editoriale di the green manalishi

Mi sono chiesto tante volte che cosa sia la depressione. Quale migliore occasione per scoprirlo se non adesso, con questa crisi, che ha colpito tutti, nessuno escluso? Nascere, vivere una gioventù idilliaca, spensierata e protetta dalla scuola e la voglia di studiare, avere un’intelligenza tale da permetterti di andare avanti a studiare finché vuoi. Finché non arrivi alla resa dei conti, alla tesi, e poi vieni sbattuto nel mondo del lavoro. In piena crisi. Come un orfano lasciato al freddo fuori dalla porta a gennaio: le altre porte, quelle della società, sono tutte chiuse, sigillate. Comincio a capire che cos’è la depressione.

Quando trovi le porte chiuse, o quando il solito imbranato raccomandato ti frega il posto di lavoro al quale hai più diritto e merito di lui, e soprattutto del quale sei migliaia di volte più degno, quando sembra che la società non ti voglia avere fra i piedi  o ti voglia solo per le mansioni da porcaro, quando tutto questo accade, bisogna anche inventarsi un modo di reagire.

Mi iscrivo presso un ufficio di collocamento pubblico della mia Provincia, mi ridono in faccia quasi solo perché mi sono presentato, e poi come se niente fosse, alla fine di un inutile colloquio mi dicono:“Ha provato ad andare dagli uffici di collocamento a pagamento? No perché sa, noi quasi sicuramente non la chiameremo…”. Ah, che bello spreco di denaro pubblico. Un disoccupato ce li ha quei soldi per pagare un procacciatore di mestieri a percentuale? La depressione comincia a prendere piede.

Che cosa mi tiene legato qui dunque? Che cosa mi trattiene dall’andare a vivere in una a baita a 1500 metri di altitudine, lontano da tutto e da tutti? Perché questo mondo schiavo dell’economia non può o non vuole farmi vivere come i nostri avi ancestrali, senza bisogno alcuno di quello sporco denaro.

Mi hanno offerto un posto da simil sguattero in un ristorante di terza categoria. Prendo un decimo di quello che il mio nuovo diploma mi permetterebbe. Ma questo decimo mi permette ciò che il mio diploma non mi fa prendere. Alla fine il diploma è solo un pezzo di carta grazie al quale qualche tonto ignorante si ricorda di chiamarmi “dottore”.

Chissà come sarà, quando, nelle rare pause del mio mesto lavoro, uscirò dalla porta sul retro con un sacco dell’immondizia sulle spalle, e mi fermerò pochi secondi a rimirare i monti oscuri nella notte. Vedrò una luce brillare lì in mezzo ai miei monti e capirò che forse lì mi sentirei veramente a casa.

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editoriale di azzo

Rassegna stampa di un nove maggio qualsiasi.

Berlusconi: "La sinistra vuole un'Italia multietnica, noi no". Ho smesso da tempo di sapere se sono di sinistra o di destra, certo non sarò mai di centro. Mi ricordo i viaggi adolescenziali a Londra o Parigi. La metropolitana. I visi, i pensieri, le lingue, i cappelli, i sorrisi, gli odori, i concerti che mi aspettano da qualche parte. La scoperta di essere un cittadino del mondo. I negozi aperti a qualsiasi ora. Il reggae al Carnevale di Notting Hill, l'hip-hop nella spianata davanti al Beaubourg. Gli occhi di Hadija sulla spiaggia di fronte a Mogador, anni dopo. Hendrix e Brian Jones. Una sera a Douz, a guardare i Berberi, mentre il sole tramonta, tornare dal deserto.

Ancora il tipo con il lucido da scarpe sulla testa: "Secondo i sondaggi, tre italiani su quattro sono con me". Mi sento solo. Sono il quarto? Tra un po' saranno quattro su cinque, poi nove su dieci, poi… Poi andremo in montagna, perché ci avranno messo delle telecamere in casa. Un unico canale televisivo, un unico giornale, un unico sito (non credo si chiamerà DeBaser), un unico cantante (non ho ancora capito se sarà Vasco o Giovanotti), un unico libro: la biografia di uno che usa i rialzi nelle scarpe scritta da Bruno Vespa.

Tale Noemi al Times: "Premier non è mio padre". Rimpiango la Pravda. La Verità. Morirò senza figli. Nessuno che mi chiamerà: "Papi". Di sicuro, ne avessi avuto uno, di figli, gli avrei proibito di chiamarmi così.

"Dopo quarant'anni, stretta di mano tra le vedove Pinelli e Calabresi". Che belle persone devono essere state Giuseppe Pinelli e Luigi Calabresi. L'anarchico ed il commissario. L'anti-stato e lo Stato. Leali e devoti alla causa. Combattendosi con rispetto. Rispetto, che parola meravigliosa, rovinata, come sempre, dall'abuso. In ogni caso, le Signore Pinelli e Calabresi, per quanto possa valere, hanno il mio Rispetto.


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editoriale di emofiliaco

Nel 1644 Gian Lorenzo Bernini subì l'umiliazione di veder abbattuto il campanile, da lui realizzato sulla facciata della Basilica di San Pietro. Il motivo era un'infamante accusa: "Problemi di statica".
Arrabbiatissimo per l'affronto ricevuto il nostro eroe intraprese una personalissima e poetica vendetta e cioè si mise a lavorare su quello che passerà alla Storia (maiuscola non casuale), oltre che come la sua opera più "personale", come uno dei monumenti più rappresentativi del Barocco: "La Verità svelata dal Tempo".
Il Bernini realizzò (ma lasciandolo incompiuto) questo capolavoro per se stesso e per la sua discendenza e tale rimase fino al 1924 quando entrò in possesso della galleria Borghese.

Mescolando la propria (sublime) arte con quella michelangiolesca e prendendo spunto dalle matrone dipinte da Rubens, Bernini diede alla Verità l'aspetto (nudo e sorridente) di una giunonica (grassa?) donna colta nel plastico momento in cui il lenzuolo che la copriva viene tolto dal Tempo (la cui figura non fu mai realizzata dallo scultore, lasciando il gruppo incompiuto).

Il messaggio del Bernini era chiaro: "Tutti i nodi, prima o poi, vengono al pettine e io, anche da morto, starò li a godermi il momento".
 
Compiendo un salto temporale di quasi 360 anni avanti, l'apparentemente presuntuosa sicurezza del nostro appare ben poca cosa davanti alle mutue affettuosità tra amici che gli odierni "artisti" si scambiano con i loro compari "critici", in una spirale di compiacimento onanistico dove non si capisce più bene chi si stia prostituendo e chi invece stia comprando la "prestazione". Un ragionevole dubbio (ed un brivido blu lungo la schiena) mi assale quando penso che, alla fin fine, il Bernini, lavorando soprattutto su commissione (come quasi tutti i suoi contemporanei), era a tutti gli effetti una "nobile puttana" (per non essere un peso?) e che "La Verità svelata dal Tempo" oggi verrebbe considerata come la sua unica vera e propria opera "Indie". Ma si sa che ad ogni epoca i "massimi sistemi" cambiano: almeno speriamo che non arrivi mai nessuno nella Sala VIII della Galleria Borghese a chiedersi "Cos'ha da ridere 'sta ciccionazza?". A tutt'oggi sarebbe dura spiegarglielo.
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editoriale di azzo

Il nostro premier, crede che l’eternità nietzscheanamente intesa sia una bazzecola da quattro copeche (non per niente possiede un mausoleo essiccato in puro sterco di Bentham). Crede inoltre, che i capelli ricrescano oltre i limiti della calvizie, oltre Collina, e crede, fra l’altro, di poter ancora continuare in questo stato (e lo scrivo appositamente in minuscolo) di province sfinite di significati (voglia Schutz, fottersene,  e perdonarmi per questa volta, da lassù o laggiù chessìa). Da oggi infatti, anche le espiazioni più impensabili vengono meno, e miracolosamente Mussolini diventa “troppo buono” (per essere nero, aggiungo io, altro che Obama). Lo dicono i suoi diari, Santo lo faccia il Signore padreterno, e lo dice anche Dell’Utri, tra una condanna per collusione con la mafia, e una compravendita di libri antichi con i maggiori intellettuali della sinistra italiana. Il Paese è reale, è vivo, pensa, e reagisce “alla Castellitto”, che capolavoro, eh? L’Abruzzo? Una storia italiana, tale da commuovere il Mondo tutto (dei palazzinari). La febbre suina? Opera del Kgb. Veronica Lario? Semplicemente plagiata dalla propaganda post mortem di Anna Politkovskaja (attenta ex-signora Berlusconi, attenta...).

A cosa ci stanno preparando? Con che intenzioni e perché? Cosa sta accadendo in questo pianeta?

Fiat che acquista Chrysler, Opel, e tra un po’ mette Marchionne ad allenare pure la Juve. Banche che continuano a sopravvivere senza motivo apparente e nel silenzio dei media. Pirati somali che attaccano la Linea Messina a colpi di bazooka e che si fanno catturare da francesi che li internano in città africane con cartelli segnaletici cinesi. Ma che cazzo sta succedendo?

Il (Vecchio) Nuovo Ordine Mondiale sta finalmente facendo il suo ingresso? Bambi veniva tenuto in piedi per tutto il film a colpi di "neve"? E gli Stati Uniti? Saranno ancora poi così uniti? O forse saranno unti? E se sì, di cosa? Di febbre "del debito" forse?

Mio padre, un giorno lontano, di un asfissiante Luglio che non dimenticherò mai, anni, ed anni or sono,  prese il telecomando, abbassò il volume, ed abbassò pure il capo, mettendosi le mani fra i capelli e dicendomi sottovoce: “Non ne posso più, spegni quell’affare, stacca la spina…”.

Quello che scrivo è l’obituario riverbero dei Vostri monitor che mi parla a distanza. Da quel giorno, grazie agli occhi di mio padre, ho staccato la spina per sempre.
E Voi?

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editoriale di azzo

Sono cresciuto in un quartiere operaio, sono stato cresciuto da operai. Nel quartiere la storia di uno era la storia di tutti, tutti parlavamo la stessa lingua, tutti guardavamo gli stessi orizzonti. Il figlio di Tizio era anche il figlio di Caio, tutto era di tutti. Alla parola sindacato ci sono cresciuto attaccato come una cozza e i racconti di scioperi, di manifestazioni infestate dall’odore della frittata portata da casa, mi ronzavano nelle orecchie. Mi dicevo che un giorno sarei dovuto diventare un sindacalista, che lo facevo per il bene delle persone che vedevo tutti i giorni in strada e anche per proteggere me stesso. Ho smesso di credere in qualcosa di più grande di un dodici pollici da molto tempo, ma un giorno incontrai Sorel e mi sembrò aver trovato un nuovo amico e una nuova arma nel sindacalismo rivoluzionario. Illusione, oggi ne sono certo.

I sindacati riuniti in coro hanno organizzato un festino a Vasco Rossi e a quello che rappresenta, ovvero il nulla. Hanno occupato un canale televisivo e una piazza, si sono riuniti con un bel po’ di persone ed hanno rappresentato il nulla, il vuoto assoluto, il nichilismo, la morte di ogni speranza e di ogni possibilità. Quando un sindacato o un partito smette di cercare di educare la propria prole e si limita ad intrattenerla, con lo scopo di aumentare la massa, la quantità, fottendosene della qualità, del pensiero, della giustizia, del riscatto… bene, siamo giunti alla fine. E’ finito tutto, svuotato del contenuto che forse non aveva, ma che forse avrebbe potuto avere e addio me, noi, essi. Siamo numeri, numeri in serie che non hanno pensieri, che non mostrano pensieri e ai quali non chiedono pensieri. Siamo entità fisiche che occupano spazio e che occorrono per riempire una piazza, per far sentire al fantomatico nemico d’esser forte, di aver consenso, di poterlo fottere… e invece si finisce per diventare i nemici di sé stessi, di annientare sé stessi e di lasciare il fantomatico nemico ai suoi loschi affari.

Quando a mio nonno dicevo che da grande volevo fare il sindacalista, lui mi diceva che facevo bene, che avrei lavorato poco e guadagnato bene, che il saper parlare non mi mancava e che potevo riuscirci. L’unico problema, diceva alla fine, è che mancava la materia prima.

Ho spento il televisore, ho cenato velocemente e sono andato a vedermi gli Afraid!, giunti nel pomeriggio da Verona. Dopo il concerto ho comprato un sette pollici... gli altri cinque pollici sono caduti sul fronte.




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editoriale di azzo

La quantità di beni che un uomo riusciva a produrre col proprio lavoro è stata per secoli uno dei parametri principali per lo sviluppo delle arti e delle scienze: in una parola, della civiltà.
Se un numero relativamente basso di uomini riusciva a produrre tutti i beni necessari alla popolazione, quella società poteva permettersi di mantenere a ufo vecchi e bambini, ma anche un certo numero di uomini (e donne) che potevano perciò dedicarsi alla vita di contemplazione.
Filosofare, speculare su tutto e su nulla, dedicarsi alle arti, perdere tempo in cose assolutamente improduttive eppure fondamentali per l’umanità.
Un clima mite e una terra fertile, ovviamente, aiutavano non poco. Ecco spiegato il motivo per cui quando a Roma c’erano già gli acquedotti e i cessi in casa, in Scandinavia i barbari stavano nelle foreste ed emettevano suoni gutturali (un po’ quello che capita ancor oggi con il death/doom/black metal, ma questo non c’entra).

Era un mondo antiegualitario, ma funzionava.
Una ristretta minoranza produceva arte, filosofia e tecnologia finché riusciva a tenere in scacco gli altri, poi arrivava un’invasione barbarica o una rivoluzione, si facevano un sacco di morti e il gioco ricominciava.

Ormai da un pezzo la tecnologia permette di produrre tutti i beni necessari, quelli facoltativi e soprattutto gli oggetti inutili (quasi tutti) impiegando una limitatissima quota di forza lavoro.
Tutti gli altri fanno cose improduttive e tendenzialmente dannose, anzi, come si dice adesso, “si occupano” di qualcosa (ovvero non fanno niente, sono solo occupati, come il cesso quando ti serve).
Poi c’è sempre quell’esigua minoranza, oggi come allora, che si può permettere davvero di non fare nulla, ma questi scellerati non passano il loro tempo ricercando l’Arché, o il Primo Motore Immobile, o a scrivere la “Divina Commedia” o a comporre “I Wanna Be Your Dog”, no.
Questi si industriano affinché tutti gli altri lavorino come somari per avere cose inutili che invecchieranno prima di essere usate, e per alimentare concetti come il PIL, più astratto delle parole di Heidegger.

Già.

La crisi ha rallentato i consumi e tagliato i posti di lavoro.

E se invece di spingere agli acquisti e a lavorare di più, lavorassimo tutti molto meno, e stessimo molto di più a filosofare, scrivere, ricercare, copulare, così da aiutare questo sventurato pianeta?
Magari rimarrebbe anche un po’ di tempo per  “consumare” tutti quei prodotti, così da accontentare anche lorsignori.

Come dire, unire l’utile al dilettevole.

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editoriale di kosmogabri

Il primo fake te lo fai quasi sempre per gioco, per scherzo, o magari soltanto per lasciare un commento che non hai il coraggio di firmare con il tuo vero nick name.
 
Il secondo fake te lo fai per vendetta, perché qualcuno ti ha rovinato una media, perché ti sta antipatico o perché, tutto sommato, un po’ se lo merita. E poi che male c’è? Lo fanno tutti!
 
Il terzo fake te lo fai perché sei annoiato, ed è divertente andare in giro a fare un po’ di casino. Certo, poco alla volta, tutto diventa più complicato tra password, account e il rischio di farsi beccare.
Ma, in fondo, è solo un gioco… e tu puoi smettere quando vuoi, no?
 
Non passa molto tempo, e ti connetti senza sapere chi sei veramente. Non ti ricordi più con quale delle tue molteplici personalità fai il simpatico, con quale lasci solo insulti alla mamma, con quale ti masturbi, con quale perseguiti i metallari, con quale…
 
L’unica cosa che sai veramente è che desideri un po’ di tranquillità, un po’ di quella quotidianità calda e sicura di cui conservi solo il rimpianto. Inizi a sentirti come quelle grandi star che vorrebbero tanto tornare all’anonimato: andare al supermercato, entrare in un bar senza essere guardato da tutti... fare la cacca senza correre il rischio di essere scoperto, smascherato, sputtanato ed esposto al pubblico ludibrio.
Ma sai che ormai è troppo tardi. Chi ha mai visto Jimmy Page alla Lidl?!

Allora ti senti stanco, stanco di tutto.
 
Stanco degli scherzetti degli editors, dei loro dispetti, stanco di vivere pericolosamente, col rischio di essere bannato ogni giorno per colpa di qualche frignone, stanco di litigare con Pinco, Pallino, Qui, Quo, Qua, Pippo, Pluto e Paperino, la Banda Bassotti, Paperinik, Cattivik e Diabolik, Andreotti, Andrea Sperelli, quello cicciotto dei Neri per Caso, Antonella Clerici, le poppe di Antonella Clerici, i Finley, gli ZZ Top, Robert Johnson, Ben Johnson, Patty Pravo, Jimmy Page in coda alla cassa alla Lidl, quella di "Antò fa caldo", (catto)comunisti, (catto)fascisti, (catto)anarchici, i CCCP, i CSI, i PGR, CGIL, CISL e UIL, la settimana enigmistica, Saw l'enigmista, le bambine di Shining, Danny, Danny Lloyd, i Pink Floyd, Frank Zappa, e tutti quelli che ti vengono in mente che abbiano almeno respirato tre volte nella loro vita...
 
Ormai è certo: ogni fake aspira a fuggire dal suo ruolo di colonna di DeBaser per vivere in piena tranquillità.
 
Perché DeBaser è cattivo, i nani sono crudeli, gli editors sono stronzi. E quelli che non ho nominato sono pure peggio.
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editoriale di DeBaser

Caro utente di DeBaser,
ti scriviamo per ricordarti una cosetta facile facile; così facile che spesso la si dimentica.

In tre parole:
NON
SEI
ANONIMO

Cioè, puoi inventarti tutti i nick che vuoi, ma quando sei su Internet sei sempre tu.

Ora: non ci interessa sapere chi sei veramente. Non ci interessa il tuo nome, il tuo indirizzo, la tua età. E infatti non te li chiediamo.
Però, quando sei su Internet, i tuoi dati da qualche parte li hai dovuti lasciare.

Quando scrivi che "X è una troia", "Y è un pompinaro" o cose simili nelle DeFinizioni o nei DeCommenti, ecco, vedi, X e Y potrebbero incazzarsi. E a quel punto, a X e Y interesserà saperli, il tuo nome, il tuo indirizzo e la tua età.

E, vedi, noi in quel caso dovremo fare tutto il possibile per aiutarli, X e Y.

Capito bene?

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editoriale di Hybris

Ricordo bene quel giorno: uscita la testa dalla finestra, si capiva che nell'aria c'era qualcosa di diverso. Tutti i dirigibili di propaganda erano in fiamme, lenti nel cielo come elefanti volanti diretti al cimitero. Ricacciai dentro la testa e chiesi se qualcuno voleva del caffè. In quel periodo non abitavo da solo, ma in una specie di comune di hacker; eravamo pagati bene da un qualche alto livello governativo di un non meglio precisato dipartimento internazionale di sicurezza. Ci chiedevano di intrometterci un po' là, prendere dei file da qui, bombare il sito di tizio.
Guadagnavamo così bene che per un po' ci eravamo anche dimenticati di essere in guerra, ma quel giorno i dirigibili mi avevano risvegliato: mi avevano ricordato in che posto mi trovassi, e decisi di preparare del caffè. Perchè uscire con Miles Davis mi aveva fatto questo effetto: preparare del caffè. Allargare lo spazio usabile del cervello.
Un paio di ragazzi volevano la flebo di caffeina quotidiana come e più di me, mi seguirono in cucina raccattando stralci di notizie dai computer, i giornali, la televisione lasciata là sopra al frigo simbolicamente. Potevamo dire di essere davvero al centro delle cose. Mentre versavo il caffè nelle tazzine spaiate, un dirigibile si abbatté contro il nostro palazzo, noi eravamo al settantasettesimo piano ed era un grattacielo di novantasei. Non ho potuto più bere il mio caffé.
Dopo aver preso il volo con un tappeto volante mi sono accorto che le strade erano deserte. Incrociato un passante, a occhio e croce un apprendista sciamano cabalistico, e chiestogli cosa stesse succedendo, quello mi fa: "Ma come, piccoletto, non lo sai? Il napalm. Tutta la città brillerà di napalm tra circa otto minuti". Ero sconcertato. Nessuno mi aveva mai chiamato piccoletto, a parte una dodicenne di cui mi ero invaghito alle elementari.
Decisi di andare a casa di Travis: il tipo di ragazzo con cui puoi affrontare anche il napalm. Ha già preparato una serie di vesti anti-napalm, con materiali di scarto recuperati da un'industria aerospaziale poco lontana. Ricordo che ci lavorava mio padre, prima di morire in guerra.
Ragazzi, il napalm. Indimenticabile.
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editoriale di azzo

E’ notizia di pochi giorni fa che il Vice Mega-Direttore-Galattico di Chrysler sia giunto ad un’importante conferenza stampa a bordo di una Fiat 500. Ma c’è di più: Jim Press (Così dicono si chiami questo personaggio di fantasia, che noi lo sappiamo che mica esistono questi manager...), dicevo, questo Jim Press ha pronunciato lodi sperticate per la vetturetta piemontese, arrivando a sostenere che sarebbe “perfetta per le strade di New York”.

Si, si, controllate pure sulle testate più blasonate.

Ora, al di la dei vantaggi veri o presunti che l’accordo Fiat-Chrysler potrebbe portare al Belpaese e agli hobbies di Lapo Elkann (che poi fondamentalmente le due cose coincidono), si rendono conto questi signori della catastrofe immane che una roba del genere provocherebbe nel bel mondo della sottocultura giovanile, del cinema, del pop/rock, ad Hollywood come a Vercelli, a Seattle come a Cellino San Marco?
Uno tsunami di proporzioni tali da azzerare addirittura i lettori di Debaser (bè, non proprio tutti, qualche eroe dalla testa dura resisterebbe anche a questo).

Non credete?
Bene, allora, non potendo prevedere il futuro (ma di certo nulla di buono), proviamo ad ipotizzare lo scenario che si presenterebbe se lo sciagurato patto fosse stato stipulato mezzo secolo fa.

Basta ben poca immaginazione:
se nelle foto scattate davanti al CBGB’s nel 1975 facesse capolino il muso di una 128 parcheggiata in doppia fila, li avreste più ascoltati i Ramones?
Se la buonanima di Johnny Cash avesse scorazzato per le polverose strade che tagliano gli immensi campi della contea di Nashville, non a bordo di enormi pick up Chevrolet, bensì su di un italianissimo OM Tigrotto, avremmo subìto il fascino del Country degli Stati del Sud?
E che dire di tanti Road Movies su cui abbiamo fantasticato fin dalla più tenera età?
Se Kowalsky in “Punto Zero” avesse affrontato l’inseguimento per quattro stati non già guidando la Dodge Challenger bianca ma abbarbicato al volante di una 850 Coupé, credete forse che Super Soul l’avrebbe aiutato a quel modo?
Per non parlare del costume e della cultura a stelle e strisce che in queste praterie padane hanno trovato – per molti aspetti inspiegabilmente – un fertilissimo terreno su cui prosperare.
Niente di tutto questo sarebbe possibile, e il paradigma pregno di significati espresso sinteticamente con “Fra la via Emilia e il West” sarebbe rimasto solo una banale indicazione topgrafica del tipo “Fra la via Emilia e la strada Romea”.

Fermateli, per carità, fermateli!!!

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editoriale di azzo

Il panorama musicale italiano sta riemergendo. Almeno, così sento dire. Dicono riemerga sempre più, grazie ai nuovi circoli Arci, grazie a X-Factor, grazie all’ultimo festival di Sanremo (uno dei più bei festival degli ultimi 30 anni!), grazie a Manuel Agnelli,grazie ai rinnovatisi Marlene Kuntz, grazie ai “giovanissimi” Verdena e soprattutto grazie all’arrivo dell’Emocore anche nel nostro meraviglioso paese.

Sì, voglio provare a crederci.
Voglio credere con tutto l’ottimismo benpensante che per farsi conoscere sia sufficiente andare in un Arci e chiedere: “Mi faresti cortesemente suonare?”, per vedermi rispondere: “Certamente, stavo andando a dormire, ma visto che sono le 2 del mattino ti faccio suonare anche subito, basta chiederlo!”. Voglio credere che non ci siano confini intellettuali, voglio credere che chiunque possa esprimere il proprio parere e/o opinione musicale, anche la più strampalata, voglio vedere ogni tipo di forma innovativa e insubordinata la mente umana riesca a congegnare, e la voglio vedere su un palco. Ma io ho un problema, bello grosso fra l’altro: non ci credo. Perché non credo che a Godano o ad Agnelli interessi rivoluzionare il nostro paese, perché non credo che i fratelli Ferrari mirino a smuovere nulla di particolare, perché non credo i circoli Arci siano dei circoli Arci. Ecco perché non credo.

Non credo poi, che politica e musica vadano di pari passo, non credo che ci siano band di sinistra o di destra, e per intenderci, evitando fraintendimenti, non credo neanche un minimo al liberalismo.

Credo solo ad una cosa: che è bene aprire gli occhi, guardarsi attorno, talvolta essendo anche critici più delle insolite e nefaste rime della coscienza, per arrivare alla sincerità, o morendo tentando di averlo fatto, per valutare se effettivamente è tutto oro quello che sbrodola convenzioni superate.

Per definire, una volta per tutte, dove sono finite le persone che hanno realmente cambiato il nostro paese, nel cuore e nello spirito, e a questa risposta arrivarvi stremato: sotto terra. Sotto tonnellate di danari liquidi e telematici, occultati in chissà quale holding svizzera, reinvestiti in ogni dove il sistema del music business necessiti, per autorigenerarvisi.

La luce salta, ed il maestro dice: “...adesso, dovrò chiamare l’addetto...”, ed un uomo sulla cinquantina arriva trafelato, dicendo fra sé e sé “...tsè, questi parlano di denaro, di innovazione democratica, e non sanno nemmeno cambiarsi una lampadina con le proprie mani...”.

 

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editoriale di carlo cimmino

1978. Sono un bambino. Mi piacciono i fumetti e da grande voglio fare il supereroe. Allora vado al cinema a vedere "Superman". Ci sono Marlon Brando, Gene Hackman, Christopher Reeve. Jor-El è uno scienziato. Dice che Krypton sta morendo, ma la comunità scientifica e le autorità non gli danno ascolto.
Smallville. Kansas (USA). Kal-El, figlio di Jor-El, cresce sulla Terra come Clark Kent. Diventa adulto e lavora al Daily Planet, principale testata giornalistica di Metropolis. Ha dei superpoteri: è Superman.
Lex Luthor è un supercriminale. Ha comprato dei terreni desertici in California. Ha intenzione di farli fruttare facendo sprofondare la costa dello stato in mare. Esplode un missile nella faglia di Sant'Andrea. La California sta colando a picco, ma Superman interviene e mette le cose a posto.

Abito al terzo piano di una vecchia palazzina in centro. Quando la terra ha tremato me ne stavo seduto sul divano a guardare uno stupido programma alla televisione. Ho avuto paura e quando è finita sono scappato in strada.
Magnitudo 6,9 scala Richter. Abbiamo contato i morti: 2.735. Abbiamo fatto una stima dei danni: 60.000 miliardi di lire. Molti non hanno più un lavoro, né un posto dove stare. Dicono che scosse come queste in Giappone sono all'ordine del giorno e che, cemento armato e travi d'acciaio, si possono mettere in piedi strutture ed abitazioni sicure. Allora ci siamo rimboccati le maniche. Ricostruiremo tutto.

Sono passati trent'anni dal 23 novembre 1980. La ricostruzione è stata una vera tragedia. La Campania cade a pezzi. Il mio appartamento cade a pezzi. Nuove crepe si aprono nelle pareti ogni giorno e i pavimenti tremano quando cammino o passa un'automobile giù in strada. Mio fratello ha diciotto anni e non ha mai messo piede in una vera scuola. Ma tutto sommato me la passo bene: interi quartieri sono ancora da ricostruire. Lungo la strada, duecento metri più avanti, la scorsa estate è crollato un palazzo.

Il 6 aprile è venuto giù l'Abruzzo. Abbiamo contato i morti: 300. Sono crollati appartamenti e palazzine nuove. Un moderno ospedale. Dicono che il 70% degli edifici italiani non è a norma. Il presidente del consiglio - quello dei condoni edilizi - dice che non spetta a lui trovare i colpevoli e per la prima volta da quando "è sceso in campo" (cit.) riconosce ruolo e competenze alla magistratura. Assume un impegno "concreto": "Ricostruiremo tutto."
Io questo film l'ho già visto e non mi è piaciuto. Ora chi glielo dice agli abruzzesi del piano casa?
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editoriale di sfascia carrozze

Da quello che ho capito io (probabilmente niente) DeBaser è stato concepito o perlomeno dovrebbe essere un “luogo divertente” per chi lo frequenta: una realtà apolide e libertaria ove far confluire, incrociare e, perchè no, condividere, opinioni, idee e pareri personali partendo dal pretesto dell’ascolto di un disco, dalla lettura di un libro, la visione di un patrio TV-show o di un’opera cinematografica.

Da quello che ho capito io (decisamente niente) lo scopo di tutto questo convulso ambaradan dovrebbe essere, oltre al “divertimento”, quello di accendere riflessioni tra le persone magari supportando il tutto con una trasversale e salvifica ironia, un sarcasmo strutturale che può divenire pungente e dai tratti grotteschi ma che pur sempre dovrebbe essere orientato a capire chi siamo, cosa siamo divenuti, come ci stiamo trasformando. Eppure è cronaca quotidiana l’imbattersi, tra le ventimila-e-più pagine DeBaseriane, in nervi a fior di pelle, scontri accesi se non schermaglie verbali all’ultimo sangue, improperi e insulti di ogni genere per questioni spesso davvero inesistenti che offendono più la stessa intelligenza di chi scrive che non quella di chi ha la sventura di leggere: qualcuno sosterrà che DeBaser altro non è che uno spaccato, più o meno trasversale, della confusa, ambigua società italica e le risse alle quali assistiamo, vieppiù attoniti, ne rappresentano i tratti somatici più recrudescenti: può essere.

Da quello che ho capito io (assolutamente niente) DeBaser vorrebbe essere tutt’altro: non è certo “ALZANDO LA VOCE“ qua dentro, sbraitando le proprie incontestabili e assolute “verità”, talvolta insultando pesantemente il prossimo, che si cambiano le cose “là fuori”: Siete nauseati da ciò che Vi circonda, sentite la impellente necessità di cambiare il mondo? Bene: affrontate la realtà che vi circonda dandovi da fare concretamente, catalizzando su di essa tutta l’imponente energia di cui siete dotati.

A mondo rivoluzionato, ripassate a trovarci però..

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editoriale di K.

"... sonitu venit, et ruere omnia visa repente" (Virgilio, Eneide)

L'uncinetto è una manifattura antichissima praticata ovunque nel mondo. Nel XVI secolo le più fini artigiane dell'arte di intrecciare un filo con un bastoncino incurvato erano le suore italiane, note a papi e re per sopraffine opere frutto di laboriosa e silente costanza.

Quando da ragazzina ero in collegio dalle suore, l'unico momento in cui si poteva ascoltare la radio era durante due ore settimanali di lavoro a maglia e uncinetto. Quest'ultimo dava risultati più immediati: centrini per la tavola o poggiatesta per poltrone, oppure i classici quadretti d'assemblare in un copriletto multicolore.

Chissà a che cosa lavorava la signora di Tempera pressoché centenaria che hanno estratto viva dalle macerie... Aveva con sé un uncinetto e un gomitolo. Da trasformare in un centrino nuovo per una poltrona ormai distrutta? In fondo non importa cosa. Importa come. Il mondo crollato attorno, i muri polverizzati addosso, la terra sciolta sotto i piedi che trema ancora e ancora e ancora. Uncinetto. Tra le dita nodose di una vecchia tutta d'un pezzo, in ogni sua ruga incisi terremoti già vissuti. Fiducia, attesa, pazienza, costanza, un gomitolo che scorre nel silenzio roboante. Trenta ore. Poi voci lontane come una radio. I soccorsi.

Non so il nome di questa meravigliosa e coraggiosa donna che è l'Abruzzo tutto. Non importa. Oggi si chiama Pasqua.

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editoriale di azzo

Continua... Non sente la terra tremare, sente solo il rumore dei palazzi che si schiantano al suolo, poi le urla, poi le sirene, poi la polvere. Bandini pensa che è colpa sua e della collera di Dio, l'unica persona che non ha mai letto Nietzsche.

All'aeroporto di Pisa chiamo qualcuno. La provincia di Chieti non è stata toccata, ma L'Aquila si. Almeno cinquanta i morti. Smetto di pensare. Sul treno qualcuno dice settantacinque, un ragazzo digita dei numeri e dice: << Hai sentito di Piera? Ha la casa spaccata in due!>> Riprende a leggere Palahniuk, nella sua frangetta orribile che gli urta gli occhi e con la cravatta che gli irrita il collo. Penso ad Opi, un paese piccolissimo, dove vivono più cinghiali che persone. Opi non esiste più, se qualcosa crolla, Opi crolla per primo. Opi, un paese dove ad agosto fanno 9 gradi, dove la notte senti i lupi in lontananza, dove i cinghiali ti tagliano la strada. Immagino Opi distrutta, i suoi abitanti sotto le macerie e il resto del mondo tutto sano.

A Roma qualcuno mi dice cento, a Napoli centocinquanta. Arrivo a casa, accendo la scatola nera. L'Aquila, come la conoscevo, come l'ho vista, come è stata, non esiste più.
Bombardata, cancellata. Rimango a fissare la luce che esce dalla scatola, immerso nelle immagini. Vado a letto ci penso tutta la notte. E' mattina e attacco con il telefono. La voce dall'altra parte mi dice che non gli servono altri soccorritori, che ne hanno in abbondanza e di esperti, che io sarei d'intralcio, mi dice che possono solo dispiacermi in silenzio e poi attacca.

Riaccendo la scatola ad un giorno di distanza, convinto che avrebbero parlato ancora e solo di questo. Vedo questo fidanzato di Barbie che ha preso il posto di quell'altro che tifava per l'Inter. E' a L'Aquila, con alle sue spalle un palazzo bombardato. Fa parlare persone tra loro, si discute su quello che lo stato doveva o non doveva fare, su quanto i soccorsi siano stati tempestivi e sul fatto che nemmeno l'ospedale si è salvato. Parlano, parlano, parlano. Mi ricordo di quello che mi disse un amico: << solo sotto le catastrofi si smette di essere delle merde.>> Poi ripenso al Cristo della Ricotta e dell'unico modo che aveva per esser preso in considerazione. Poteva solo schiattare su quella croce per suscitare un minimo interesse. Magari il dispiacersi in silenzio. Magari... è una necessità. Magari dovremmo tutti dispiacerci in silenzio, rimanendo informati, ma saltando questi spettacolini, questi vai e vieni di sismografi, giornalisti, politici e quant'altro. Dispiacersi in silenzio, sarebbe un buon inizio. O una buona fine.

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editoriale di emofiliaco

Mi sveglio sempre troppo tardi e mi appunto promemoria dappertutto: poi bellamente ci passo sopra e rispondo facendo spallucce a tutti i "Non ci cascherai di nuovo" che lascio in giro.

Sarà che Fiorile e Pratile mi perseguitano ancora, sarà che sono un incosciente, sarà questo o quello ma mica posso spegnermi a comando. Dovrei essere meno instabile e più arrogante ma preferisco orbitare che muovermi linearmente...e forse sono il mio unico sole. No, non può essere così.

Sono pianeta e satellite insieme e spesso molto di più: orbitare, insomma, e lasciare impressioni che non m'appartengono affatto. Se penso ad un punto fisso, me ne vengono in mente almeno diecimila e non so dove andare: l'ansia di sapere esattamente come vanno le cose mi sta annientando.

Ormai è un veloce scorrere di mesi rivoluzionari: quello in cui nasco e quelli in cui muoio ed i successivi che mi rimangono per risorgere: ultimamente ci metto troppo poco a rinascere, dovrei rimanere inerte di più: accade e non posso farci nulla, spesso e' troppo cioccolato. A volte troppo poco…

Un'esistenza a catalogare astri: forse è solo luce riflessa ma per il momento va bene così...

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editoriale di hypnosphere boy
Al sito http://www.coachella.com/event/lineup si può vedere la lineup completa di uno dei festivals mondiali più grandi. Chi è curioso guardi alcuni nomi: si va da Leonard Cohen agli Orbital, dal DJ set dei Chemical Brothers a Roni Size Reprtesentz, dagli Okkervill River ai Cure... per un totale di… di più
editoriale di Bartleboom

Carissima debaseriana,
caro debaseriano,
simpatica - ma neanche poi tanto - debaseriana in realtà debaseriano,

siamo lieti di annunciarTi l'imminente ripristino della sezione più chiul del sito più chiul di tutto l'internet: la "Classifica dei Casi Umani di Debaser".

Per festeggiare il lieto evento, abbiamo deciso di concedere una possibilità di recupero sociale a tutti quei Casi Umani che, nel frattempo, si sono ravveduti. È, pertanto, con profonda commozione che annunciamo la prima:

"Amnistia dei Casi Umani di Debaser".

Grazie all'esperienza maturata dall'Indulto e da Calciopoli, in data 1° aprile 2009, la Classifica - così come l'hai conosciuta ed amata - verrà resettata. Per ripristinarla, abbiamo bisogno anche del Tuo aiuto! Ecco perché sono ufficialmente aperte le prime:

"Elezioni dei Casi Umani di Debaser"

Compilando l'apposita scheda elettorale, potrai segnalarci i Tuoi tre "Casi più Umani" in ordine di casumanità: il Tuo voto contribuirà a stilare una nuova, entusiasmante, aggiornatissima classifica, in cui verrà indicato anche il grado di Umanità di ciascun Caso.

I Casi Umani sono tanti... milioni di milioni.
Forse lo sei anche tu, e ancora non lo sai.

Aiutaci a riconoscerli. Aiutaci ad aiutarli.

Basta con le ronde, sì allo Stato Sociale del Caso Umano.

Casi Umani di tutto il mondo, unitevi!

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editoriale di turkish

Giulio Tremonti non sembra una persona felice.

Sul serio. Immaginatevi la vita, lo stress, di un uomo intento a dover asservire 24 ore al giorno l’altra metà del lato oscuro della sua tentacolare personalità. Sì, non deve essere facile. Già non è da tutti riuscirci, cazzo. Ma per uno come lui tutto ciò è pura consuetudine. Cosa può pensare? È questo il dubbio signori. Penserà forse che entro Aprile chiuderanno lo stabilimento madre del tessile in Italia (Prato) ed al pestilenziale fiato di Bersani sul suo collo? Penserà al Gruppo Bilderberg ed agli “Illuminati” (che tanto odia)? Penserà a come introdurre un “Nuovo Ordine Mondiale” (che tanto lo aggrada)? O, forse, penserà che cazzo aspetta il suo Padrone a prenotare un cottage ad Hammamet?

L’Italia, cari i miei signori, è un paese che rotola via. E se non ve ne state accorgendo, ci sta rotolando giusto d’innanzi, sotto il naso, proprio in questo momento. Ma rotola di più da quando tutti si è smesso di realizzare interrogativi quali “come è possibile?”, ed ancor di più nel preciso istante in cui non ci si è localizzati e ben figurati fisicamente di essere là, a gambe spalancate, intenti ad aspettarla a braccia aperte, la fatidica “cagna” di botta che ci sta inseguendo da un secolo e vieppiù.

E noi, che si farà? Si starà lì. Pronti ad attenderla. Convinti di rispondere “coscienziosamente”, nell’ottimismo delle nostre stesse paure, nella virilità delle nostre nevrotiche e depravate frustrazioni di una vita (oltreché una professione) precaria, con il beneficio di un dubbio adombrato dalla Regina Putrescente di tutti i consumi: madame Economia.

Ma io credo che la vecchia bagascia sia esausta. Credo che la “Puttana Madre” di tutte le inconsistenti modalità comportamentali odierne e passate abbia fatto il suo tempo e che il momento in cui ci stramazzerà di fronte è, non di giorni, ma di secondi sempre più vicino.

Forse Giulio Tremonti, alla sera, intento a posare quei suoi sudici occhiali da presunto Ministro dell’Economia sul comodino della sua stuprata coscienza, dopotutto, pensa proprio a ciò che noi tutti in fondo si sta pensando da mesi: “quando, in definitiva? Quando il botto? Quello vero?”

E, forse - e più verosimilmente di quanto vi immaginiate, pure lui, magnate dell’arrivismo intelletual-economico, lascerà scorrere una acida lacrima dalle sue piccole orbite infossate.

La fine di un modello di vita.

La fine di un principio oramai scaduto.

La fine.

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editoriale di sfascia carrozze

Gaio:

La nuova frontiera sono le vostre teste

e sono già terreno di conquista

non internet

non il cyberspazio

le vostre teste.

E prima o poi verranno conquistate

se non lo sono già.

L'unica speranza che avete

se ci pensate

è di farvi conquistare

da chi decidete voi.

Alvaro:

Sei un inguaribile ottimista

le teste sono andate

okkio al kulo!

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