editoriale di Bartleboom

Sono andato a dormire che le voci su un impossibile addio di Ronaldo alla Juve si rincorrevano isteriche sui social e sui siti.
Mentre scrivo sono le cinque del mattino e pare proprio che Narciso se ne andrà al City. Non si conoscono ancora i dettagli, ma l’accordo sembrerebbe essere stato raggiunto.

Nel frattempo, il Milan ha perso a zero Donnarumma, che ha pensato bene di andare a giocare nel campionato più di merda d’Europa per “diventare il numero 1” e ha impiegato 3 settimane per trovare qualcuno che gli scrivesse su Instagram un messaggio di saluto.
L’Inter si è liberata di un allenatore vincente, ma affetto da dismenorrea cerebrale conclamata, e ha venduto Lukaku e Hakimi, incassando una carriola di soldi. Lukaku non ha aspettato nemmeno di avere superato il controllo passaporti che già stava baciando la maglia del Chelsea.

Laporta ha detto che attualmente il monte ingaggi del Barcellona copre il 105% degli incassi (non dell’utile). Senza lo stipendio di Messi, si arriva al 95%.
E così anche Messi è andato a giocare per gli sceicchi nello stesso campionato più di merda d’Europa di cui sopra. Mbappè dice che io ho ragione, che quel campionato è una vera merda, quindi lui vuole andare al Real, che ha messo sul piatto 180 milioni di euro. Però Leonardo dice di no perché che sono dei criminali.

E poi c’è stata la Superlega, anzi no, ma mi sa di sì. Chalanoglou che sembra in trattativa col Milan da 3 mesi e il giorno dopo è già sui cartelloni con la maglia dell’Inter. La Juve compra Locatelli dal Sassuolo con un accordo che sembra una “offerta volantino” di Mediaworld. I diritti TV sono finiti a Dazn, ma c'ha più buffering di youporn ai tempi del 256K e Salvini dice che ci vorrebbe una class action.

Io e mio padre non siamo mai andati d’accordo. Troppo diversi. Negli ultimi anni a casa dei miei avevamo litigato male e non ci parlavamo più.
L’unico momento di tregua era quando giocava il Milan.

Era il Milan di Ancelotti, quello degli Invicibili. Pirlo quello vero, Seedorf, Nesta, Maldini…
Guardavamo le partite con la tessera prepagata di Mediaset Premium, sul divano in salotto. Smettevamo di contare le sigarette più o meno al quarto d’ora del primo tempo. Non ci dicevamo una parola. Non un commento sulla partita. Lui ogni tanto bestemmiava e dava del culo nero a Seedorf. In effetti pure io lo mandavo abbastanza affanculo.

Ci sono partite di cui ho un ricordo vividissimo. Una su tutte, il ritorno di Champions con lo United. “La partita perfetta”.
Ricordo il diluvio. Ricordo i gol, direi tutti bellissimi. Rooney che chiede un rigore per una mezza rovesciata finita male. Gattuso rasato che fomenta il pubblico con uno smorfia di fatica. Ancelotti che a tratti sembrava volesse alzarsi, mollare il calcio per sempre e aprire una trattoria sulla Paullese.

Ricordo Kaka a centrocampo, subito prima dell'inizio della partita, con i capelli fradici.
Si gira a guardare l’arbitro, in attesa del fischio di inizio, con una cattiveria, una intensità negli occhi che fanno spavento.

Avevamo già vinto e ancora non lo sapevamo.

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I - Il Capo, la Tigre e il Pecoraio

Calogero “Don Calò” Vizzini, importante esponente mafioso della provincia di Caltanisetta, impropriamente ricordato come il primo “Capo dei Capi”, muore nel 1954. Al suo funerale parteciparono importanti esponenti politici ed amministrativi della regione Sicilia e, in prima fila, il boss Genco Russo. Nella sua epigrafe funeraria si legge: “La sua mafia non fu mai delinquenza”

Giuseppe Di Cristina, nato nel 1923, soprannominato “la tigre’’, nel 1975 divenne membro della "Commissione regionale” di Cosa Nostra. Alla sua morte, avvenuta nel 1978 per mano del clan avversario dei Corleonesi di Salvatore Riina e Bernardo Provenzano, il Comune di Riesi proclamò il lutto cittadino, vennero chiuse scuole e uffici pubblici e una bandiera a lutto sventolò per tre giorni e tre notti dalla sede comunale della DC.

Salvatore Pirrello, detto “u’ pecuraru”, indicato dal pentito Leonardo Messina come "il referente degli stiddari a Caltanissetta...", condannato per associazione a delinquere, è morto all’età di 74 anni. Al suo funerale, tenutosi nel 1994 nella Cattedrale di Caltanisetta, il feretro venne condotto al cimitero da una carrozza trainata da 4 cavalli bianchi coperti da drappi neri, mentre una banda intonava un requiem.

II – Il TULPS, due Questori e forse un Protocollo

p>A norma dell’art. 27 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza: «Il Questore può vietare che il trasporto funebre avvenga in forma solenne ovvero può determinare speciali cautele a tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza dei cittadini».

Tale norma ha trovato, in anni recenti, numerose applicazioni:

29 febbraio 2012 - “Si sono svolti questa mattina, in forma privata, a Gioia Tauro e a Seminara, in provincia di Reggio Calabria, i funerali di Giuseppe Priolo, 52 anni, ucciso a colpi d'arma da fuoco il 26 febbraio e di Giuseppe Gioffrè, 64 anni, scomparso ieri. Il questore di Reggio Calabria, Carmelo Casabona, nel seguire la linea già adottata in analoghe occasioni, a garanzia dell'ordine e della sicurezza pubblica, ha disposto il divieto dei funerali di entrambi in forma solenne, con la partecipazione alle esequie solo dei più stretti congiunti. Priolo, pluripregiudicato, era legato da vincoli di parentela alla cosca mafiosa dei Piromalli di Gioia Tauro: Gioffré, invece, era il reggente dell'omonima cosca, operante a Seminara e in zone limitrofe. Al momento della morte era agli arresti domiciliari.” (fonte La Presse);

Roma, 20 settembre 2008 - "Il Questore della Provincia di Bari ha emesso un provvedimento di divieto dei funerali in forma pubblica e solenne, per esigenze di ordine e sicurezza pubblica, del pregiudicato Marino Catacchio, ucciso in un agguato nella serata del 18 settembre scorso. Pertanto, le esequie - si sottolinea in una nota - si svolgeranno in forma strettamente privata. Dopo il caso di Priebke, anche per il boss della camorra Angelo Nuvoletta scatta il divieto a celebrare i funerali in forma solenne. A stabilirlo il questore di Napoli, Luigi Merolla, che impedisce così i funerali previsti alle 11 di domani nella chiesa di Marano di Napoli. (fonte Quotidiano Nazionale).

Inoltre, pare (ho cercato sulla rete, ma non ho trovato conferme da canali “ufficiali”) che nelle regioni Sicilia, Calabria e Campania dagli anni ’80 si applichi un protocollo per i funerali dei mafiosi: è vietata la forma solenne, la cerimonia si celebra al mattino presto, alla presenza dei soli famigliari e della polizia.

III – Il sito più fiko dell'internet, il sexy, l'anonimo e la capricciosa

sexyajax
Opera: | Recensione: | Il 24 marzo 2006
conosci i casamonica?tu non sai chi sono...meglio per te che non mi conosci..senno te impanichi e nun vieni all'appuntamento...

Anonimo
Opera: | Recensione: | Il 24 marzo 2006
Casamonica eh ? mò cominciamo a controllà l'ip del ragazzo e vedemo se corrisponde tutto...se la foto è vera te sei fatto li cazzi tua.

sexyajax
Opera: | Recensione: | Il 24 marzo 2006
SOLO DA QUI CAPISCO ER COJONE CHE SEI..IO SO QUELLO DELLA FOTO...SE BECCAMO LA E SE NON ME TROVI CHIEDI DE DANIELE CASAMONICA....STO DENTRO..PERCHE' ALLE 8 DE SOLITO STO SEMPRE A FA A PIZZE....HO PAURA DE NON BECCATTE...

Fidia
Opera: | Recensione: | Il 24 marzo 2006
Ah ho capito quindi, sei un pizzaiolo.. senti a me fammi una capricciosa, per favore... con poca mozzarella se è possibile



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Qualche mese fa decisi di fare qualche ricerca in vari blog e site di notizie, per vedere come va il mondo oggi nel suo assetto geopolitico. Trovai molte informazioni che difficilmente avrei saputo gestire se non avessi alle mie spalle una certa immagine, formata e mai completa, degli strumenti esistenti atti a configurare le strutture mondiali.

Visto che l´argomento é vastissimo e non detengo le capacitá per approfondimento specifico, cercheró di correlare alcuni fatti accaduti nel mese di maggio usando opinioni e informazioni prese esclusivamente in rete e organizzate secondo quella che ritengo essere la visione corretta del sistema politico mondiale.

Primo di maggio, expo 2015. Alle colorate e artificiose animazioni di frutta e verdura, si contrappone la cruda esposizione del vandalismo dei blocchi neri. Slegati dai manifestanti ed estremamente organizzati agiscono indisturbati per le vie delle cittá. La visione dei loro atti disturba il comune cittadino, crea una senzazione di insicurezza che lascia molta gente a casa e genera un odio anticomunista, anacronistico e inopportuno.

Non ho dubbi che nei centri sociali ci siano molti elementi che adottino la guerra urbana come strumento di lotta e che viene spesso usata contro la polizia in questioni come le disoccupazioni. Non ho mai visto invece, filmato, uno scontro diretto fra i black bloc e la polizia. L´unico video che ritrae di dentro tutte le fasi dell´azione; aggregazione, vestimento, azione, svestimento, disintegrazione é stato filmato dal Giornale.

Tre maggio, festa dell´unitá alla montagnola, luogo tardizionalmente alternativo, a cui non é permesso l´accesso ai manifestanti troppo calorosi. E se Renzi dedica un´ora del suo tempo al colloquio con le parti, fuori si adotta un linguaggio piú concreto. Il braccio forte del potere spezza quello piú debole e lascia una sensazione di impotenza e disgusto.

La settimana precedente, la negligenzia di alcuni poliziotti americani provocó la morte di un afroamericano e la conseguente rivolta degli oppressi. Se il cerchio continuerá a chiudersi potremmo veder ripetere ancora queste scene; sono sintomi di una reazione contraria alle pressioni che vengono dall´alto, sopra il potere politico che non é piú rappresentativo da molto tempo, come si puó vedere anche in questo specifico caso; il presidente e il sindaco sono afroamericani.

E l´Italia dove si inserisce oggi nella struttura geopolitica dell´impero?

Indebolita nella struttura industriale e nello stato sociale, si prepara ad essere la grande riviera romagnola dell´europa, dovendo allo stesso tempo gestire un imponente flusso migratorio dovuto alla instabilitá creata nel continente africano.

Intanto l´Europa non funziona, la Germania sempre in testa (ma non avevano anche loro perso la guerra?), succedono cose mai viste in finanza, le controversie sul Ttip, il debito della Grecia, i governi fantoccio di Italia e Francia.

Si, avete letto bene, i governi fantoccio; nel senso che i primi ministri Renzi e Sarkosy, sono arrivati al potere guidati dalla mano silenziosa dell´impero che, attraverso delle reti occulte é riuscito a tessere trame sofisticate, utilizzando l´efficace metodo di annullare politicamente l´avversario del pupazzo prediletto. Basta tirar fuori dal cassetto i fascicoli dell´fbi, trovare qualche macchia del passato per creare uno scandalo mediatico in tempo di elezioni, e indipendentemente dalla colpevolezza o meno dell´avversario, l´impatto sull´opinione pubblica é forte. Questo é il metodo piú usato, ma non l´unico.

Quando invece si deve creare scompiglio in situazioni che esulano dal campo politico, la polizia va benissimo, come successo nello scandalo FIFA, dove il marciume della corruzione impera da tempo ma nessuno interviene fino a quando non giunge il momento propizio.
Propizio perché? Per gettare discredito nei dirigenti sudamericani? Perché i prossimi mondiali si dovranno svolgere in russia? Perché l´america há perso il diritto di ospitare i mondiali del 2022 in favore del Quatar? Perché qualche giorno dopo gli arresti, si sarebbe svolto il congresso della Fifa, dove si sarebbe votata la mozione della palestina di escludere Israele dai prossimi mondiali in quanto irrispettosi dei diritti umani?

Questi pochi fatti descritti finora, sono solo alcune tessere di un grande mosaico, che si fa sempre piú complesso e indefinito nella sua visione particolare, ma che mostra una struttura ben delineata nella sua visione d´insieme.

I black bloc sono l´emblema mediatico della strategia del terrore, che continua da troppi decenni nel nostro paese. L´episodio accaduto durante la festa dell´unitá rappresenta la separazione fra politica e societá, i cui limiti vengono sempre tenuti sotto controllo mediante l´uso della violenza . I Baltimora Riot del 2015 rappresentano la segregazione delle minorie, nelle quali anche noi dovremmo identificarci.
Chi non si sente rappresentato da nessuno é minoria, e tutte le minorie diventano poi moltitudini, che si .gettano nelle strade spinti dalla forza collettiva o tentano di cambiare il loro quotidiano in direzione ad uno stile di vita contrario a quello che vogliono farci vivere. Il caso Fifa, invece mostra come funzionano tutti i grandi gruppi di potere; corruzione come idea di base, non solo intesa come mazzette, ma in un senso piú ampio che vuol significare che l´interesse personale é sempre posto al di sopra dell´interesse della collettivitá, quasi niente fugge a questo infame sistema.

L´impero avanza... e io mi sento giú, un idealista coglione e qualunquista, che ama questa stronza umanitá e questo bel pianeta che nutre i miei sensi. Mi sento impotente e mi consolo con le piccole cose della vita; un orto, il progetto di casa ecologica, la musica, la famiglia, pensare ad altro e tirare avanti.


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Ma vogliamo, o no, parlare un po'?

Chi sei?
Io sono quello che se la cava, sempre. Ti sorrido e entrambi sappiamo che me la sono cavata. Ma dai che mi conosci, io dico sempre la cosa giusta al momento giusto. Tu pensi A, quell'altro pensa B, io arrivo e vi trovo la C, e vi si apre un mondo.

Tu invece chi sei?

Che cosa vuoi. Io sono così. Io non la abbasso la testa. Mi frega il cazzo di chi sei figlio, io sono proprio un osso duro.

Chi sei?
Ti chiedo scusa se non sono riuscito a rivelarmi dall'inizio, spero che tu lo voglia sapere ancora; è solo che non lo so nemmeno io. Io ho, semplicemente, l'età che ho. Forse non mi sono impegnato abbastanza in questi anni, o forse mi serve ancora del tempo. Dammi un'altra opportunità, ti prometto che è l'ultima.

Chi sei.
Guarda che ho capito perfettamente, per questo rido. Io non c'entro niente con questo trucco per imbecilli: cos'è? Una "SCORCIATOIA INTELLETTUALE"? Brutto fan di Carmelo Bene dei miei coglioni? Guarda che io non ho MAI pagato una donna per fare sesso, hai capito STRONZO. E ora lasciami lavorare.

Chi sei tu?
Io ho trovato quello che cercavo. Se ti può bastare. Per me invece è stato addirittura troppo, ora ho capito cosa vedo io, e ho capito che vedo tutto, vedo anche me, e adesso anche senza specchio.

Tu chi sei?
Piuttosto tu chi sei. Domanda più del cazzo non la potevi fare. Noi non siamo. E finché siamo, non abbiamo da temere, perché fare delle domande. Perché chiudere la frase con un punto interrogativo.

Chi sei?
Sono il colore nero che si sparge di sera. E mentre mi confondo penso all'evoluzione del pensiero. Al muro di lettere e al recinto di frasi. Le parole sono staccionate da dipingere. In cambio di qualche focaccia nei periodi di fame.

E tu quindi sei veramente un bugiardo. Hai provato a vendermi la verità perché la verità è il desiderio, e si vende da solo. Il desiderio d'essere vero.

La sola verità è la memoria, così come viene conservata.

E non sei libero, neanche di non ridere se non ti va. Se è così, significa che menti. E se dici che non è così, è perché stai mentendo. Che ti dicevo? Non sai cosa sia l'onestà, ma non lo sa nessuno. Il significato che gli abbiamo dato noi, quello invece lo conoscono tutti.

Però siete stati anche capaci, e tanto, tanto coraggiosi. Chi dice di no, sta mentendo.


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Recensire, giudicare, analizzare, sezionare, in una parola "criticare" puo' apparire a molti come un mero esercizio di confutazione, affossamento o elogio iper realista. All'università, gli insegnamenti in tal senso affondano radici in quel sociologismo positivista di stampo marxista che separa e incanala i temi a seconda della loro derivazione anche (ideo)logica. A tutto questo bisognerebbe dire stop.

Leggendo molti commenti, e non solo su questo divertente sito, salta al nasocchio che il "gusto" spesso si confonde con la capacità "tecnica" dell'autore-regista.
Un film puo' essere contemporaneamente eccellente (ovvero mi è piaciuto tanto) e orripilante ( dialoghi piatti, montaggio farraginoso, interpretazione latente). Mi si chiederà allora: "cos'è che ha reso quella pellicola così attraente? E si torna al vecchio caro positivismo marxista. Al sapore sciapo e a un uso approssimativo della cinepresa, si contrappone un forte messaggio ( o contenuto) atto a ribaltare l'esito della "critica" facendo sì che alla fatidica monosteletta (i parametri sono solitamente da una a quattro o cinque) si giunga addirittura ad elargirne quattro.

Rifiutandomi di annoiarvi con dieci cartelle, concluderò con questa dichiarazione d'intenti che da ormai 30 anni mi segue.

Si rifugga il compiacimento politico, si eviti di affidare al contenuto la corona del giudizio, si tenga conto della capacità attoriale e tecnica dell'intero cast, si valuti l'opera da almeno due punti di vista (tecnico-emotivo), infine al minestrone potremo aggiungere quel pizzico di sale che corrisponde al nostro specifico gusto personale.
Servita in tavola la pietanza troverà ugualmente detrattori e folle acclamanti evitando però quei paradossi che almeno alla mia persona infastidiscono.

Puo' un film essere considerato da un recensore CAPOLAVORO e da un altro "ignobile PASTICCIO?"

No, non dal punto di vista critico.
Una forbice tanto ampia è comprensibile solo nel parametro gusto e non rientra nel compito di un'analista, foss'anche egli un neofita o un appassionato privo di attestati universitari.

Ognuno di voi, indossati i panni del giornalista cinematografico, dello storico, si ricordi che dietro a una produzione c'è sempre un lavoro complesso, nella maggior parte dei casi, difficile e faticoso che merita se non altro un briciolo di rispetto.

Se vi sarà una prossima volta potremo così affrontare la parabola del "commerciale"......ma questa è un'altra faccenda. Buone letture e buone visioni.

P.C.


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Di notte, in ospedale, non si riesce proprio a dormire.

Il campanello suona in continuazione, le infermiere parlano ad alta voce per tenersi sveglie, c’è uno, nella stanza a fianco, che chiama la moglie perché vuole andare a casa. A te hanno dato una sedia su cui dormire e porca la miseria averlo saputo almeno mi portavo un cuscino per appoggiare la testa.
Hai i piedi gonfi per la giornata appena trascorsa.
Gli occhi stanchi per dovere stare al buio.
Il caffè della macchinetta ti fa capire che no, non hai risolto del tutto quel problema di reflusso.
E di uscire a fumare non se ne parla, perché se magari “lui” o “lei” si sveglia, vuoi essere lì.
Mica che succede qualcosa…


E allora, di notte, in ospedale, cammini. Cammini nella stanza, intorno ai letti. Conti i passi dalla porta alla finestra.
Cammini nei corridoi, passando davanti agli ascensori, intercetti le chiacchiere delle infermiere
E speri che il tempo passi in fretta.
E di solito no, non passa in fretta.

Di notte, in ospedale, conosco Antonio, un signore non esattamente distinto, sulla cinquantina, che mi risulta subito simpatico quando, al momento delle presentazioni, si gioca il tutto per tutto con un: “Dammi pure del tu, che tanto siamo praticamente coetanei”.

E’ lì per sua madre, a suo dire “una cacacazzi pluridecorata”, di quelle che dormono 10 minuti alla volta, solo per il gusto di svegliarsi e lamentarsi per il caldo/freddo/fame/dolore/noia/stanchezza, con una brutta tosse che mi sa tanto che nasconde qualcosa di ancora più brutto.

Fin dalla prima sera, io e Antonio chiacchieriamo un sacco, ma è lui quello che ha più urgenza di parlare.
E così, in circa due settimane, da mezzanotte alle sei, Antonio mi racconta di fatti, persone, case e cose talmente belli che non possono non essere veri.
Mi parla di un viaggio a Parigi fatto a vent’anni, che gli ha cambiato la vita perché “c’eravamo noi che puzzavamo di pasta al sugo cucinata da mammà e c’erano tutti sti ragazzi di 17, 18 anni che vivevano in 6 in un sottotetto pur di andarsene da casa”.
Mi racconta della Milano da bere degli anni ’80, di un frego di soldi persi al gioco, di vacanze sulla barca del suo amico figlio di cotanto padre, di cene in ristoranti di lusso che oggi nemmeno esistono più. Non mi parla quanto vorrei dei due anni vissuti da single con due hostess per vicine di casa.
Mi parla di una donna con cui è stato fidanzato 10 anni, di quando l’ha lasciata, e di come, dopo solo pochi mesi, si è messo con quella che, oggi, è sua moglie e la madre di sua figlia.

Mi parla di suo padre.
Mi dice che non si rivolgevano la parola da un sacco di tempo. Da anni, addirittura.
Finché al suo vecchio non hanno diagnosticato un male di quelli brutti e ad un certo punto i dottori gli hanno detto “Forse è il caso che vi salutiate come si deve”.
E allora padre e figlio hanno ricominciato a parlare.
E a camminare insieme.

Perché il padre di Antonio aveva una specie di infezione alla gamba e l’unico modo per avere un po’ di sollievo era camminare.
E visto che le forze poco alla volta lo stavano abbandonando, Antonio se lo prendeva sottobraccio e lo accompagnava in giro per i corridoi dell’ospedale.
Di notte, soprattutto.
Che tanto di dormire, la notte, in ospedale, proprio non se ne parla.

Finché, un giorno, Antonio non ce l’ha fatta più.
Perché di notti, in ospedale, non ne puoi mica fare tante, a rischio di crollare e di lasciare indietro la tua, di vita.

E allora Antonio mi racconta di Italo, un ragazzo sui vent’anni, studente di chissà quale facoltà, che per pagarsi i libri assisteva gli anziani di notte.
E io Italo me lo immagino come uno sfigatone pazzesco, di quelli che non parlano mai, con la faccia da babbazzo e i baffetti puberali pure a vent’anni. Ma buono.
E mi immagino che, col tempo, abbia preso la laurea e sia diventato un professionista affermato e apprezzato, magari ricco e magari con la moglie figa. Ma comunque buono.

Antonio mi dice che una volta, sarà stata l’alba o giù di lì, se ne stava a casa, nel suo letto, ma proprio non ce la faceva a dormire. Manco fosse in ospedale.
E allora s’è vestito ed è andato a vedere come stava suo padre.
Entrando nella stanza, lo ha trovato piegato in due dal dolore, con le mani strette intorno alla gamba malata. E, in un angolo, seduto tutto storto su una poltrona, il buon Italo che se la dormiva della grossa.

E Antonio s’è subito incazzato, è partito come un missile pronto ad indorare il culo del povero Italo con un rosone di calcinculo eccheccazzotipaghiamoafare.

Ma subito suo padre lo ha fermato.
“Lascialo stare, Antò… Hai visto come dorme bene? Se lo guardo non mi sembra nemmeno di stare in ospedale…”



Immagine: "Uncomfortable sleeping position" di Julia Boersma;

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Libertà

by Zaireeka (10 gennaio 2014)


Fra le tante vignette pubblicate sul web in questi giorni, disegnate in tutto il mondo in omaggio alle vittime della strage del 7 gennaio 2015 nella sede del giornale satirico francese Charlie Hebdo, ce n'è una una che mi ha colpito particolarmente.

n questa vignetta (in francese) c'è San Pietro contrariato ed indispettito che, in piedi sulla nuvola più alta e con le chiavi del paradiso in mano, guarda tutte quelle intorno imbrattate con segni inequivocabilmente a forma di membro maschile, e recita: "Hanno già disegnato cazzi dovunque".

La trovo molto bella perchè è triste (tristissima), fantasiosa, e divertente (divertentissima), tutto insieme.

Tanto bella che ho deciso di farla diventare la foto del mio profilo.

Io non so se la libertà in fondo è una cosa "ultraterrena" come sembra suggerire la vignetta.

So solo che in queste circostanze mi sento molto piccolo, e non posso essere giustificato dal fatto che il direttore di Charlie Hebdo non avesse, a differenza mia, nè moglie, nè figli, e nemmeno un'auto.

Poi penso che non tutti nasciamo così coraggiosi da farci uccidere per la libertà di pubblicare delle vignette per poi finire a fare disegni sconci direttamente in paradiso.

C'è chi la libertà, piuttosto che esercitarla fino in fondo, si limita ad ammirarla quando è esercitata in pieno dagli altri, e questo è già qualcosa, oppure a sognarla, e nel migliore dei casi a suonarla sulle note dolci di una chitarra Pagina Web

Dio è misericordioso ed ha il coraggio di ospitare gli uni e gli altri, anzi ha bisogno di tutti e due.





Parigi e seguenti

by Geenoo (15 gennaio 2015)


Il Papa, in ritorno da un viaggio dallo Sri Lanka, il 14.01.2015 risponde ai giornalisti sui fatti di Parigi.

«[...] Credo che tutti e due siano diritti umani fondamentali, la libertà religiosa e la libertà di espressione. Non si può nascondere una verità: ognuno ha il diritto di praticare la propria religione senza offendere, liberamente, e così dobbiamo fare tutti. Non si può offendere o fare la guerra o uccidere in nome della propria religione, cioè in nome di Dio. A noi quello che succede adesso ci stupisce, no?, ma pensiamo alla nostra storia: quante guerre di religione abbiamo avuto! Lei pensi alla notte di San Bartolomeo. Anche noi siamo stati peccatori su questo. Ma non si può uccidere in nome di Dio. È una aberrazione. Con libertà, senza offendere, ma senza imporre, senza uccidere…Parlava della libertà di espressione. Ognuno non solo ha la libertà, ha il diritto e anche l’obbligo di dire quello che pensa per aiutare il bene comune. L’obbligo! [...] Abbiamo l’obbligo di parlare apertamente. Avere questa libertà, ma senza offendere. E vero che non si può reagire violentemente, ma se il dottor Gasbarri, che è un amico, dice una parolaccia contro la mia mamma, lo aspetta un pugno! Ma è normale! Non si può provocare. Non si può insultare la fede degli altri. Non si può prendere in giro la fede. Papa Benedetto, in un discorso, ha parlato di questa mentalità post-positivista, della metafisica post-positivista, che portava alla fine a credere che le religioni o le espressioni religiose siano una sorta di sottocultura: tollerate ma poca cosa, non sono nella cultura illuminata. E questa è una eredità dell’illuminismo. Tanta gente che sparla di altre religioni o delle religioni, che prende in giro, diciamo “giocattolizza” la religione degli altri, questi provocano. E può accadere quello che accadrebbe al dottor Gasbarri se dicesse qualcosa contro la mia mamma! C’è un limite. Ogni religione ha dignità, ogni religione che rispetta la vita e la persona umana, e io non posso prenderla in giro. Questo è un limite. Ho preso questo esempio per dire che nella libertà di espressione ci sono limiti. Come quello della mia mamma».

Religione. Sottocultura. Libertà religiosa. Libertà di espressione. Provocazione. Reazione. Limiti. Giocattolizzare (=Ridicolizzare).

Ci sono limiti alla libertà di espressione?

P.s. Delfeil de Ton: «Ce l’ho veramente con te, Charb - ha scritto uno dei padri fondatori in una sorta di lettera al direttore e disegnatore assassinato -. Che bisogno c’era di trascinare tutti in questa escalation?». L’accusa, pesante, è di aver portato alla morte la sua redazione. Delfeil de Ton riconosce Charb ancora come «il mio capo», dalle colonne del Nouvel Obs’, di cui è opinionista dal 1975. Ne parla come «un ragazzo brillante», ma «un testardo». Ricorda la sua disapprovazione quando Charb, Stéphane Charbonnier, 47 anni, pubblicò il famoso numero con la testata modificata da Charlie Hebdo a Charia Hebdo (con un gioco di parole sulla Sharia) e «Maometto direttore» in un circoletto sulla copertina. Quel numero costò l’incendio dei locali della redazione, con una molotov, ma per fortuna nessuna vittima. «Charb non avrebbe dovuto rifarlo e invece lo ha rifatto nel settembre del 2012».

Ma, quel che è più doloroso, Delfeil de Ton testimonia nel suo articolo che Wolinski, il celebre caricaturista ucciso a 80 anni con il resto dei collaboratori, non condivideva la pervicacia di Charb e glielo avrebbe confidato: «Credo che siamo degli incoscienti e degli imbecilli che corriamo un rischio inutile. Tutto qui – gli avrebbe detto Wolinski un giorno.







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“Qual è la sofferenza che non può essere condivisa?" (Don De Lillo, “Cosmopolis”, 2003)

"I've been living so long with my pictures of you that I almost believe that the pictures are all I can feel" (The Cure, "Pictures oy you", 1989)


Mia sorella è più grande di me di sei anni.

Ciò ha, e ha avuto, molteplici ripercussioni sul nostro rapporto. Non ultimo il fatto che quando lei era in preda alle turbe pubero-adolescenziali, io ero un moccioso curiosone e scemo.

Al tempo, mia sorella teneva un diario: era un quaderno rosa, con la copertina rigida e un piccolo lucchetto, sul bordo, con cui poterlo sigillare e tenerlo lontano dagli sguardi indiscreti. Soprattutto quelli di un fratello, curiosone e scemo, di sei anni più piccolo.
Ricordo di averla spiata, non so quante volte, mentre passava pomeriggi interi a scrivere su quel maledetto quaderno.
E, appena usciva di casa, mi fiondavo nella sua camera, sperando che si fosse dimenticata di chiudere il lucchetto.
Solo di recente, a distanza di quasi trent’anni, ho scoperto che in quel periodo si era presa una cotta pazzesca per un suo compagno di classe e che, su quel diario, scriveva ogni giorno i suoi tormenti di quindicenne perdutamente innamorata e non corrisposta.

Il 31 agosto 2014 un hacker è entrato nei profili iCloud di alcune famose attrici hollywoodiane e ne ha prelevato un discreto numero di foto private, per lo più di contenuto caliente, per poi pubblicarle in rete.

E si potrebbe stare ore a parlare di violazione della privacy, della morbosità e della cattiveria delle persone che sono corse a scaricare e a diffondere quelle immagini, dei social network impazziti e di sicurezza informatica.
Però forse il problema è anche che, a ben vedere, non abbiamo più un posto in cui custodire quello che vorremmo che rimanesse davvero “segreto”.
Un luogo “solo nostro”, privato, inaccessibile a tutti.

E possiamo dare la colpa a Bill Gates che si pastrugna a guardarti la cronologia del pc, a quel cornuto di Zuckenberg che ti conta le faccine che mandi con whatsapp, alla polizia che ti ascolta le telefonate e poi ti leggono le trascrizioni con le voci simulate a Studio Aperto, prima ancora che lo sappia la Procura.

Ma forse il problema è anche che, sotto sotto, siamo noi i primi a non volere che questo posto “solo nostro” esista.
Su Facebook pubblichiamo aggiornamenti di stato in cui riversiamo le nostre ansie, le nostre paure, i nostri successi e le nostre speranze.
Su Instagram, le foto dei nostri figli appena partoriti, dei nostri matrimoni e delle nostre vacanze.
Abbiamo gruppi di whatsapp con i colleghi di lavoro, i compagni di scuola e i vicini di casa.
La logica del “sei ciò che condividi” ha instaurato un meccanismo perverso per cui sentiamo la necessità di far sapere sempre e comunque ciò che ci succede al maggior numero di persone possibile.
Come se l’intensità di un’esperienza dipendesse non da quello che ci fa provare, ma da come viene accolta dagli altri, dalle reazioni che riesce a suscitare.

Abbiamo perso il gusto per l’intimità e l’abbiamo sostituito con il narcisismo di chi misura l’empatia e la solidarietà con il numero di “mi piace”, senza capire che in questa maniera stiamo distribuendo tranci delle nostre vite a chiunque ne voglia prendere un pezzo.

Tutti ora parlano di Jennifer Lawrence e delle sue poppe da sballo.
Ma tutti noi ci “spogliamo” quotidianamente e mostriamo e condividiamo ogni giorno il nostro intimo e il nostro privato, facendolo rimbalzare in giro per il mondo, dandolo in pasto alla gente.

Continuiamo a scrivere diari, proprio come mia sorella faceva più di 30 anni fa. Solo pensiamo di non avere bisogno di lucchetti.


Immagine di copertina: "Slide to unlock", Evan Roth, 2012.

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editoriale di Bartleboom

Colpo di calore, strano di questi tempi: febbre, delirio e ti incavoli per la sfiga. Quattro stagioni: la più attesa, amata e odiata è l’Estate e mi chiedo spesso il perché.

Non sarò l’unica persona al mondo a non amare visceralmente questo periodo: caldo, afa, zanzare, sudore, stress, obbligo al divertimento sfrenato, obbligo all’abbronzatura che fa Tanta Salute (e melanomi!), notti lunghe al Karaoke (ma perché?), cibi esotici e “afrodisiaci” (ché devi cuccare!), liti in famiglia per cosa fare, dove andare e con chi… non continuo, sarebbe una seconda Hiroshima.

Eppure i ricordi dell’adolescenza non sono conditi da tanta insofferenza, magari da Noia, pure tanta, ma salutare, indispensabile Noia in quelle sere assolate e afose che non ti permettono di fare nulla (o erano i genitori che ti bloccavano in casa a sudare sul letto della tua stanza?) e che comunque ti servono per crescere, capire, porti domande sopite, le cui risposte non vorresti dare…

Il tutto è forse più comico che tragico, ma la mente ricorda a modo suo, è risaputo, e spesso ti confonde rendendo insipidi alcuni ricordi, come eccessivamente sublimi altri: in sintesi, ti fai fottere dai ricordi!

L’estate è un appuntamento obbligato, dipende da come ti trova: è un po’ crudele pensare che quando uno muore lascia dietro di se scatole di pasta aperte, latte in frigo inacidito, rotoli di carta igienica iniziati, eppure è proprio così le cose di tutti i giorni ti sopravvivono e tu non puoi farci niente; la terza stagione dell’anno, allo stesso modo, arriverà puntuale (più o meno) e farà le sue vittime senza preoccuparsene, come sempre, e tu non puoi farci niente.

Non ho il tempo di rileggere o di correggere lo scritto, qualcuno ha chiamato il 118 e la Neuro-Deliri è già sotto casa mia: saluti a tutti, carissimi, spero che almeno lì funzioni l’aria condizionata...

Ho solo il tempo per un pensiero: che splendida foto verrà abbinata, sempre che...

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editoriale di Bartleboom

Il reato di diffamazione è previsto dall’art. 595 del Codice Penale, che punisce chiunque, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione.
In pratica, se io dico pubblicamente che Tizio è, chessò, un “citrone” (da intendersi come qualsiasi offesa pesantissima che vi viene in mente) commetto un reato.
Tanto per chiarire: per “pubblicamente” si intende che la mia affermazione è idonea a raggiungere almeno 2 persone oltre l’offeso.

Bene.
Fino a qualche anno fa, se un qualsiasi utente vi avesse dato del citrone su Deb, non avreste potuto fare nulla.
Meglio: lo avreste anche potuto denunciare e/o citarlo in giudizio per chiedergli i danni, ma molto probabilmente non se ne sarebbe fatto nulla: il PM avrebbe chiesto l’archiviazione e l’Avvocato della difesa avrebbe avuto gioco facile nel sostenere che, in realtà, non c’era alcun danno concretamente risarcibile.
Perché internet era roba per reghezzini, una giungla dove più o meno tutto era concesso, che tanto lì mica ci sono le cose serie.

Ultimamente, però, le cose stanno un po’ cambiando.
Nel senso che sempre maggiore attenzione viene riconosciuta anche a ciò che succede sull’internet.
In pratica, è ormai ritenuto pacifico che ciascuno di noi viva un’esistenza “virtuale”, fatta, alla pari di quella “reale”, di relazioni, legami, dinamiche e, perché no, reputazione.
E visto che, da un lato, rappresenta una fetta sempre maggiore della nostra quotidianità e, dall’altro, spesso finisce per avere ripercussioni sull’esistenza reale, questa “esistenza virtuale” deve ritenersi meritevole tutela.
E il motivo di questo cambiamento è tra i più banali: una bella fetta di giudici, sia civili che penali, è gente di 35-40 anni. Gente, cioè, che ha dimestichezza con lo strumento informatico, è iscritta ai social network, partecipa a forum, segue o addirittura scrive su blog. Gente, quindi, che SA perfettamente cosa vuol dire trovare sul proprio diario FB un commento diffamatorio o avere a che fare con un troll o un molestatore che fa girare mail del cazzo sul tuo conto.

Nei primi anni di frequentazione di debaser (si parla del 2004-2005), mi è capitato spesso di leggere commenti di questo tipo:
Utente A: “Io su questo sito c’ho una certa reputazione!”
Utente B:” Ma quale reputazione, citrone! Che reputazione vuoi avere su un sito internet!?!”
Al tempo, ero solito dare ragione all’utente B.
Oggi come oggi, però, non ne sarei poi tanto sicuro…

Facciamo un esempio.
Io, sig. Bartolomeo Boom, sono su questo sito da circa 9 anni.
Ho scritto recensioni che sono state bene o male apprezzate, sono stato parte attiva dello staff editante, diversi utenti sono miei amici nella vita reale, molti hanno il mio numero di cellulare, alcuni hanno dormito a casa mia.
Insomma: io qui ci sto bene, mi diverto, voglio bene a molta gente e molta gente (penso) mi vuole bene.
Debaser, così come i forum, i siti in cui ci si registra e si lasciano commenti, sono a tutti gli effetti delle micro comunità: se le si frequenta per un periodo sufficiente di tempo, si imparano a riconoscere le personalità e i gusti degli altri utenti, le dinamiche relazionali, gli equilibri.
Questa cosa ha degli effetti senz’altro positivi, perché, ad esempio, ormai so che se un disco o un film piace a Caz o a Nes, quasi sicuramente piacerà a anche a me.
Ma questa cosa ha anche degli effetti “negativi”, perché ormai se vedo in HP una recensione di Minogue33, o come cacchio si chiamava quello là che non si fa vedere da un po’, già so che ci troverò delle puttanate da togliere il fiato.
E questa, secondo me, non può che definirsi “reputazione”.
Magari una forma più blanda di quella che ognuno di noi ha nel mondo reale, ma comunque “reputazione”.

Facebook, poi, ha contribuito a rompere quella sorta di “quarta parete” o come cavolo si chiama quella roba lì, che separa(va) Bartleboom e “Mario Rossi”, tant’è che credo che la stragrande maggioranza degli utenti ormai sappiano quali siano i miei veri nome e cognome, che lavoro faccio, dove abito, la mia situazione sentimentale e robe del genere.
In pratica, si può legittimamente sostenere che Debaser sia parte integrante non solo della mia esistenza virtuale, ma anche della mia vita reale.

Diciamo che domani arriva un qualsiasi utente e si mette a scrivere falsità su di me, inteso come utente Bartleboom. Mi offende, mi denigra, mi accusa ingiustamente di non so immaginare quale porcheria (tengo a precisare sin d’ora: non sapevo che quell’iguana fosse maschio e, in ogni caso, mi aveva detto di essere maggiorenne…).
Beh, per come stanno le cose, secondo me il reato di diffamazione è configurato di brutto.
E, sempre secondo me, avrei pure diritto ad un risarcimento.

Sono stato offeso pubblicamente in un contesto, una comunità (Deb) in cui, che piaccia o no, ho finito per crearmi una “reputazione”.
Magari il fatto mi porterà a non volere più frequentare un sito che mi ha sollazzato per anni. In pratica, sarò costretto a rinunciare – contro la mia volontà – ad un’attività che mi dava piacere.

Che magari può sembrare comunque una cazzata, ma se davvero, per colpa di qualche cretino, non potessi più mettere piede qui dentro, le balle mi girerebbero non poco.
Poi magari non farei mai causa o non presenterei mai una denuncia.
Ma questo non significa che non ci sarebbero i presupposti per farlo.

Ho fatto l’esempio della diffamazione perché è quello più tipico e frequente, ma lo stesso discorso potrebbe essere fatto anche per altre ipotesi di reato, tipo l’ingiuria, le minacce, lo stalking etc.

Tutto questo per dire cosa?
Mah, tutto e niente.
Lo spunto per scrivere mi è venuto da un commento letto da queste parti qualche giorno fa, in cui un utente un po’ citrone, millantante il titolo di avvocato, sosteneva di vare fatto “partire” (?!?) una denuncia per “diffamazione pubblica” (?!?) e tutti lo avevano sfottuto di brutto.

Ebbene, io dico: non succede perché non succede.

Ma se succede…

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