, a superare, è una cosa crudele.

Qualche settimana fa una ragazza, circa della mia età (20), si è buttata dalla finestra ad una via di distanza da casa mia, ieri ho appreso del suicidio del rettore della cattolica, buttatosi anche lui dal sesto piano, stasera un uomo si è buttato dal quarto piano del palazzo di fronte al mio... ma cosa cazzo ci sta succedendo? Come cazzo è possibile che non siamo più in grado di reagire? Come cazzo si fa ad essere abbandonati a sé stessi nell'era dei social e della massima condivisione? Io non ne lo spiego...

Le difficoltà colpiscono tutti, il rettore dell'Università che abita in centro a Milano, così come l'ultimo disoccupato che abita in un paesino di periferia (che poi zona mia è ugualmente Milano, ma per generalizzare...), questo rende ancora più paradossale la questione.

Per capire un attimo se questo nero tempesta si è abbattuto prettamente su ciò che mi circonda, ho cercato su internet i dati del suicidio in Italia, voglio dire, se 3 sono avvenuti in due settimane in contesti a me vicini, chissà in tutta Italia, devono essere numeri tragici...

Ho scoperto che gli ultimi dati sui suicidi in Italia sono stato pubblicati nel 2021, MA sono dati del 2018, anno in cui si sono rilevati 3789 suicidi.

Una fondazione che si occupa del fenomeno suicidi ha fatto un report sui suicidi/tentativi nel primo semestre del 2022 e del 2023:

Tra gennaio e agosto 2022 si sono tolte la vita 351 persone e 391 hanno tentato.

L'anno scorso invece, nello stesso periodo, 608 suicidi e 541 tentativi. Sono numeri allarmanti, che crescono esponenzialmente e che sono aggravati dal fatto che questi sono solamente quelli di cui la stampa è a conoscenza e che perciò sono stati oggetto di cronaca. Per intenderci, il rettore della cattolica sarebbe annoverato tra questi, i due ultimi della società vicino a casa mia no.

Come si fa a non allarmarsi di fronte a numeri del genere? Come di fa a non avere dati perché nessuno monitora il problema?

Alla fine siamo sempre noi stessi che abbiamo il "dovere morale" di autocontrollarci, vivendo in una società in cui non è accettato altro che non sia la perfezione; laddove diventiamo grezzi, imperfetti, nessuno ci vuole più e siamo abbandonati a morire soli con noi stessi.

Non pretendo che la soluzione ai suicidi arrivi dallo stato, hanno provato a far qualcosa col bonus psicologo, ma si è dimostrata una stronzata come tutti si pensava, alla fine è, si, una questione di denaro, ma rimane principalmente una questione di biasimo sociale. Il poveretto che si è buttato dal quarto piano, è stato definito come un esaurito... esaurito... oppure "depresso", detto in senso dispregiativo... ma svegliamoci.

Un ragazzo che va dallo psicologo, nel 2024 è ancora visto come un ragazzo che ha deti problemi e che quindi non è adatto a stare in società, perché in società dobbiamo tutti essere perfetti. Mi piacerebbe star inventando queste affermazioni o esagerando, ma le sento ogni giorno e ogni giorno mi fanno venire il sangue Amaro.

Come risolvere dunque?

Alla fine la cosa che noi tutti possiamo fare è stare vicino a chi si mostra in difficoltà e sforzarci a capire quando lo nasconde.

Noi abbiamo il dovere morale di aiutare chi da solo non riesce più a stare e di dargli un motivo per vivere, perché alla fine chi vogliamo prendere in giro, senza quello nessuno di noi andrebbe avanti.

Il fenomeno dei suicidi si combatte nell'empatia e nell'altruismo quotidiano e siamo tutti responsabili di questo, uno ad uno, nei confronti di chiunque trascorra, o abbia trascorso, il proprio tempo con noi.

La soluzione deve passare attraverso la comprensione e non essere vincolata ad una richiesta di aiuto... dall'altra parte però vi prego, per chiunque non riesca ad uscire dal labirinto dello sconforto, chiedete aiuto, parlate, uscite sfogatevi, incazzatevi, piangete, reagite per far vedere a questo mondo di merda che voi ci siete e siete un'entità forte è vogliosa di vivere... vi prego, fatelo anche per me.

Non voglio arrendermi a questa tempesta di fine maggio...

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editoriale di iside

Da piccolo, negli uggiosi pomeriggi autunnali, restavo per delle ore a guardare le gocce di pioggia scivolare lungo al vetro. Nella mia mente inventavo corse fra le gocce ne sceglievo una e la spronavo ad arrivare per prima in fondo al vetro, se la vedevo tardare ogni tanto picchiettavo la lastra in modo che altre gocce la appesantissero permettendogli di vincere. Alcune volte vincevo tante altre no. La Domenica mattina vedevo Fabio che, come tutti le mattine della Domenica, si allenava a tennis. La racchetta, la palla, suo padre e il muro. Suo padre lo spronava a migliorarsi, il muro non sbagliava mai una risposta, maledetto muro. Fabio era il figlio dei miei padroni di casa non l'ho mai visto una volta giocare con noi proletari nemmeno all'oratorio, lui restava confinato nel suo giardino mentre noi scoprivamo il mondo, lui aveva il suo muro e suo padre che lo spronava, forse desiderava avere un figlio "Panatta" o forse era il desiderio di Fabio. Di Fabio ho saputo sei mesi fa, chissà come gli andata la vita se si è sposato se ha lasciato figli e moglie...Chissà, io lo ricordo bambino, un bambino che non ha mai giocato con noi e la Domenica mattina il muro.

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editoriale di luludia

Ebbene si, giunto alla mia veneranda età, comincio a leggere i giornali dalle pagine finali, ovvero sport, spettacoli, cultura...

Poi, li mi fermo...

E massimo massimo do un'occhiata all'amaca di Michele Serra, più che altro perché sa scrivere.

Attenzione, non è che ne vada fiero, anzi per molti versi mi dispiace.

Anche perché io sono figlio di ex giornalai e ho passato l'infanzia tra l'odore dei giornali appena arrivati e ancora oggi vedere un'edicola mi da un'emozione particolare...

Eppure è così, non me ne frega più un cazzo di niente, anche adesso, con le elezioni alle porte. Ma, ripeto, non ne vado fiero...

Da sempre appartenente a una sinistra ideale e quasi anarchica, rimpiango i tempi in cui si credeva che l'agire quotidiano e l'interesse per le cose fosse, non un dover essere, ma un piacere...

Quel che io penso del mondo è che è un groviglio di ingiustizie varie, dagli ultimi/ultimissimi dei paesi più degradati fino all'irrigidimento di un Giandomenico Fracchia nell'ufficio del dirigente supremo...

Quel momento di Paolo Villaggio credo rappresenti davvero, e nel modo più perfetto, tutti gli aspetti aberranti (psicologici e sociali) della condizione lavorativa dei più...

La subordinazione, per usare una sola parola...

Eppure, eppure, aldilà di tutti gli snobismi, e del fatto che noi tutti si sia diventati semi artisti per sfuggire alla malinconia, non si può dir niente di più giusto che: “tutti dovrebbero guadagnare 2000 euro al mese.”

Tutti, ma proprio tutti, dallo splendido artista alla persona più semplice, che la sedia sulla quale sono seduto adesso è importante quanto i quattro versi di un poeta greco.

Ma è importante solo se viene costruita come in leggerezza, in uno spirito di comunanza con gli altri dove la subordinazione sia solo un lontano ricordo.

Allora, credendo questo, come mai il vostro luludia si disinteressa completamente di quanto accade? Semplice, il vostro luludia ha una certa età e si è, come dire, un po' stancato...

Il vostro luludia è pure un ex bambino prodigio, uno di quelli che avrebbe potuto benissimo fare la scelta di tanti suoi compagni di scuola che sono diventati, che so, segretari della cgil, assessori, direttori di banca...

Avrei potuto farlo, si...

Però, chissà perché, io e i miei amici abbiamo sempre schifato scelte di questo tipo...

Siam stati come preveggenti, certo, ma quanto sarebbe stato comodo farlo anche noi, che adesso andremmo in giro con quella maschera di sicurezza in volto, tranquilli come il sole...

Però no, non l'abbiamo fatto...

Avevamo già capito che il mondo non cambia (se non negli aspetti puramente esteriori) e che l'unica cosa possibile è soltanto l'agire di ogni giorno, non tanto politico, ma umano...

Testimoniare, insomma...

Testimoniare una diversità, non dico orgogliosa che già nell'orgoglio c'è qualcosa che non va, ma una diversità tranquilla, come a dire noi ce ne fottiamo delle vostre beghe...

Il colpo di grazia è stato poi dato dalla mancanza di orizzonte...

Che l'utopia non esiste più...

Il non luogo, quello che mai avverrà e che tutti un tempo han creduto potesse avvenire di li a poco...

Certo, era solo una leggenda di libertà, ma la scomparsa di quell'orizzonte, sempre un passo più in la, non ha fatto altro che portare la politica a essere solo e soltanto accaparramento di poltrone.

Non so...e voi?

Voi continuate ad interessarvi al mondo?

Io no...

E, fighissimo e sperduto,vivo perso nei miei sogni ...

Ps: il signore che sta nell'edicola che ho messo come immagine assomiglia al mio babbo...

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editoriale di luludia

Primo gennaio venti venti...

Caffettino con sambuca, un po di drum...

Me ne sto qui in mezzo a operai sdentati, vecchietti che giocano a carte, donne senz'arte ne parte.

Tutto bene, anche perché questo sole inaspettato ingentilisce tutto. Senza contare che le donne comunque son donne.

Sono spelacchiato come un vecchio cane di strada, magico come un artista da due soldi in un'ora di pace. E c'è come una specie di verità, ovvero questo è quanto.

Torno a casa e ho bisogno di qualcosa che mi restituisca una sensazione simile. Musica chiaramente.

Musica. Si, musica.

Vado sul tubo a caccia di meraviglie black, li la verità c'è sempre. Sorry per la retorica.

Donny Hathaway ha un bel cappello e una bella faccia. Ed è intenso. Al punto che l'aria nella stanza si fa umida. E questo è un bene, visto che il mondo è secco, arido...

Un vero deserto...

Si sentono le lacrime, gli umori del corpo. E' una specie di pioggia, tutti i fiori ne godono, tutti i fiori bevono...

E abbeverarmi a una fonte buona è esattamente quello che volevo.

"Ho dato poesia agli uomini e dunque nel mio mestiere sono re", così Cesare Pavese. Beh Donny, eri un re anche tu...

Auguri, brothers and sisters...

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