Intanto mi piace questo reiterare recensioni di dischi "vecchi", cosa che continuerà a non far piacere ai piani alti del DeB ma che da un lato dimostra l'insipienza e la marginalità "funzionale" di nove decimi di quanto viene prodotto oggidì (e non soltanto, sigh, nel mainstream....). Se quanto inciso oggi ci fa cagare, ci sembra inutile, già detto, ritrito e digerito, allora ci rifugiamo nel passato, non da piangitori di mestiere ma, credo e spero, con vero spirito critico. Va detto, e concludo l'intro, che rileggendo oggi tante recensioni apparse sul DeB anni fa da una parte si sorride per lo spirito a volte sinceramente goliardico, dall'altra ci s'incazza con chi si esprimeva "per partito preso" ma anche si trovano spunti e lampi, osservazioni edificanti o distruttive ma spesso con un senso logico che trascende dalla mera volontà di affossare od incensare un'opera senza una vera ragione che non sia solo spirito di fan o di detrattore "sempre e comunque".
Per venire all'opera del nostro buon
@[joe strummer] , innegabilmente uno dei pilastri di tutto il pop italico e non solo della "canzone d'autore" tout court, bisogna giocoforza e molto più che in altri casi, ricondursi al periodo in cui fu realizzata. Dalla veniva dall'esperienza di "Come è profondo il mare" dove aveva dimostrato a tutti, ma in primis a se stesso, che non era solo un musicista d'estrazione dixie che aveva fatto cose buone ed altre molto meno buone ma anche e in maniera sempre più evidente un ottimo scrittore di liriche, asciutto e deciso, diretto ma capace di espressioni che a tratti sfioravano la poesia. La lezione di Roversi, il poeta di cui aveva musicato i versi in ben tre album, gli era servita ma si teneva ben lontano dallo scopiazzare il modus operandi del letterato.
Dalla, in "Come è profondo il mare", aveva trovato una sua dimensione particolare, i testi che andavano "dal politico al personale", come si diceva allora, senza mai apparire scontati o risaputi, avevano stupito più d'uno, lui che si era dichiarato incapace di scrivere liriche ora dimostrava il contrario.....
La musica... la musica.... già nei tre dischi con Roversi la sterzata decisa era evidente, musiche dirette, spigolose, pochissimi assoli, molta elettronica (quanti synth dal '74 all'84!!) ed ora, in pieno 1979, un occhio a certe sonorità secche e dirette, anche derivate dalla wave d'allora ed un altro ad adornare le parole di accordi succinti e note inaspettatamente bluesy, meno jazzate e con poca melodia italica, meno possibile. I testi erano spesso più recitati che cantati, declamati velocemente, un po' come eravamo già abituati a sentirlo ma più incisivi a livello di rime e di immediatezza "sonora".
Questo secondo capitolo della triade d'oro di Lucio Dalla completava le intuizioni del precedente ed apriva la strada alle vendite straordinarie del seguente. Dall'81 in poi Dalla avrebbe solo guarnito d'elettronica i nuovi dischi e, come testi, avrebbe declinato sempre più la responsabiltà di superare la compiutezza di quelli della magica triade.
Massimo rispetto al grande
@[Falloppio] che, da par suo, le cose le ha viste anche "dall'interno" della produzione discografica generale, ma definire canzonette, solo canzonette, queste opere di questa parte della carriera di Dalla è sinceramente a dir poco riduttivo. per la prima volta un artista di quel calibro univa parole e musica all'insegna del perfetto incastro delle une con le altre e dell'attualità delle stesse, musica e parole.
I musicisti, il Fallo lo è stato e giustamente li cita. Portera fu fondamentale per riportare le cose di Dalla a virare verso il roccherolle, Nanni e Pezzoli furono una sezione ritmica granitica e Ron un arrangiatore per allora davvero innovativo.
Canzonette? Ma và.....