CosmicJocker

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editoriale di CosmicJocker

Le risibili beghe messe in scena dai nostri politucoli nazionali che tanta parte hanno in quei luridi calderoni ribollenti di occhi di tritone, urina di ratto e altri ingredienti di infimo rango volgarmente chiamati "talk show televisivi".

La cialtroneria congenita e la miopia manifesta di cui sono pregne le chiacchiere dei cosiddetti "uomini della strada" che millantano preziosi quanto originali carotaggi nel cuore pulsante della contemporaneità giustificati dalla loro inestimabile esperienza di vita dimenticando che "esperienza" può anche semplicemente significare "reiterare un errore per molti anni".

Beh, è facile: provo disgusto, un sommo disgusto.

Ma perché?

Non certo perché mi credo chiuso e ben protetto nella e dalla mia (inesistente) torre d'avorio da cui, con occhio sdegnoso, osservo dall'alto della mia superiorità morale l'indecoroso spettacolo delle miserie umane contrabbandate dall'ipocrisia o dal qualunquismo. Prima di ogni altra cosa io sono un figlio del popolo: sarei quantomeno un completo idiota se non mi interessassi per nulla di tutti i problemi (di quelli "prosaici" innanzitutto) che funestano i nostri giorni.

Non certo perché mi consideri "apolitico". Non credo sia possibile essere "apolitici": noi scegliamo con tutti i nostri pensieri, parole, opere ed omissioni e dalle scelte si desumono gli orientamenti.

Lo scopo principale dei talk show non è informare, ma intrattenere. Quello delle chiacchiere di strada non è condividere, ma accarezzare l'ego.

Cosa rimane? Il silenzio. Oppure, cosa ben più difficile, la radicalità.

Sono disgustato da tutte le sovrastrutture o da tutte le questioni di lana caprina a cui immancabilmente si ricorre per discutere di ogni massimo sistema e l'ordinamento sociale, politico ed economico della vita umana sulla Terra lo è, o lo dovrebbe essere.

Io saprei dire qualcosa di originale sull'argomento? No. Mi manca l'intelligenza e la preparazione.

Allora scelgo il silenzio.

Anzi no, scelgo la radicalità.

E allora vi cito Engels in cui mi sono imbattuto leggendo una "parabola" di Svevo riguardante la trasformazione di una comunità nomade in una stanziale.

"Il potere di questa comunità naturale doveva essere infranto; e infatti lo fu. Ma fu infranto da influenze che ci appaiono fin dal principio come una degradazione, come una colpevole caduta dalla semplice altezza morale dell'antica società gentilizia. I più bassi interessi - volgare avidità, brutale cupidigia di godimenti, sordida avarizia, rapina egoistica della proprietà comune - inaugurano la nuova società incivilita, la società di classi. Lo Stato, poiché è nato dal bisogno di tenere a freno gli antagonismi di classe, ma contemporaneamente è nato in mezzo al conflitto di queste classi, è, per regola, lo Stato della classe più potente, economicamente dominante che, per mezzo suo, diventa anche politicamente dominante e così acquista un nuovo strumento per tener sottomessa e per sfruttare la classe oppressa".

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Perché siamo utenti di Debaser?

Io una pseudo-risposta ce l'avrei: arricchimento e cazzeggio... E vanità, certo. Va considerata, ma solo come come il coriandolo o il cumino o la paprika nel cuscus.

La cosa interessante di questo posto è che le due cose - facciamo tre, considerando le spezie - si contaminano a vicenda e si possono trasformare non dico in leccornie, ma in piatti che titillano le papille gustative beh... Questo sì.

Semplici grani di semola macinati grossolanamente diventano non di rado interessanti intrugli ad alto grado di sapidità.

È un gioco, un bel gioco e giocare è una delle poche cose dell'umano vivere degne di non finire in bocca ad uno dei tre grugni di Lucifero.

Platone diceva che "si può scoprire di più su una persona in un'ora di gioco che in un anno di conversazione", ma - al di là del fatto che noi tutti giochiamo coversando tramite la parola scritta - non vi pare che il limite di un gioco, qualunque gioco, risieda nelle sue "regole d'ingaggio"?

Nelle recensioni di un'opera - almeno come lo si fà qui, ringraziando dio! - non solo il recensore scrive di quest'opera filtrandola attraverso la sua sensibilità, ma il recensore attraverso l'opera scrive di sé stesso.

Qual'è il limite del gioco Debaser? La parola scritta.

Forse il mio corto circuito di questo periodo è che vorrei conoscervi e farmi conoscere meglio, ma concordo con Ungaretti quando dice che "la parola è impotente. Non riuscirà mai a dare il segreto che è in ognuno noi".

Non è altresì da escludere che la giustificazione che mi ha portato a scrivere tutto ciò che ho scritto sia una menzogna più o meno cosciente e che l'abbia scritta solo per favorire lo smaltimento di una sbornia che ho - più o meno consciamente - deciso di concedermi.

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L'ironia è il male dei nostri giorni.

L'ironia, checché se ne dica, è un male borghese.

Panza piena e un tetto sopra la testa.

L'unica speranza è nei depressi e nei violenti.

Depressi e violenti, gli unici con i canini ben acuminati.

Alla trattoria Achilli è tutto molto chiaro.

Si può anche ripiegare sul sarcasmo.

Ma solo per sfociare altrove.

L'ironia è l'ultima maschera.

Toglietela.

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Ieri sono andato al bar...
... Che incipit del cazzo!

Ma del resto quale incipit non lo è? Avrei dovuto cercare qualcosa di gustoso (o che credo lo sia) per provare ad incuriosire fin da subito chi sta leggendo 'sta cosa; non che non l'abbia mai fatto, anzi, solo che oggi voglio restare il più possibile fedele all'impressione che mi sta spingendo a buttare giù queste righe... E poi, in fondo, a che serve un incipit gustoso? Vanità, vanità, tutto è vanità. Vanità di chi scrive titillandosi l'ego e vanità di chi legge soppesando il godimento estetico ai margini del suo sorrisetto complice.

Dunque sarò brutale: ieri sono andato al bar.

Non vi starò neanche a dire l'ora in cui ci sono andato. Mattina, pomeriggio, sera? Che stronzate senza importanza.

Mi sono seduto, ho preso un paio di bicchieri di vino (bianco o rosso?), qualcuno ha parlato con me, io rispondevo (almeno mi pare di ricordare) e c'erano i Clash in sottofondo.

Solo che dopo un po' è accaduto qualcosa, qualcosa di non particolarmente nuovo per me, ma ieri ha avuto una risonanza, come dire... Avvolgente.

Tra lo sferruzzare continuo dei bla-bla-bla, tra i respiri ansimanti causati dal caldo combinato con le mascherine, tra le dissonanze di vetri e porte che si aprivano e chiudevano... Il tempo si è fermato.

No, non il tempo. Io. La mia testa.

Non era quella leggera ebbrezza che fa sembrare tutto lontano e ovattato, non era lo sfinimento del corpo che rende indifferenti gli esseri e le cose che ci stanno intorno.

Sentivo i miei pensieri totalmente inconsistenti, astratti... No, neanche. Sentivo piuttosto un vapore tiepido e denso che aveva preso il posto dei miei pensieri.

Sentivo, no... Avevo la percezione di me stesso lì, in quel momento, bilanciavo ogni grammo del mio peso e ogni respiro che emettevo aveva un non so che di nitido, di materico.

Anche gli oggetti e le persone mi parevano semplicemente lì, lì e basta. Non immaginavo storie sul loro conto, non sentivo il bisogno di relazionarmi con loro. Sapevo che erano lì, come me erano lì, come me semplicemente esistevano.

Naturalmente questa sensazione sarà durata solo per pochi secondi e, nel momento in cui ci ho pensato, è sparita d'un tratto.

A posteriori ho pensato a Sartre e alla sua nausea, ma, in lui, l'esistenza delle cose e delle persone in quanto tali era percepita come "di troppo" o "gratuita" ed era precisamente questo a dargli il voltastomaco. Io invece l'ho sentita un'esperienza riposante, quasi gratificante e poi Sartre... Vedete anche questa citazione di Sartre è vanità, o meglio, è vanità e insicurezza insieme: cerco di puntellare e giustificare quello che sto dicendo con ciò che ha scritto un filosofo di riconosciuta fama.

A volte invidio la mia gatta: la sua capacità di essere presente nel presente, il suo sembrarmi immune da inutili crogiolamenti su ciò che sia meglio fare. Eppure... Non è anche lei un essere troppo complesso? Non è certamente immune da vanità visto quanto tempo dedica alla cura del suo corpo e la curiosità che la spinge in esplorazioni sempre nuove nasconde forse un'ombra di atavica inquietudine.

No, ieri io ero come un granchio. Un granchio che asciuga la sua corazza al sole, con le zampette ben salde sulla roccia. Un granchio che non sente altro che il rumore sordo della sua esistenza. Un granchio che semplicemente è.

Devo solo ricordarmi, se mi capiterà ancora quell'impressione, di non troncare involontariamente con le mie chele i secondi che ancora mi separeranno dalla mia esistenza di uomo.

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Persino io, che sono avvinghiato alla mia epoca un po' di sghimbescio, sono (relativamente) a conoscenza del marasma prodotto da questo CoronaVirus.

Mentre sto scrivendo si stanno verificando i primi casi in Italia, vicino alle mie parti (ok ok, più vicino alle parti del Comandante Carlos). Già vedo che si sta autoalimentando un focolaio non meno pericoloso (a quanto pare) del virus stesso: la psicosi.

Starnutisci in pubblico? Untore omicidia! Vai a bere un bianco al bar cinese? Pazzo suicida!

È tutto molto semplice, può succedere che: A) l'etere in cui gironzoliamo è scevro da qualsivoglia infezione; B) eh no! L'infezione ci raggiunge. E, nel caso si verifichi il caso B), la relativa biforcazione sarebbe: B1) abbiamo un Norton Anti-virus a prova di bomba; B2) verremo formattati.

Però, ora come ora, la considerazione che mi viene da formulare è la seguente: è tutto molto normale.

Nella pre-adolescenza ero dotato di un fisico portentoso che mi permetteva di sgranocchiare sassi di fiume come fossero mandorle tostate e di saltare i fossi per il lungo per raggiungere la pulzella di turno che, immancabilmente, cadeva ai miei piedi (forse, invero, a causa dello spostamento d'aria prodotto dal mio balzo felino).

Orbene, in quel tempo i miei mi portarono in gita ai piedi delle Alpi (o erano le Dolomiti? Bah, tutto ciò è irrilevante ai fini di questa scemenza filosofica degna del peggior Epicuro). Come molti pischelli dell'epoca subivo il fascino avventuroso (financo beduino oserei dire) del buon Indiana Jones e, in un momento in cui ero in avanscoperta solitaria in un sentiero poco battuto, non stupisce il fatto che mi sopraggiunse l'uzzolo di saltare attraverso un conglomerato di fresche frasche fruscianti che ostruivano la via.

Mi sono concentrato come Indy impegnato nella scelta del vero Santo Graal e ho pompato nelle vene quel mio sangue limpido di allora non ancora intorbidato dal MacBarren Nero, dal rosso Bonarda e dall'hashish color del caramello.

Ho preso la ricorsa e... STOP! Fermo di colpo come se ora scovassi su Discogs un EP di Alva Noto a poco prezzo.

L'attenzione completamente rapita da uno scoiattolo che stava ridendo di me dalla sua lignea dépendance. E io gli devo la vita a quel pacioccoso nume tutelare dei boschi.

Quella barriera vegetale infatti dava su un terrificante strapiombo che mi avrebbe, se non ucciso (ricordate il fisico portentoso?), cambiato notevolmente i connotati: BrokenJocker avrei dovuto farmi chiamare.

Insomma, chissà quante altre volte siamo stati prossimi alla morte (molto più di quanto ci possa avvicinare questo virus da cui sembra sia più probabile guarire) e l'abbiamo scampata per puro miracolo, perché il nostro spirito guida ci ha protetto, perché l'ultima delle Parche si era scordata le forbici a casa.

Ed io ho parlato di un caso in cui mi ero accorto del pericolo scampato, ma può benissimo darsi che molte altre volte la falce della Nera Signora mi abbia solleticato le nari ed ho scambiato il tutto per un moscerino impertinente.

Calma e gesso avrebbe detto quel pazzo di mio nonno che fumava come un turco e beveva come un irlandese (e che è vissuto, guarda caso, fino a 90 anni).

Siamo vivi, dunque viviamo.

P.S.
Non mi sto informando molto su questo virus, non ho voglia e ho troppo di meglio da fare.
E poi sono restìo a documentarmi attraverso i canali ufficiali d'informazione verso i quali nutro la stessa fiducia che avrebbe Indy sapendo l'Arca dell'Alleanza finita in mani naziste.

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Danziamo sulla merda quotidiana. Senza turarci il naso, ma aspirando a pieni polmoni.

Trucchiamoci da conigli mannari e rosicchiamo i crani dei servi.

Maledetti! E maledetti noi che siamo loro, loro che sono in noi.

Lecchiamo il viso delle loro figlie con la bava alla bocca, pisciamo sui loro figli dopo aver mangiato asparagi cotti.

Strisciamo nei loro giardini e impicchiamo i loro cani, vomitiamo Bonarda frizzante sulle croci dei loro altari.

Stupriamo le loro case, umiliamo i loro padri, bruciamo gli album delle loro famiglie.

Quanti sofismi, troppi sofismi... Volete mettere?

Quel gran figlio di troia di dio ci ha dato gli artigli no?! Facciamo a pezzi le loro Serie A, i loro mutui, le loro serie TV.

Basta con 'sta minchiata dell'età "adulta"! Compromessi, lavoro, moglie, figli, senso civico, ecc... ecc...È questo essere adulti? Davvero c'è qualcuno così coglione che dà importanza a queste cose?

Ma rifugiamoci piuttosto in un bosco e pensiamo alla rabbia, alla velleità, alle approssimazioni dei vent'anni. E dopo averci pensato per un mese accoltelliamo a morte il nostro migliore amico.

E invece siamo quì a parlare di dischi, libri, film e cazzate del genere. Magari facciamo pure qualche manifestazione e sentiamo di essere stati utili, di aver fatto qualcosa. C'è qualcosa di più ridicolo di questo?!

Ballate con me figli di troia, io ballerò con voi.

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"Per molto tempo sono andato a letto presto la sera" diceva il caro buon Marcel.

Io solo per due mesi, in concomitanza di voragini economiche che ho cercato di livellare e che, dopo cena, mi lasciavano steso a pelle di leopardo con tanto di fauci spalancate per il gran caldo.

E, si sa, nella Palude Padana la canicola è sempre invariabilmente accompagnata dal funesto gironzolare degli alati-demoni-succhia-sangue (volgarmente detti zanzare) che tormentano il riposo de(gl)i (in)giusti una volta entrati nelle loro magioni.

Se avete esperienza di torturatori di cotal fatta, sarete certo a conoscenza dei loro modus-operandi più diffusi:

C'è la zanzara lenta e greve (già per metà gonfia di sangue) che quando si appoggia al vostro delicato corpicino, lo fa in modo talmente massiccio (ma forse è il caso di dire "alticcio") che avete tutto il tempo di arricciarvi i baffi e sistemarvi il monocolo all' occhio destro prima di spiaccicarla sdegnosamente.

C'è quella veloce e ronzante che ama ballarvi intorno prima di cibarsi di voi e che richiede un po' di astuzia supplementare: lungi dal seguir il suo strepitìo svolazzante (del quale dovete diffidare come del canto di una Sirena), dovete immobilizzarvi e tenere gli occhi bene aperti. La sua velocità la rende imprudente e nove volte su dieci si posizionerà su una porzione di pelle ben visibile: uccidetela allora, dopo che vi ha succhiato un poco. Il prezzo da pagare per la sua morte sarà una puntura soltanto.

C'è infine la più pericolosa fra tutte. La silenziosa e leggiadra zanzara mordi-e-fuggi. Astuta come il Sistema e vorace come un Padrone lei non vi dà requie: pensate che vi stìa mordendo? No, è suggestione. Lei ora si nasconde. Forse è andata via? No, è stanchezza. Lei ora vi morde. Con lei l'astuzia non è sufficiente, ci vuole quel qualcosa in più chiamato Fortuna.

Orbene, in una di quelle sere in cui sul divano le palpebre mi si stavano chiudendo a doppia mandata fu proprio una mordi-e-fuggi a usarmi la cortesia di farmi vista.

Vi risparmio l'esposizione di tutte quelle tecniche di difesa, di tutto quell' arsenale di conoscenze che ogni Padano d.o.p. (di origine prolungata) mette in pratica fin dalla più tenera età per esorcizzare questi vampiri. Vi basti sapere che la mia gatta, accovacciata sulla poltrona, osservava con una certa commiserazione tutti i miei maldestri (e inutili) tentativi e il suo sguardo pareva dicesse: "Povero, povero il mio essere umano!".

Sfinito, sudato, punto e, ormai, completamente sveglio mi sono accasciato sul divano maledicendo tutto il corollario di Dei e semi-Dei di cui sono a conoscenza fino a che... Ho visto la zanzara svolazzare impavida vicino alla mia gatta...

ZAC!!

Un solo balzo. Preciso, netto, senza esitazioni.

Esplosività muscolare, tempismo perfetto e zanne ben appuntite...

... Così si rovescia il Sistema, così s'inghiotte il Padrone.

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Non saprei dire con esattezza perché accadde.

Forse a causa della mia immaginazione un po' troppo fervida?

Forse in ragione dei miei occasionali incontri con la nostra vicina di casa? (Cara donna per carità, ma decisamente sciroccata per tre quarti e per di più afflitta da un fervore cattolico degno di un Torquemada al massimo della forma).

Forse allora per il mio maestro di religione? (Brav'uomo chi lo nega, ma con sfumature di malcelato sadismo verso dei bimbi un tantino vivaci e dai quali, alle volte, veniva travolto).

Forse per nessuna di queste cause in realtà, o forse per la somma delle tre, oppure per qualche altro motivo che ora come ora mi sfugge.

In ogni caso, mi sembra di poter individuare chiaramente la classica goccia che fece traboccare l'altrettanto tradizionale vaso: la trafugazione dallo scaffale dei miei dell' "Inferno" dantesco.

Naturalmente non ero affatto interessato a ciò che vi poteva esser scritto, ma piuttosto subivo il fascino del titolo, di quella parola misteriosa che indicava un luogo lontano e sfuggente e di cui sentivo parlare gli adulti con intenzioni che mi parevano, di volta in volta, sempre diverse.

Aprì il libro a caso e...SBAM!

Come una capocciata sul muro! Come una pallonata nel basso ventre!

Con tutta la sua nettezza tempestata di dettagli, con tutta la sua potenza nobilitata dai resti delle vittime, lei era là, era là e mi fissava: l'immagine di Belzebù mi scosse nell'intimo e mi risucchiò nel suo cono d'ombra.

Per qualche tempo faticai a prender sonno la sera: immaginavo il Demonio, immaginavo che mi stesse ancora fissando e immaginavo di potermelo ritrovare nei miei sogni (lo sceneggiatore di Nightmare deve aver avuto uno schock simile al mio).

Nella mia mente, in pieno loop, creavo e ricreavo i particolari di quella creatura: lunghi artigli arcuati e giallognoli, volto in putrefazione sormontato da guizzanti vermiciattoli, piede caprino, grosse ali di pipistrello, corna di montone, e poi dei giganteschi, fiammeggianti occhi rossastri senza pupille.

Ma il tempo passò e, a poco a poco, non pensai più al buon Belzebù.

Ora sono grande ormai, ma questo non vuol dire che io non abbia più degli spauracchi: sono solo di una qualità diversa, più materiali (il più delle volte), più, diciamo, empirici.

E lo spauracchio tipico dell'inverno rimane, per me, la mostruosa bolletta del gas.

So che voi sapete che non esagero affatto (sulla sua mostruosità intendo), ma, visto che ho indugiato sui dettagli di una creatura immaginaria, mi soffermerò, visto che è arrivata proprio oggi, anche su quelli di una creatura reale:

Spesa per la materia gas naturale (ergo consumo effettivo): 40% del totale.

Spesa per il trasporto del gas naturale e la gestione del contatore: 13% del totale.

Spesa per oneri di sistema: 3% del totale.

Ricalcoli: 4% del totale.

Imposte: 22% del totale.

IVA: 18% del totale.

Il caro buon Belzebù ha sempre avuto di meglio da fare che infastidire un povero moccioso piscia-sotto, mentre questo nuovo spauracchio viene a trovarmi con pervicace regolarità.

Esisteranno esorcisti in questo campo?

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Chi di voi ha avuto la (s)fortuna di imbattersi in qualche mia/o paginetta/delirio/commentucolo ha forse intuito la mia indomita passione per il randagismo cittadino.

C'è chi si inerpica in catartici cammini verso una qualche Santiago, io, più modestamente, mi accontento di trotterellare per le vie e purificare la mia anima sostando talvolta in qualche bar dimenticato da Dio.

Settimana scorsa, in una di queste peregrinazioni, mi sentivo insolitamente loquace (oltreché insolitamente sobrio).

Arenandomi in un tempio a me (ancora) sconosciuto e notando la scarsità di fedeli genuflessi ai tavoli, decisi di attaccare bottone con il Sommo Sacerdote del luogo.

Rubizzo, pingue, sgrammaticato e vagamente manesco, non mi ispirava nessuna fiducia, ma la sobrietà è una brutta bestia per me, tende a farmi abbassare le difese immunitarie e a dare possibilità a persone che d'istinto mi respingono.

Voleva assolutamente sapere cosa facessi per sbarcare il lunario ed io, vista la sua insistenza e nonostante la mia ritrosia, ho ammesso il mio percorso teatrale: la mia compagnia, le date e il fatto che, visto che il denaro che ne ricavavo era sempre piuttosto esiguo, puntellavo le mie entrate con lo scarico-farina.

Lui mi fissava in silenzio, ma la luce del suo sguardo e il sottotesto del suo immobilismo era:

"Ma tu guarda 'sto minchione! Il teatro a quasi quarant'anni! Che pena! Se non paga il vino lo ribalto!".

Io capivo tutto ciò (o almeno mi sembrava di capire, da sobrio non sono sicuro di niente) e, cominciando a divertirmi, ho giocato la carta della conduzione di laboratori teatrali per persone con disagio psichico che, essendo un lavoro istituzionalmente riconosciuto ed anche discretamente pagato, sortisce di solito un certo effetto con persone tendenti ad una forte semplificazione di tutto ciò che le circonda.

Ho salutato il buon uomo e, uscendo dal locale, mi sembrava che il suo abbozzo di sorriso dicesse:

"Bah, in fondo un bravo ragazzo. Non un coglione totale. E poi ha pagato senza problemi. Non ho perso troppo tempo con lui"...

...E il tempo, si sa, è denaro.

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Voglio voglio voglio vorrei avere l' Erba Voglio ma non solo per me vorrei che tutti avessero l' Erba Voglio o in mancanza di questa vorrei dell'erba sì voglio dell' erba ma non solo per me la vorrei per tutti voglio voglio voglio non essere qui e non voglio esserlo ora vorrei piuttosto scopare stasera ma la vedo grama perché la mia donna non vuole e allora voglio almeno che questo dente mi lasci in pace cazzo voglio un' otturazione come si deve ma non voglio pagarla con troppo sangue voglio voglio voglio che sul DeB si parli di più di musica elettronica e dilatazioni esistenziali voglio che Buzz ritorni e voglio parlare di poesia violenza e pestilenza voglio voglio voglio bere e dimenticare che voglio e lo voglio troppo per cui un altro bicchiere per dimenticare che voglio voglio voglio ma in realtà voglio solo ricordare ricordare che voglio voglio e ancora voglio

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