editoriale di kosmogabri

(…)Quando ero più giovane non mi piaceva viaggiare. Quando avevo vent’anni, mi imponevo ogni tanto di andarmene via, ma ero solito dire agli amici: “I paesaggi e le città non mi interessano, perchè non li posso far miei. Non li posso mangiare”. Lungo il mio viaggio solitario, una domenica, a Chantilly, mentre un amico rapito dal paesaggio autunnale, grigio, sfumato, eppure così vivo fra le acque degli stagni, le rive, i fusti degli alberi le linee di un indefinibile orizzonte, diceva: “E’ un puro Corot. Lui ha dipinto esattamente questo luogo”, mi sono chiesto perchè da qualche anno anch’io ami i paesaggi, le città e i luoghi. E ami viaggiare.

Allora mi sono dato una risposta. Quando ero giovane, ero un ignorantone, leggevo poco, scrivevo male. Se avessi visto quel paesaggio, avrei solamente ricevuto un’emozione turistica. Oggi, invece, che conosco Camille Corot, posso vedere e sentire quel paesaggio, quella città, quel luogo, in un modo diverso.
Leggere libri, guardare opere d’arte, ascoltare musica, andare al cinema, sono tutte attività che nutrono il nostro sentire. Anche fare l’amore, essere innamorati, spedirsi biglietti fra una lezione e l’altra, correre e andare in bicicletta sono attività che l’interiorità – il leggere, il guardare – può nutrire. In questi anni votati così spudoratamente alla fatuità e al perbenismo, anche starsene un po’ zitti e cercare di crescere nell’interiorità può essere un gran bene. Questo ho pensato, fra le altre cose, durante il mio viaggio solitario. E ve lo dico con un po’ di rabbia, perchè mi sembra di trarre una morale da un’esperienza che preferisco lasciare così, senza un senso definitivo.  Perchè la gioia è nel non avere bisogno di giustificazioni e di morali: accettare di sperperare tempo e denaro e affetti perchè è così e non se ne può fare a meno. Il dolore è sterile.
Ma è l’unica cosa che ho, questo dolore, per cercare di capire.

Da: “Un Weekend postmoderno - Cronache dagli anni Ottanta" (Bompiani Ed.)


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editoriale di K.

Tornare a piedi dal supermercato sarebbe un suicidio, troppa afa. L'opzione bus per solo due fermate è ridicola, ma se stasera qualcuno ride lo picchio. Arrivo alla fermata, controllo quando arriva il mezzo e combattuta tra lo stare lì nel torrido ad aspettare oppure andare a piedi, stramazzo sulla panchina. La testa pensa, il corpo decide.

Passa qualche minuto che due ragazzine, 13 o 14 anni a testa, s'avvicinano alla fermata. Due tipiche ragazzine in sboccio. T-shirt scopri ombelico, jeans vita bassa di una misura più piccola che strizza la ciccia adolescente, trucco, unghie finte, profumo alla mela verde. Ragazzine d'oggi banalmente ragazzine d'oggi.

Cominciano a chiacchierare a voce alta, impermeabili all'afa appiccicosa ed incuranti dei presenti.

La moretta: - Stamattina ho provato a chiamarti, ma non hai risposto.

La biondina: - Guarda ho avuto una giornata di merda.

- Perchè?

- Perchè mia mamma è fuori come un balcone!

- Che novità! Cosa è successo stavolta?

- Eh, è stata mollata dal tipo.

- Quello che ho visto a casa tua?

- No, uno nuovo, cioè... adesso usato. (risatina)

- Tua mamma è proprio fuori, sempre uno nuovo! Che è successo poi, oggi?

- Guarda, stamattina urlava sempre e s'è messa a fumare una canna dietro l'altra, già prima di pranzo.

- Già prima di pranzo? E' scema?! E tu?

- Mi sono chiusa in camera fino a quando è uscita. Dopo ho fatto le cose di casa.

- Ma come... tua mamma non ha fatto niente?

- Eh lo sai che non fa mai un cazzo! Ho fatto l'aspirapolvere, i panni e i piatti (...) Sai, quando ho fatto l'aspirapolvere in salotto, c'era una canna appena accesa e poi spenta nel portacenere.

- E tu che hai fatto? (occhi grandi)

- Ho svuotato il portacenere e poi la canna l'ho rimessa lì.

- Ehhh?? Dovevi buttarla nel cesso!

- Oh, poi mia mamma m'ammazza se non la trova più!!

(silenzio)

- Scusa se te lo dico... ma che stronza che è!



Il bus è arrivato, le ragazzine s'alzano dalla panchina di scatto. Io e gli altri astanti ci scambiamo uno sguardo piuttosto sconcertato. Seguo le ragazzine mentre salgono, carine con il loro rossetto a brillantini, la borsetta hellokitty, la scia fresca di mela verde.

Ragazzine come tante, dal look omologato da non poterle distinguere dalle altre.

Sì, omologate, ma queste assolutamente non banali.


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editoriale di emofiliaco

Lo Stilfser Joch o Passo dello Stelvio, 2758 metri, è la strada carrozzabile più alta d'Italia. Per raggiungerlo, dal Sud Tirolo, è necessario superare 48 tornanti: distribuiti in 19 chilometri su di un dislivello di 1870 metri.
Quando, nel 1822, Carlo Donegani, per conto dell'Imperatore Ferdinando I d'Austria, s'apprestò a progettare quest'eroica strada, probabilmente, non si rendeva conto che, in un non così lontano futuro, la sua opera avrebbe perso l'originale funzione di arteria di collegamento per guadagnarne un'altra. Meno funzionale, forse, ma senz'altro più "poetica".

Chi ha già provato l'esperienza di vedere l'Ortles avvicinarsi, un tornante dopo l'altro, forse avrà capito di cosa sto parlando: se dovessi descrivere l'Inferno, probabilmente, tenterei di "spiegare" il colore (un grigio plumbeo che nemmeno il bianco, sporco, dei ghiacci riesce ad addolcire: ma nemmeno così penso di aver dato l'idea) di quella montagna. Tenterei di far capire la sensazione d'abbattimento che insorge quando, dopo aver percorso già una ventina di tornanti, la rada vegetazione d'alta montagna improvvisamente sostituisce il bosco ed i rimanenti trenta diventano improvvisamente visibili. Dritti, dritti sopra il tuo naso: riconoscibili dai muretti di pietre, malta e cemento che li dividono dal vuoto. Direi del ghiacciaio che più si avvicina (è li a due chilometri, forse meno, in linea d'aria da te) e più lo vorresti lontano.

Ma quello che più lo rende simile all'Ade è la sensazione di "nera" solitudine che, pure in mezzo ad altri "disperati", lo Stelvio ti piazza nel cuore. Sei tu, la strada e la montagna. Niente altro.
Nelle mie peregrinazioni ho incontrato centinaia di strade che considero amiche ed il loro asfalto compagno di scorribande: qui è diverso.
Se non si sapesse che lassù c'è il "premio" (una volta scollinati la dicotomia tra Paradiso ed Inferno sarà, paesaggisticamente, chiara ma di questo magari parlerò un'altra volta) la tentazione di rinunciare sarebbe sempre incombente perchè lo Stilfser è maligno: non ha nessuna intenzione di farti compagnia. Ti piazza di fronte il suo paesaggio in tonalità più grigie che verdi e non accetta nessun compromesso: nessun dialogo. Una perfetta conclusione, silenziosa, per il Mondo e per tutto quello che conosciamo.

Chissà se Donegani, sapendo quello che il suo "bambino" sarebbe diventato, l'avrebbe messo al mondo lo stesso. Ma forse è una domanda inutile, perchè il "Male" avrebbe comunque trovato il modo di manifestarsi, lassù.



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editoriale di sfascia carrozze

Sei stato il mio Mito. Ancorché a Tua totale insaputa. Da anni. Anzi oramai da due decenni.

Hai fatto ciò che nessun uomo teoricamente avveduto, equilibrato, saggio, si sarebbe mai e poi mai sognato di fare.

Hai mollato tutto e tutti. Da un giorno all'altro. Nel momento di massimo fulgore hai deciso di andare, cocciutamente, per la Tua chitarristica strada, infischiandotene delle conseguenze del Tuo stoico gesto e senza pensarci due volte: il sacro fuoco del Rock'en'Rolle bruciava ardentemente dentro di te.

Così agendo hai sicuramente rinunciato a parecchi soldi, una autentica marea di danaro: concerti, dischi, presenze in tv; hai rinunziato per sempre alla fama in quel preciso istante in cui hai deciso di dire “Basta!”.

Non t’importava nulla del successo Europeo, Extraeuropeo, Ultraplanetario: per almeno un altro paio d’anni a venire sarebbe stata una certezza. E invece niente: eri stufo di esser relegato a ruolo di comprimario (e che comprimario) in quella banda di sofficemente cotonati capelloni. Hai deciso, in quel lontano 1987 (e, sottolineo, giustamente) che volevi il “Totale Controllo” sulla Tua Arte.

E non è improbabile che in questo modo hai rinunciato anche a parecchie donne. Tante voluttuose cerbiatte pronte a immolarsi sull'altare del rock. O a tanti Uomini. Fai Tu. Perché con quel Tuo faccino un po’ così, quel capello lungo ma ordinato, quel nasino nordico appuntito all’insù, immagino fosse in grado di attirarne interi sciami, un po’ come le mosche sulla.. ehm, volevo dire come la gatta che lascia lo zampino sul lardo (questo proverbio, scusa, ma non l’ho mai capito fino in fondo), come api al miele, insomma.

E invece hai fatto quello che in cui hai creduto. E hai fatto bene. Ci tengo a ribadirlo. Bravo! Fossero tutti come Te.

Però, scusa, o nibelungo John, non vorrei risultare scortese, ma perché, giusto circa un paio di anni fa, alla fin-fine sei ritornato negli Europe?

Eh?

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editoriale di kosmogabri

I peggiori incidenti nella carriera del quartetto avvennero a Milano durante l'annuale tour europeo. I Led Zeppelin erano stati ingaggiati per suonare al velodromo Vigorelli, erano stati pagati in anticipo in Inghilterra e arrivarono al Vigorelli solo per scoprire che erano stati programmati, secondo Cole, dopo ventotto gruppi. Mentre entravano nello stadio, stipato da 12mila persone, il complesso notò che centinaia di poliziotti, muniti di tenuta antisommossa, erano ammassati all'esterno e all'interno del velodromo. Quando Page vide i loro scudi, fece notare come somigliassero a dei centurioni romani. (...) Il pubblico continuava ad aumentare e la situazione era sempre più pericolosa. (...) Cole era infastidito dai ritardi e decise di mandare il complesso sul palcoscenico. "L'atmosfera era schifosamente agitata", ricorda. "Così decidemmo: Vaffanculo, non staremo qui ad aspettare tutta la notte per voi italiani del cazzo in mezzo a questo cazzo di casino. Vaffanculo, noi cominciamo quando ne abbiamo voglia.".

Così, presentandosi sul palcoscenico prima del previsto, i Led Zeppelin cominciarono il loro show e ricevettero dalla folla l'attesa reazione: il pandemonio. Racconta Page: "Notammo masse di fumo che arrivavano dal retro dell'ovale. L'impresario arrivò sul palco e ci chiese di dire ai ragazzi di smetterla di accendere fuochi. Così come degli sciocchi, facemmo quel che ci aveva detto". Plant disse ai ragazzi che la polizia avrebbe fatto interrompere il concerto se ci fossero stati altri fuochi. (...) Improvvisamente, un candelotto lacrimogeno fu lanciato verso il palcoscenico e atterrò in mezzo alla folla che si accalcava sotto. Il complesso capì che tutto il fumo non era altro che gas lacrimogeno. I carabinieri stavano attaccando la folla. Cercando di suonare avvolto in una spessa nube di gas, Page disse al complesso che avrebbero terminato in fretta e quindi attaccò Whole Lotta Love. Quando tutti i ragazzi balzarono in piedi per la loro canzone preferita, la polizia distribuì un altro giro di gas. Qualcuno gettò una bottiglia e lo polizia attaccò la folla alle spalle. Allora i ragazzini cominciarono ad arrampicarsi sul palco, cercando freneticamente di sottrarsi agli sfollagente della polizia; Cole ne ributtò un paio fino a quando non capì che l'intero pubblico attaccato con i gas lacrimogeni stava avanzando a tutta forza cercando rifugio nell'impalcatura. "Vaffanculo" urlò "Andiamocene. Su, ragazzi, via dal palco!". All'inizio i roadie cercarono di salvare l'attrezzatura ma, quando vide che la folla in preda al panico stava ondeggiando avanti, Cole urlò di lasciare gli strumenti e scappare.

Una volta giunti dietro al palco, i musicisti corsero sotto un lungo tunnel verso i loro camerini ma si ritrovarono a loro volta bloccati, in mezzo a soffocanti sacche di gas che entravano dalle due estremità del tunnel. Cole trovò allora una porta chiusa a chiave, l'aprì con un calcio e i Led Zeppelin si barricarono nella sala del pronto soccorso in attesa che gli incidenti terminassero. Quando ne uscirono trovarono il palcoscenicco distrutto e tutti i loro strumenti fatti a pezzi. Il roadie della batteria di Bonzo, Mick Hinton, era stato seriamente ferito alla testa da una bottiglia e doveva essere trasportato all'ospedale in barella. Dopo, mentre cercavano di calmarsi nel bar dell'hotel, Bonzo disse ad uno dei reporter in cerca di commenti di andare affanculo o si sarebbe beccato una bottiglia in testa. Durante il volo di ritorno a casa, Plant scoppiò in lacrime mentre cercava di descrivere la frustrazione provata dai musicisti...

da Il Martello degli Dei di Stephen Davis (Arcana, p.134)
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editoriale di G

Non apprezzò, il nostro, ai tempi della sua discesa in campo che Il Giornale in una vignetta lo avesse messo in barca con dei mafiosi.

Non amò mai nessuno dei vari autori che negli anni lo presero di mira per farne oggetto di caricatura, critica, ironia, parodia, sarcasmo o (sia mai) scherno. Non Fo, non Guzzanti, non Luttazzi, non Grillo. Non Crozza non Benigni, non Vauro, ma neanche Fede, in fondo.

Ora molte cose si chiariscono. Ora che è emersa chiara la sua natura per anni malcelata di fauno vizioso, riusciamo bene a immaginare quali siano i conflitti che lacerano e hanno lacerato da sempre l'animo il cuore e lo spirito indomito dell'indefesso leader minimo. Il satiro non ama la satira.



©foto di Joel Peter Witkin - Satiro (1992) di più
editoriale di Cornell

Mi ha sempre affascinato la storia dell'Universo, cosa a cui il mortal cerebro non riesce ancora oggi a dare una spiegazione.
D'accordo, la teoria sulla formazione c'è, il cosidetto Big Bang, ma io a volte mi chiedo... Perché c'é stata questa violentissima esplosione pari ad una miriade di milardi di bombe atomiche? E da cosa è stata generata? Chi è lo sconsiderato che ha acceso un cerino in un mare di gas? Dio (non si gioca con i fiammiferi! Dovresti saperlo!)? E cos'è Dio? Soprattutto dove abita? E' stato lui poi, dopo che ha combinato questo disastro cosmico, a divertirsi a giocare con le biglie, alcune infuocate, altre freddissime, altre con minuscoli pirletti che ci camminano sopra. Alcune con dei mentecatti (ed è questo il nostro caso) che non si rendono conto di aver avuto la fortuna di una possibilità in questo infinito ammasso di costellazioni e se ne fottono di salvaguardare il posto dove vivono? E' stato lui ad inventare tutte le leggi che tengono in piedi tutto questo?

Ma tutto sarà veramente infinito? Cos'è tutto 'sto spazio vuoto? In che cosa è contenuto? Se riuscissi a viaggiare alla velocità della luce arriverei a una fine? Cos'è mai 'sto universo? Che cosa c'era prima? Vuoto? Radiazione? Ma che cazzo è la radiazione?
La verità è che siamo troppo limitati per poter comprendere tutto ciò e dovremmo vivere nel rispetto gli uni degli altri, e averne soprattutto per la Madre Terra, invece di continuare a devastarla giocando con le trivelle, sterminando gli animali, giocando alla guerra, causando disastri ecologici irreparabili.
Sto parlando anche a te, che magari vivi a Milano e hai un SUV, sì proprio a te. A che cosa ti servirà mai un SUV a Milano dico io? Fa tendenza. Ah scusa. Sei un pirla ma almeno di tendenza. Sto parlando a tutti quelli che hanno in mano il potere e si credono al di sopra di tutto, ogni tanto alzate gli occhi al cielo, meglio di notte. Non vi sentite come una formica nell'Oceano Pacifico? Non vi sentite delle piccole caccolette?

Non siamo neanche andati sulla Luna, ma pensateci un po'. Nel 1969 c'è stato il festival di Woodstock, pane amore e fantasia, condito da brasche celestiali e allucinogeni potentissimi e purissimi. C'era roba buona ai tempi, mica come adesso che se non stai attento prendi pacchi a destra e a manca. Chissà Armstrong e Aldrin che si erano fatti, compresa la troupe che montava la più colossale balla di tutti i tempi (anche il premier però ci va giù secco). Tenendo conto che eravamo nel 1969 (i disastri ci sono ancora oggi anche se la tecnologia è quadruplicata) gli allegri escursionisti partirono. Tutto bene Houston... Viaggiarono per quasi 385.000 chilometri, riuscirono ad atterrare sani e salvi sulla Luna, si fecero due balzelli, un giro con la dune buggy. Tutto bene Houston... Piantarono la bandiera a stelle e strisce, risalirono sul modulo, misero in moto (la carburazione era ancora a posto), riuscirono a partire, viaggiarono per altri 385.000 chilometri, indovinarono l'angolo esatto per il rientro senza finire arrosto, e atterrarono sani e salvi. Houston siamo a casa!

"Questo è un piccolo passo per un uomo, ma un grande balzo per l'umanità" Ma dai... Smettiamola di spendere soldi per le esplorazioni spaziali, per le guerre e tutte le cazzate che abbiamo in mente e diamoli veramente a chi ne ha bisogno.


quando la luna si sognava soltanto di più
editoriale di emofiliaco

La prima volta che m'innamorai avevo 15 anni: lei si chiamava Eva (sempre saputo di aver davanti a me un destino "biblico"), era una mia compagna di scuola, capelli castani, lunghi e lisci, e due occhi color cenere.
Per lei scrissi:
"Sfiorami, oppure cambia il tuo cammino: traiettorie tracciamo noi, i tuoi occhi illuminano i miei pensieri".

Non trovai mai il coraggio di dichiararmi e farle leggere le mie parole...


La seconda volta che m'innamorai di anni ne avevo 18: lei si chiamava Màrida, alta e morbida, un futuro da psicologa (doveva finire male: io e l'esoterismo non siamo mai andati d'accordo), la conobbi tramite amicizie comuni.
Per lei scrissi:
"Cercandoti sono come il solito punto che, sulla solita retta, si muove in moto rettilineo ed uniforme: non so se riuscirò mai a raggiungerti".

La storia finì per autocombustione, dopo 4 anni, vissuti pericolosamente, ad allontanarci per poi cercarsi a vicenda...


Per la terza dovettero finire i '90 ed iniziare (abbondantemente) gli "zero". Di anni ne avevo 31 e mi imbattei in un avvocato (non era il mio: lui si limitò a presentarmi la collega) biondo (bionda...) di origini mitteleuropee (come me). Per Alessandra scrissi:
"Solo perché sei la mia dipendenza mi costringo a rivoluzionare le leggi che regolano il mio incedere nell'universo".

Durò poco meno di una stagione (tra un Fiorile ed un Pratile) e finì per mancanza di coraggio.


Attualmente sono innamorato (la quarta volta... dopo la terza pensai che non sarebbe più capitato), e per lei non ho scritto ancora nulla ma va tutto da Dio...

Trovate voi la morale...

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editoriale di carlo cimmino

L'allenatore della nazionale italiana di calcio è un duro. Somiglia a Paul Newman. Fuma il sigaro. Ha più conflitti di interessi di Berlusconi. La simpatia di Belpietro. Va in Sudafrica per la Confederations Cup e dichiara di non volerla vincere. Perché: "Chi vince la Confederations Cup, poi non vince il Mondiale". Ragionamento ineccepibile: nessuna squadra ha mai vinto le due competizioni di seguito. Ma nessuno lo ha spiegato ai brasiliani.
Il ventuno giugno a Pretoria la Seleção prende a pallate la nazionale italiana sotto gli occhi del pubblico pallonaro dell'intero pianeta. Finisce tre a zero. L'Italia, "in mutande" contro l'Egitto, è fuori dalla Confederations Cup. Un altro allenatore avrebbe rassegnato le dimissioni. Paul Newman no. Respinge ogni critica e, come è costume nel nostro paese, chiude la bocca ai giornalisti.
Per stampa e televisione la Confederations Cup diventa un trofeo da bar e Paul Newman viene assolto. Ma insorge il popolo di internet. Quello che fa tremare i poteri forti. Quello dei social network. Chiede un rinnovamento della squadra, la testa del tecnico.
Paul Newman però se ne frega dei social network e resta al suo posto.

I social network piacciono a tutti. Ma non servono a un cazzo. Sono un toccasana per le istituzioni, che difatti ci vogliono far credere il contrario e ne hanno fatto argomento e materia di esame. Il venticinque giugno il "tema di attualità" sui social network è stato scelto dal 30% dei partecipanti agli esami (povero Svevo). Dell'argomento, come di calcio del resto, tutti hanno qualcosa da dire.
Grazie ai social network sembriamo tutti migliori. Distanti, ma più belli e più buoni. Ed allora, in qualche modo, più vicini. Ad un anno dal Mondiale, il Sudafrica non è poi così lontano. E' questo che deve aver pensato Robert von Palace quando si è registrato su Facebook.

Costui ha sessantadue anni. A molti ricorderà il cattivo torturatore con la mano di legno di "Vamos a Matar Compañeros", ma Robert non ha alcuna parentela con Jack Palance. E' italiano, ma dal 1986 latitante in Sudafrica, dove si occupa di finanza e acque minerali. Il suo vero nome è Vito Roberto Palazzolo. Noto perché "Cassiere dei corleonesi" e per la frequentazione di simpatici personaggi che siedono nel nostro parlamento, è stato condannato a nove anni di carcere per associazione mafiosa. Ha amici potenti e molti soldi. Non basterà la Seleção per rispedirlo a casa..

Poveri sudafricani. Magari prima o poi gliene mandiamo giù uno buono. Forse.

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editoriale di kosmogabri

Quarta ed ultima parte
Lo troverai sui gradini fatti di papier maché
E dentro la gente fatta di melassa
Che un giorno sì l'altro no comprano un nuovo paio di occhiali da sole
E non è nei generali con cinquanta stellette e nei mentecatti fasulli
Che ti fregherebbero per un decimo d'un centesimo
Che respirano e ruttano e si piegano e si spezzano
E prima che tu possa contare fino a dieci
Lo rifaranno ancora ma questa volta dietro le tue spalle
Amico mio
Quelli che fanno dietrofront e trafficano e girano e roteano
E si imbrogliano l'un l'altro nel loro mondo giocattolo
E non puoi trovarlo neppure nei cretini senza talento
Che vanno in giro tronfi
E fissano tutte le regole per quelli che hanno talento
E non è in quelli che non hanno talento ma pensano di averlo
E credono di farti fesso
Quelli che saltano sull'autobus
Solo per un po' perché sanno che è di moda
Se la spassano e poi saltano giù in fretta
E si fanno i soldi e le donne in ogni maniera
E tu gridi fra te e te e butti per terra il cappello
Dicendo, "Cristo devo essere anch'io così
Non c'è nessuno qui che sa in che situazione sono
Non c'è nessuno qui che sa come mi sento
Buon Dio Onnipotente
QUESTA ROBA NON E' VERA"
No ma questo non è il tuo gioco, non è neppure la tua corsa
Non senti il tuo nome, non vedi il tuo viso
Devi guardare da qualche altra parte
E dove cerchi questa speranza che insegui
Dove cerchi questa lampada che arde
Dove cerchi questo pozzo che sprizza petrolio
Dove cerchi questa candela che luccica
Dove cerchi questa speranza che sai esistere
Laggiù da qualche parte
E i tuoi piedi possono percorrere solo due tipi di strade
I tuoi occhi possono guardare solo attraverso due tipi di finestre
Il tuo naso può annusare solo due tipi di corridoi
Puoi toccare e torcere
E girare due tipi di maniglie
Puoi andare o in una chiesa di tua scelta
O puoi andare al Brooklin State Hospital
Troverai Dio nella chiesa di tua scelta
Troverai Woody Guthnie al Brooklyn State Hospital
E anche se è solo la mia opinione
Che può essere giusta o sbagliata
Li troverai entrambi
Nel Gran Canyon
Al tramonto.

Da Bob Dylan - Folk, Canzoni e Poesie - a cura di Alessandro Roffeni
Newton Compton Editori

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editoriale di kosmogabri

Parte terza
Ti occorre qualcosa che ti apra gli occhi
Ti occorre qualcosa che faccia sapere
Che sei tu e nessun altro che possiede
Il posto su cui stai in piedi, lo spazio su cui siedi
Che il mondo non ti ha battuto
Che non ti ha messo a terra
Che non può farti impazzire per quante
Volte tu venga preso a calci
Ti occorre davvero qualcosa di speciale
Ti occorre qualcosa di speciale per darti speranza
Ma la speranza è solo una parola
Che forse hai detto o forse hai sentito
In qualche angolo ventoso dietro un'ampia curva
Ma è di questo che hai bisogno, amico, e ne hai un bisogno dannato
E il tuo guaio è che lo sai fin troppo bene
Perché guardi e ti vengono i brividi
Perché non lo puoi trovare su un biglietto da un dollaro
E non è sul davanzale della finestra di Macy
E non è sulle mappe stradali di ricchi ragazzi
E non è nei club studenteschi di grassi ragazzi
E non si fabbrica nei germi del grano di Hollywood
E non è su quel palcoscenico dalle luci fioche
Su cui sta quell'attore imbecille
Che farnetica e blatera e ti porta via i soldi
E tu pensi che è buffo
No non lo puoi trovare in nessun night club o yacht club
E non è nelle poltrone di un club esclusivo
E ti è pure dannatamente chiaro
Che per quanto strofini forte
Non lo troverai davvero sul tuo scontrino
No, e non è nelle chiacchiere che senti raccontare
E non è nelle lozioni per foruncoli che ti vendono
E non è in nessuna casa di cartone
O dentro la camicetta di una diva del cinema
E non puoi trovarlo sul campo da golf
E non può dartelo lo Zio Remo e neppure Babbo Natale
E non è nelle acconciature a bignè o nei vestiti sgargianti di cotone
E non nei manichini dei magazzini o nei brutti ceffi del bubblegum
E non è nei suoni caramellosi delle voci da torta al cioccolato
Che vengono a battere e bussare in confezione natalizia
Dicendo non son graziosa e non son carina e guardate la mia pelle
Guardate la mia pelle luccicare, guardate la mia pelle scintillare
Guardate la mia pelle ridere, guardate la mia pelle piangere
Quando non capisci neanche se hanno gli intestini
Questa gente così bellina coi loro nastri ed inchini
No né oggi né mai...

da Bob Dylan: Folk, Canzoni e Poesie
a cura di Alessandro Roffeni - Newton Compton Editori

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editoriale di kosmogabri

Parte seconda
E gli occhi ti si fanno acquosi dalle lacrime che hai nella testa
E i tuoi cuscini di piume diventano coperte di piombo
E la bocca del leone si apre e tu fissi i suoi denti
E le sue mascelle cominciano a chiudersi su di te
E tu sei bocconi sulla pancia con le mani legate dietro
E vorresti non aver mai seguito quell'ultimo segnale di deviazione
E dici fra te e te ma che cosa sto facendo
Su questa strada che sto percorrendo, su questo sentiero che sto imboccando
Su questa curva su cui sto sostando
Su questo percorso su cui passeggio, nello spazio che sto occupando
In quest'aria che sto inalando
Sono forse troppo confuso, sono forse troppo stordito
Perché cammino, dove corro
Che cosa dico, che cosa so
Su questa chitarra che suono, su questo banjo che strapazzo
Su questo mandolino che strimpello, nella canzone che canto
Nel motivo che fischietto, nelle parole che scrivo
Nelle parole che penso
In questo oceano di ore che continuamente bevo
Chi sto aiutando, che cosa sto rompendo
Che cosa sto dando, che cosa sto prendendo
Ma tu fai del tuo meglio con tutta l'anima
Per non pensare mai a queste cose e per non lasciare mai
Che questo genere di pensieri guadagni terreno
O ti faccia battere forte il cuore
Ma poi capisci di nuovo perché stanno lì
In attesa dell'opportunità di insinuarsi e piombare giù
Perché qualche volta li senti quando giunge furtiva la notte
E hai paura che ti possano cogliere nel sonno
E balzi giù dal letto lasciando l'ultimo capitolo dei tuoi sogni
E non ti ricordi per quanto ti sforzi a pensare
Se eri tu che gridavi nel sogno
E sai che è qualcosa di speciale che ti occorre
E sai che non c'è medicina che riuscirà a guarirti
Né liquore in tutto il paese che ti faccia smettere di sanguinare il cervello
E ti occorre qualcosa di speciale
Sì, hai bisogno davvero di qualcosa di speciale
Hai bisogno di un superrapido su di un binario ciclonico
Che ti proietti da qualche parte e ti riproietti indietro
Hai bisogno di un vento da tornado sul fischio di una locomotiva
Che squassa e stride e suona da sempre
Che conosce cento volte i tuoi guai
Ti occorre un Greyhound bus senza discriminazioni di razza
Che non riderà per il tuo aspetto
La tua voce o la tua faccia
E per quante scommesse siano state fatte
Continuerà a viaggiare anche dopo la moda del bubblegum
Ti serve qualcosa che apra nuove porte
Per mostrarti qualcosa che hai già visto prima
Ma a cui cento o più volte non hai badato...

da Bob Dylan: Folk, Canzoni e Poesie
a cura di Alessandro Roffeni - Newton Compton Editori

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editoriale di turkish

Parte prima
Quando la testa ti si confonde e la mente ti si intorpidisce
Quando pensi di essere troppo vecchio, troppo giovane,
troppo furbo o troppo scemo
Quando resti indietro e perdi il passo
Avanzando al rallentatore o nella corsa affannata della vita
Qualsiasi cosa faccia se cominci ad arrenderti
Se il vino non arriva all'orlo della tua tazza
Se il vento ti coglie di fianco aggrappato con una mano
E l'altra comincia a scivolare e le emozioni sono sparite
Ed alla caldaia del tuo treno serve una nuova scintilla per attizzare il fuoco
Ed è facile trovare la legna ma sei troppo pigro per andarla a prendere
E il tuo marciapiede comincia a ondularsi e la strada si fa troppo lunga
E ti metti a camminare all'indietro anche se sai che è sbagliato
E la tristezza viene su mentre il giorno va giù
E il mattino di domani sembra così lontano
E senti che le redini del tuo pony ti scivolano
E la fune ti sfugge perché le mani ti sudano
E il tuo deserto inondato di sole e le tue valli lussureggianti
Si mutano in slums cadenti e in vicoli pieni d'immondizia
E il tuo cielo piange acqua e il tuo innaffiatoio perde
E il tempo balena e il tuono rimbomba
E le finestre tintinnano e si spezzano e le cime dei tetti ondeggiano
E il tuo intero mondo cozza e sbatte
E i tuoi minuti di sole si tramutano in ore di bufera
E qualche volta dici a te stesso
"Non avevo mai pensato che sarebbe stato così
Perché non me l'hanno detto il giorno che sono nato"
E ti vengono i brividi e i sudori ti fanno trasalire
E cerchi qualcosa che non hai ancora trovato
E sei fino al ginocchio in acqua torbida con le mani per aria
E tutto il mondo ti guarda come se sbirciasse dalla finestra
E la tua ragazza ti pianta e se ne scappa via
E il tuo cuore si sente male come il pesce quando frigge
Ed il martello ti cade di mano sui piedi
E ne hai un bisogno tremendo ma quello è giù in strada
E il tuo campanello trilla forte ma tu non lo senti suonare
E pensi di esserti fatto male alle orecchie
O di esserti offuscato gli occhi con lo sporco accecante
E ti sei immaginato di essere svenuto nella calca di ieri
Quando sei stato ingannato e fatto fesso con un bluff
Mentre tu avevi in mano tre donne
E ti rende furioso, ti fa venire rabbia
Come nel mezzo della rivista Life
Saltellando intorno a un flipper
E hai qualcosa in mente che vuoi dire
Che qualcuno in qualche posto dovrebbe sentire
Ma ti sta appiccicato alla lingua e sigillato in testa
E ti tormenta mentre te ne stai a letto
E per quanto ti sforzi non riesci proprio a dirlo
E hai paura fino in fondo all'anima di dimenticarlo...

da Bob Dylan: Folk, Canzoni e Poesie
(a cura di Alessandro Roffeni - Newton Compton Editori)

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editoriale di Cornell

Viareggio, è sera, si pensa alla giornata che verrà, un giro in spiaggia, sole, mare, relax, il rumore rilassante delle onde, chi dovrà svegliarsi per recarsi al lavoro avrà la fortuna di aprire gli occhi e vedere un bellissimo panorama che aiuterà non poco la pesante giornata, chi ormai non lavora più perchè ha già dato, sta pensando ad un giro nei mercatini, alla solita visita al bar con gli amici, routine…

Viareggio, è notte, un convoglio impazzito esce dai binari, deraglia, alcune carrozze si rovesciano, l’incidente è grave, ma si tratta di un treno merci per fortuna e le uniche due persone che sono su quel treno scendono in fretta, scappano a gambe levate… Ce la fanno per un soffio. Perché?
Perché il carico non è normale amministrazione, no… Il carico è qualcosa di estremamente pericoloso, bombe di 17 tonnellate viaggianti, cisterne colme di GPL, una si rompe, basta un niente e si scatena l’inferno, un’esplosione incenerisce in un istante decine di corpi addormentati, tranquilli, ancora fiduciosi nell’efficienza del sistema ferroviario e in coloro che lo gestiscono. “Pino, fanno la réclame pure dentro la televisione, che azienda seria questa dei Trenitalia, eh?”, convinti di essere al sicuro e che mai nulla del genere avrebbe sconvolto e annientato per sempre le loro vite.
Crollano palazzine, in pochi attimi le sirene si sentono da ogni parte, i morti sono ventidue, per il momento, mentre i feriti (molti gravissimi si contano a decine), vengono trasportati in fretta e furia nei vari ospedali per porre rimedio (forse) alle devastanti ustioni che li segneranno per tutta la vita; è quasi una situazione irreale, l’apocalisse dopo la calma piatta di una tranquilla notte in una località di mare.

Di chi è la colpa? Errore umano? Guasto tecnico? Avaria alle parti meccaniche? Chi deve pagare ora in questo mondo dove non ci sono più punti di riferimento, dove tutto viene smembrato, appaltato, subappaltato e dato in concessione a questo e quell’altro? Chi era il responsabile della manutenzione dei vagoni? Chi doveva occuparsi della manutenzione dei binari? Chi controllava partenze e arrivi e monitorava la situazione?
La realtà evidente è che ormai si è persa completamente la concezione di sicurezza sul lavoro, norma che diventa, o dovrebbe diventare, doppiamente o triplamente importante a livello di trasporti pubblici, quando si ha a che fare con la vita dei cittadini e che, quando il garante ne è lo Stato, che tanto urla e sbraita per farla rispettare, dovrebbe essere rispettata nei minimi particolari.

I soccorsi ci sono stati e sono stati prontissimi, ma ancora una volta mi e vi chiedo: si poteva evitare a priori una cosa del genere in qualche modo? Quel treno, data la pericolosità, non aveva percorsi alternativi? È stato revisionato accuratamente, visto che portava un carico di morte? Tante domande, ma nessuna risposta certa si avrà mai, come non si avranno mai i nomi di coloro che saranno chiamati a rispondere di un disastro di tale portata.
Tra un po’ calerà il silenzio su questa vicenda, come sta succedendo in Abruzzo, piano piano, senza fretta, se una cosa non passa più in televisione, come per magia scompare, non esiste, come sono scomparsi tutti gli atti e i procedimenti che vedono imputato il nostro premier, come la storia di Noemi, come i festini privé, come il fatto che nessun media nazionale (a parte qualche sporadico caso) abbia citato la protesta e le invettive rivolte a Berlusconi al suo arrivo a Viareggio.
L’immagine viene prima di tutto, a discapito di democrazia, libertà di opinione, di stampa e diritto inviolabile del cittadino di essere correttamente informato.

“Vado per prendere in mano IO la situazione!”, ha tuonato il presidente. Peccando un po’ di delirio di onnipotenza: presidente, chi deve prestare soccorso ha già fatto e sta facendo il proprio lavoro al meglio delle possibilità, lei, con tutto il rispetto, lì non serve a niente, avrebbe dovuto starsene a casa, sicuramente avrebbe fatto più bella figura…

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editoriale di emofiliaco

Devo ammettere che tra le cose che più mi mancano di quando ero vivo, tutte quelle che riguardano i rapporti umani non troverebbero spazio in una mia eventuale Top Ten.

Solo qui, in questo (non)Dove in cui sono stato spedito (alla mia “dipartita”), ho capito che basare un'intera esistenza sull'interazione tra membri della stessa specie e non è una vera perdita di tempo e che la vita è tutto sommato un fenomeno sopravvalutato (dove l'avrò già letta questa?): ma questo mi era chiaro pure da vivo, vedendo troppa gente gettar fango su artisti la cui unica colpa era esser ancora vivi…

Ma non voglio divagare: cose che mi mancano della vita terrena dicevo…
È buffo – e un po' drammatico – stilare mentalmente una classifica ed accorgersi che il 90% dei miei defunti pensieri non solo non va ad interazioni umane dirette o indirette (le varie forme artistiche), bensì a elementi ben più prosaici, che possono essere riassunti nell'espressione “cibo”.

Sì, signori (e signore): la cosa che mi manca di più, qui, è mangiare: così, disperatamente, provo a concentrarmi e cerco di ricordare il sapore del ragout di carne fatto da mia madre o dei tortellini fatti in casa, in brodo, di mia nonna. E poi, ancora, la mente si sforza di acciuffare al volo la sensazione delicata che il mio palato provava mentre il primo cucchiaio di zuppa di cipolle alla francese (con crostini al gruyère gratinato) veniva sorbito; ma sono sforzi inutili, perché pur ricordando benissimo la forma, è la sostanza che è completamente svanita nell'(assente) atmosfera.

Bistecca di angus, Parmigiana, Bouillabaisse, quindi, rimangono semplici istantanee descrittive di entità la cui sostanza è ben più volatile di qualsiasi carezza, insulto, bestemmia, idea io possa aver scambiato nel mio passato con voi viventi: cose, queste ultime, che non necessitano di nessuno sforzo evocativo per esser riportate “in vita” perché son venute via con me quando mancai e non se ne son più volute andar via…

Quindi ricordate: né fiori, né opere di bene (un po' di voi è ancora qui con noi) ma fate il soffritto con cura, voi che potete…

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editoriale di Hybris

Muore Maicol Gecson. E tutti gli editoriali, in questi casi, cominciano con cose tipo: "Quando Michael Jackson cantava "Beat It", io ero nella cantina di Tommaso de Mita, dodici anni entrambi, e imitavano le sue movenze mentre tentavamo di fumare le prime sigarette rubate ai nostri genitori". Solo che a dodici anni non avevo un amico che si chiamava Tommaso de Mita; non imitavo le movenze di Michael Jackson, e non tentavo di fumare le mie prime sigarette (che non ci sono mai state, grazie a Michael Jackson). Io sono di una generazione particolare ('89), quelli che un po' sono generazione myspace, un po' generazione facebook, un po' anni '90, un po' nuovo millennio, un po' rivoluzionari e un po' apatici, un po' tutto. E molti dei miti di quegli anni li abbiamo vissuti in differita - in revival.

Sono stato abbastanza sveglio per beccare Jurassic Park alla prima al cinema - wow. Un dinosauro, assolutamente (foto)realistico, mangia della gente. Ritorno al Futuro l'ho vissuto in differita, quando avevo tredici anni. Idem gli Acchiappafantasmi. E poi i fenomeni musicali: il grunge (differita), il nu-metal (differita), post-rock (quasi differita), post-metal (in diretta), avantgarde quasiminimalism macumba (in diretta). E con questi fenomeni in differita hai una differenza: la scelta. Puoi ignorarli, evitarli, anzichè solo seguirli e amarli o ripudiarli e opporticisi. Così diventa più comodo, così non ho dovuto trovare fighi nove tizi vestiti con maschere rubate a Tim Burton, ma ho potuto scegliere di farmi le iniezioni in endovena di "Lift Your Skinny Fists Like Antennas to Heaven".

Ma non ho potuto certo scegliere di non sapere chi fosse Michael Jackson. Non ho potuto evitare di sentirne parlare, di vedere i vecchi video, le parodie, le cover nu-metal, la storia della pedofilia, la storia della chirurgia plastica. Un po' amato, un po' odiato, un po' capito, un po' ignorato. In fondo un po' tutto. E di sottofondo la stessa domanda: questo affidare la nostra coscienza collettiva ad individui che, in fondo, hanno mostrato solo un buon colpo d'anca e dei brani da cui è impossibile non farsi rapire: anche se sei un estimatore del freenoisesalsa neozelandese, il video di "Beat It" una volta l'hai visto, magari a dodici anni imitandolo, o magari a vent'anni, ripensando a quando eri troppo piccolo per certe cose: ripensando.
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editoriale di azzo

Recenti ed approfonditi studi in materia ci portano a teorizzare l’esistenza di una patologia psichiatrica diffusa ormai da oltre un trentennio, particolarmente insidiosa in quanto colpisce quasi esclusivamente giovani preadolescenti, spesso ancora impuberi, e perciò particolarmente esposti agli effetti nefasti della malattia. Chiameremo questa patologia MrCI (Malorockemia Cronico-Invasiva).
I dati raccolti mostrano che il male colpisce la maggioranza dei giovani e si manifesta con evidenti e bizzarri sintomi, i quali tuttavia, nella quasi totalità dei casi, regrediscono e scompaiono spontaneamente dopo un periodo che va da sei mesi ad alcuni anni.
In rari e nefasti casi, la malattia però cronicizza, ed il male non abbandona più lo sfortunato soggetto. L’epidemia più virulenta, che tuttora dispiega i suoi effetti, si è verificata in Italia nella seconda metà degli anni ’70.
Tali casi sono di difficilissima diagnosi in quanto l’agente infettante (il Malorock, appunto) esaurita la fase conclamata, vive in perfetta simbiosi con l’ospite al punto tale da non produrre più alcun sintomo apprezzabile, se non ad un occhio esperto.

Nella patogenesi del MrCI, la letteratura ha individuato alcuni agenti eziologici conclamati, fra cui possiamo citare: una remota trasmissione televisiva dal nome di un cinema a luci rosse, “Odeon - 1977/78”; le infezioni propagate sotto l’aspetto di servizi e articoli  da un famoso untore baffuto individuato in tale Michel Pergolani - 1976/79; situazioni di promiscuità ad alto rischio che favoriscono l’infezione, fra cui si ricordano gli eventi conosciuti come “Bologna rock - 1979” e “Clash in piazza Maggiore - 1980”; influenza di soggetti infetti provenienti da aree dove l’inquinamento ha prodotto verosimilmente mutazioni genetiche, fra cui si ricordano particolarmente le zone di Detroit (Michigan, USA), Akron e Cleveland (Ohio, USA), New York (omon., USA) e, in Europa, Dusseldorf (Germania), Londra, Sheffield, Manchester (Regno Unito). Sono inoltre stati rinvenuti pericolosissimi focolai anche in Italia, principalmente a Bologna e Pordenone.

Caratteristica del paziente affetto da Malorock, è avere perfetta cognizione della malattia (a differenza di altre pericolose alterazioni psichiatriche), ma di sviluppare una sorta di “sindrome di Stoccolma” per l’affezione, che lo porta a rifiutare le cure e anzi, a tentare il contagio del morbo proprio ai soggetti ove più bassa è l’immunizzazione. A titolo esemplificativo, citiamo il caso di uno stimato professionista (di cui citeremo solo le iniziali, Vr. Tx.) il quale deliberatamente tentava la contaminazione della figlioletta mediante contatto ripetuto con un pericoloso patogeno opportunista, conosciuto sotto il nome di “S.E.H.” (Safe European Home).

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editoriale di kosmogabri

Razors pain you
Rivers are damp
Acids stain you
And drugs cause cramp.
Guns aren't lawful
Nooses give
Gas smells awful
You might as well live.

I rasoi ti creano dolore
I fiumi sono umidi
Gli acidi ti macchiano
Ed i narcotici causano crampi.
Le pistole non sono legali
I cappi cedono
Il gas ha un odore orribile
Tanto vale vivere.

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editoriale di emofiliaco

Nel corso della mia umana avventura, prima di morire, qualche anno fa, ebbi modo d'incontrare buoni e, soprattutto, cattivi maestri.

Gli anni '90 furono una decade ricca di avventure sociologiche al riguardo: la gente stava male perchè faceva fico stare male e non di rado ci si imbatteva in falsi profeti, in buona fede, oppure in veri profeti, in cattiva fede. C'erano pure, anche allora, gli arrabbiati: d'altronde sono una categoria senza possibilità d'estinzione, perchè hanno capito che sopravvivere è qualcosa di aleatorio, e cosa c'è di più casuale del motto: "L'importante è essere incazzato: se poi si sa perchè, è anche meglio"?

Questa frittura mista, tra il "male di vivere" novantino e "l'incazzosità" del vero duro e puro, portò ad apici espressivi che ancora adesso, anche se sono nell'Aldila', ricordo con piacevole nostalgia: inutile dire che, più certe rivelazioni venivano inaspettate, più rimanevano scolpite nella mia memoria.

La più vivida ed illuminante di tutte, in particolare, avvenne in un'occasione insolita. Ricordo, come fosse ieri, quella trasferta a Monza: noi, in 100 stipati in uno spicchio del palazzetto che poteva contenere al massimo 20 persone, esclusi i celerini che dolcemente ci tenevano d'occhio, carta da culo che ci pioveva addosso da tutte le parti ed epiteti che erano appena, appena aggressivi...ma appena, appena eh!

Poi la folgorazione. Sulla tribuna opposta uno striscione: "Mangio merda tutto l'anno, ma a Natale panettone". Improvvisamente compresi che anche chi ci copriva d'insulti era umano, soffriva e mangiava cacca come noi. Gli anni son passati, di quella decade nemmeno le camicie di flanella son rimaste, io nel frattempo sono morto, ma anche ora da quassù, quando vedo qualche intemperanza, non posso non pensare allo sconosciuto, coprofago, "nemico" lombardo, che scrivendo quelle semplici 39 lettere, esclusi apostrofi e spazi, divenne mio, inconsapevole, buon maestro, in cattiva fede... Quindi ricordate: tenete sempre gli occhi aperti e non solo per evitare le sprangate.


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editoriale di azzo

Sui quotidiani fa capolino la notizia che un manager e un imprenditore si sono suicidati a causa della crisi economica che gli imponeva (imponeva?) tagli al personale e conseguenti licenziamenti.
Commenti unanimi su tutti i giornali (è comparso persino un editoriale di Bifo), relativi alla spietatezza di questa crisi e lodi sperticate al senso umano e di solidarietà di questi due dirigenti, travolti dal senso di responsabilità.

Cerchiamo, se possibile, di non considerare la dolorosa vicenda umana e concentriamoci sui meccanismi in ballo.
La cosiddetta “spietata crisi” di spietato non ha proprio nulla. E' solo una delle naturali conseguenze di un sistema socio economico ampiamente accettato (anche dal sottoscritto).
Di più: Per il principio di responsabilità, se si approvano le premesse di una proposizione, si devono accettare poi anche le conseguenze.

In sostanza, questi imprenditori, questi apostoli del libero mercato, questi profeti della crescita continua, non le conoscevano le regole della concorrenza? Non sapevano forse come vanno gestite le “risorse umane”? Non ricordavano che il concetto di “Risk Management” postmoderno è di tipo finanziario e non più assicurativo o operativo?
No, non ci siamo. Mi dispiace (ma solo un po') per le eventuali vedove.

Ma ce n’è per tutti.

Poche settimane orsono, a seguito dell’annuncio di chiusura di una grossa azienda, ho avuto la sorpresa di imbattermi in un picchetto ai cancelli di ingresso, con tanto di bandieroni variopinti (!!!), di gazebo permanente e tazebao propagandistico.
Ma non erano proprio le stesse persone comuni che, intervistate in proposito, esprimevano una vibrante indignazione per i disagi che dovevano subire a causa degli scioperi dei ferrotranvieri? Non erano proprio loro a proferire terribili anatemi quando l’automobile appena acquistata non poteva essere consegnata a causa di una vertenza sindacale dura, che gurdacaso interessava proprio lo stabilimento di produzione della loro adorata vetturetta? Non erano proprio quegli stessi operai, ora barricati davanti ai cancelli, a fare facce schifate davanti all’occhio catodico che gli mostrava le violenze di quei facinorosi dall’altra parte del mondo che protestavano non si sa perché?
Anche in questo caso, mi dispiace (ma solo un po') per gli eventuali figli piccoli.

Abbiamo barattato lo status di cittadino per quello di consumatore, abbiamo scelto il migliore dei mondi possibili. Personalmente non mi lamento.
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